BREME, Ludovico Giuseppe Arborio Gattinara conte di Sartirana marchese di
Nacque a Parigi il 28 ag. 1754 da Ferdinando. ambasciatore del re di Sardegna presso la corte di Francia e da Carlotta dei conti Solaro di Moretta. Intrapresa la carriera militare, il 19 sett. 1771 divenne affiere nel reggimento provinciale di Torino. Il 20 ottobre successