LUDOVICO I di Savoia, duca di Savoia
Figlio sestogenito di Amedeo VIII, conte e poi duca di Savoia, e di Maria di Borgogna, nacque a Thonon intorno al 1413-14. Quando Amedeo, suo unico fratello maggiore sopravvissuto, nato nel 1412, fu insignito del titolo di principe di Piemonte (15 ag. 1424), L. ricevette il titolo di conte di Bagé, che corrispondeva alla maggior parte dei territori della Bresse. Nel 1428 fu creato conte di Ginevra, primo esempio dell'uso di questo titolo da parte della casata, dopo la definitiva acquisizione del Genevese. In seguito alla morte del principe di Piemonte, avvenuta a Torino il 17 ag. 1431, L. gli succedette nel titolo e sposò Anna di Lusignano, figlia del re di Cipro, Giano I, che era stata promessa ad Amedeo. L'unione, che rivela in pieno le ambizioni di Amedeo VIII in ambito mediterraneo, fu celebrata per procura a Cipro il 4 ott. 1433 e in forma solenne a Chambéry il 7 febbr. 1434.
Anna di Lusignano, definita dal Piccolomini "audacem feminam que subesse nesciret", ebbe nel corso di tutta la vita un considerevole ascendente sul marito, "vir mansuetus et amans otii et qui parere quam imperare aptior esset", e svolse un ruolo determinante negli affari interni del Ducato per i favori che ella distribuì generosamente ai ciprioti da lei introdotti alla corte sabauda. Dette a L. non meno di quindici figli.
Alla fine di quello stesso anno, il 7 novembre, nel castello di Ripaille da poco tempo ristrutturato, Amedeo VIII, dopo aver armato cavalieri i suoi unici due figli maschi, nominò L. luogotenente generale dei suoi Stati e si ritirò nell'eremo di cui aveva perfezionato la fondazione l'8 dicembre dell'anno precedente. Il ritiro a vita privata del duca non lasciava però le mani libere a Ludovico. Amedeo VIII continuò infatti a gestire le questioni importanti del Ducato, decidendo le nomine, ricevendo gli ambasciatori ed emanando atti ufficiali dove il luogotenente generale non è nemmeno menzionato. La situazione non cambiò neppure quando, il 17 dic. 1438, Amedeo VIII accettò formalmente l'elezione a pontefice proposta poco tempo prima dai padri del concilio di Basilea, proposta che lo condusse, il 6 genn. 1440, ad abdicare in favore di Ludovico. Paradossalmente i legami di Felice V, questo il nome che assunse Amedeo VIII, con i suoi domini uscirono ulteriormente rafforzati, soprattutto dopo che egli si insediò a Losanna, da dove controllò strettamente fino alla morte l'attività politica e istituzionale del Ducato. La costante intromissione di Amedeo VIII-Felice V negli affari dello Stato non contribuì certo a favorire l'autorità politica di L. I, che prese lentamente possesso di un'eredità difficile da gestire.
Dopo l'annessione del Principato di Acaia (1418) e i successivi ampliamenti territoriali in Lombardia, i due versanti alpini del Ducato erano giunti a un livello di parità economica e demografica che rendeva più complicato il governo di due entità dalle caratteristiche e dagli interessi spesso divergenti. In un contesto dove il duca era costantemente obbligato a negoziare i sussidi richiesti con le assemblee rappresentative e con gruppi di pressione antagonisti, il prestigio crescente della corte era causa di altre difficoltà nella misura in cui l'affermazione dell'autorità ducale finiva per scontrarsi con la resistenza della nobiltà, in perpetua ricerca di cariche e proventi e al contempo gelosa delle proprie prerogative e della propria autonomia.
I contemporanei, ma anche la storiografia moderna, concordano nel constatare la debolezza inaudita di L. I e della stessa Anna di Lusignano verso i nobili ciprioti giunti in Savoia al seguito della duchessa. Quest'eccessivo favoritismo divise i cortigiani fra coloro che si accordarono con i ciprioti e quanti invece, esclusi dal favore dei principi, non esitarono a cercare il sostegno di più potenti protettori all'esterno dello Stato sabaudo.
Le rivalità si concretizzarono nel 1446 con la creazione di una lega che riuniva nobili di importanti lignaggi savoiardi, determinati ad allontanare dalla corte Jean de Compey, signore di Thorens (Annecy), il quale, per compiacere la duchessa e mantenere una posizione di primo piano, si era allineato alla fazione cipriota. L. I, non si sa se per calcolo o per indifferenza, non reagì nemmeno al documento scritto che gli stessi congiurati gli comunicarono in anticipo. Aggredito e ferito nel corso di una partita di caccia (29 agosto), Compey sopravvisse e L. I volle perseguire duramente i colpevoli, ma ciò gli fu impedito sia dalla reazione delle Comunità e dell'Assemblea degli Stati sabaudi che richiesero il perdono, sia dal risolutivo intervento di Felice V il quale emanò, tramite lettere patenti, un'ordinanza di cancellazione delle condanne (2 marzo 1447). La larvata opposizione tra padre e figlio si manifestò nella presenza di alcuni dei maggiori oppositori di Compey nel Consiglio residente presso il primo, creato in occasione della guerra per la successione al Ducato di Milano (21 ag. 1447), mentre al contrario L. I, recatosi in Piemonte, continuò a elargire favori e protezione al suo favorito Compey, cui concesse il titolo di luogotenente generale di Piemonte.
Le divisioni interne alla nobiltà e le gravi difficoltà finanziarie furono all'origine dello smacco cocente (1449) della campagna militare contro Francesco Sforza, pretendente alla successione di Filippo Maria Visconti che, con il sostegno di Venezia, di Firenze e, in modo indiretto, del re di Francia, frantumò per lungo tempo il sogno espansionistico dei Savoia nel Milanese. Non appena morì Amedeo VIII (7 genn. 1451), che nel 1449 aveva rinunciato alla tiara pontificia e che papa Niccolò V aveva in seguito creato vescovo di Sabina e legato apostolico, L. I poté dare libero sfogo al suo desiderio di vendetta nei confronti dei congiurati che condannò a pene severe (Pont-de-Beauvoisin, 17 apr. 1451). Rifugiatisi alla corte di Borgogna e a quella francese, costoro richiesero l'intervento negli affari interni della Savoia dei loro protettori, suscitando in tal modo nuovo impulso alle mire egemoniche del re di Francia sul Ducato.
Le relazioni di L. I con Carlo VII, re di Francia, furono sempre tese. Il duca aveva apertamente sostenuto il delfino Luigi, i cui rapporti con il padre non erano dei migliori. Nel 1445, in seguito a un trattato concluso con Carlo VII (confermato a Ginevra dal delfino il 1( maggio 1446), L. I aveva rinunciato in favore di quest'ultimo ai suoi diritti sul Valentinois e il Diois, in cambio della rinuncia di Luigi all'omaggio che L. I gli doveva per il Faucigny. Per accattivarsi ancora di più la sua benevolenza, L. I gli aveva dato in sposa sua figlia Carlotta, senza chiedere il consenso di Carlo VII. Rasentando la sfida, l'unione fu stipulata a Ginevra il 14 febbr. 1451 e celebrata a Chambéry il 9 marzo seguente in occasione del matrimonio di Iolanda di Francia, sorella del delfino, con Amedeo, erede del Ducato di Savoia - non avvenuto quindi nel 1452, come abitualmente ritenuto -, ma per il quale non venne richiesto il formale assenso del sovrano francese, che anche in questo caso manifestò il suo disappunto.
Carlo VII accolse con favore i congiurati e obbligò L. I a recarsi in Francia per giustificare il suo operato e per ricevere ordini. A Cleppé, nel Forez, il 27 ott. 1452 il duca promise al re, che si assicurò puntualmente della sua esecuzione, il reintegro totale dei condannati. Il 7 luglio 1454, con un atto che era quasi un'abdicazione ai suoi diritti sovrani, L. I accettava l'arbitrato reale riconoscendolo d'anticipo esecutivo in Savoia. La sentenza (6 ag. 1454, ratificata da L. I il 24 agosto) restituiva ai condannati la pienezza dei loro diritti e imponeva il versamento in loro favore di una pesante indennità per i torti subiti.
La soluzione della vertenza favoriva l'egemonia della monarchia francese sul Ducato. Il contrasto si riaprì prepotentemente nel 1461 quando lo stesso figlio di L. I, Filippo conte di Bagé, che risiedeva presso la corte di Francia, prese la testa del movimento dei malcontenti. Profondamente ostile ai ciprioti, Filippo era altresì convinto che il cancelliere Giacomo Valperga di Masino - imposto a L. I dal delfino e reintegrato in tale carica, dopo un breve allontanamento, non appena questi divenne re di Francia (1461) - tramasse contro l'indipendenza del Ducato e contro la sua stessa persona. Partito per la Savoia all'insaputa di Luigi XI, Filippo fece uccidere a Thonon il maresciallo Jean de Varax marchese di Saint-Sorlin, supposto favorito di sua madre, e fece imprigionare Valperga il quale, sommariamente giudicato, fu annegato nel lago di Ginevra (11 luglio 1462); nello stesso tempo fu dato ordine di arrestare tutti i ciprioti di qualche rilevanza. Affrontando il furore di L. I e la disperazione di Anna di Lusignano, Filippo sottolineò la validità dell'obiettivo perseguito e si fondò sul sostegno dell'Assemblea dei tre stati riuniti a Ginevra. L. I si vide così costretto a perdonare suo figlio e la duchessa, che poté solo ottenere di riavere presso di sé la sua vecchia balia, ma che morì prima di averla rivista (11 nov. 1462).
Luigi XI riuscì comunque a isolare Filippo dai suoi alleati e a convincere L. I, scontento del perdono che gli era stato estorto, a recarsi in Francia per trattare direttamente con il sovrano tutti i problemi posti dalla nuova situazione del Ducato. Nonostante le suppliche di Filippo, L. I lasciò la Savoia il 14 giugno 1463 dirigendosi lentamente, a causa della gotta, verso Parigi dove incontrò il re a Saint-Cloud.
Privo del sostegno paterno, Filippo non poteva che cercare di riconciliarsi con Luigi XI oltreché con L. I, ma il re riuscì a farlo arrestare (12 apr. 1464), con grande soddisfazione, stando a quanto riferito dall'inviato milanese alla corte reale, di suo padre. Lo stesso L. I però fu il primo a richiedere un alleggerimento delle condizioni di detenzione del figlio, rinchiuso nel castello di Loches. Il soggiorno di L. I in Francia proseguì nei mesi successivi e si concluse (ottobre 1464) con una nuova tregua con il duca Carlo di Borbone per le ricorrenti liti in merito ai confini con il Beaujolais. In seguito il duca riguadagnò la Savoia. La morte sorprese L., lungo la via del ritorno, il 29 genn. 1465 a Lione dove il suo cuore fu deposto nella locale chiesa dei celestini, fondata da Amedeo VII, mentre le sue spoglie mortali furono ricongiunte con quelle di sua moglie nella cappella di Notre-Dame de Bethléem, da lei fondata nel 1457, nella chiesa dei minori conventuali di Rives a Ginevra.
Le crisi susseguitesi nel corso del suo regno non permisero a L. I di pensare a espansioni territoriali anche se queste rimasero il fondamento di tutta la sua politica ducale. I dissensi interni, l'intrinseca penuria finanziaria e le opposizioni delle grandi potenze italiane annullarono gli enormi sforzi di L. I per conquistare il Ducato di Milano. Ebbe più fortuna a Nord dove riuscì a ottenere l'omaggio degli abitanti di Friburgo, minacciati dalla città di Berna e non più sostenuti (10 giugno 1450) dal duca d'Austria Alberto. Il proseguimento del sogno "mediterraneo", che già era stato di Amedeo VIII, con il matrimonio del suo secondogenito Ludovico con Carlotta di Lusignano, nipote della duchessa Anna e presunta erede del Regno di Cipro, si risolse con uno smacco e si rivelò un baratro finanziario per i continui sussidi reclamati dal figlio.
Le risorse del Ducato sabaudo, la cui gestione era complessa a causa della cronica impossibilità di stabilire previsioni di entrata e di uscita, si esaurirono con i costi delle iniziative ducali: il sostegno alla funzione di pontefice di Felice V, la guerra in Lombardia, il tenore di vita della corte rappresentarono un carico insostenibile per le casse ducali. Nonostante i diversi progetti di riforma che gli furono sottoposti, L. I esaurì ben presto il suo credito e, per la impossibilità di contare su sudditi sufficientemente numerosi e abbastanza ricchi da sostenere prestiti forzosi, moltiplicò la tendenza ad attribuire cariche come retribuzioni per i servizi resi.
L. I e Anna furono principi devoti. Oltre i favori che accordarono al clero regolare (diritti giurisdizionali ai priorati benedettini di Neuville en Bresse, Talloires e Saint-Jeoir e) e le fondazioni di cappelle e conventi (Torino, Nizza, Cognin), essi riuscirono a farsi cedere da Margherite de Charny la reliquia della S. Sindone (22 marzo 1452). Benché non sia mai stata questione, trattandosi di una reliquia, di cessione venale o forzosa, va constatato che Margherite de Charny, il cui nipote acquisito François de La Palud, signore di Varambon, era stato uno dei capi della congiura contro Jean de Compey, fu poi indennizzata (22 marzo 1453) della perdita dei suoi diritti sul castello e le terre di Varambon, della quale era stata privata a seguito delle condanne di Pont-de-Beauvoisin.
Personalità apparentemente istruita e raffinata, L. I seguì le orme paterne mantenendo nelle loro cariche il maestro di cappella Guillaume Dufay e il segretario Martin le Franc. Ma, benché si sappia che egli avesse commissionato almeno un manoscritto di pregio, non fu mai un collezionista e non restano tracce d'importanti cantieri posti sotto il suo patronato. La corte di Savoia, itinerante tra Thonon, Ginevra, Chambéry e Torino, brillò nel corso del suo regno per le feste e i tornei allestiti. La sfida, che durò tre giorni in presenza di L. I e della sua corte, tra Jean de Compey e il cavaliere siciliano Giovanni di Bonifacio (12 dic. 1449) ebbe una tale eco da far sì che L. I accettasse qualche anno più tardi, il 5 ott. 1457, l'invito a presiedere un'identica tenzone, che non ebbe poi luogo, tra Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini, e Federico di Montefeltro.
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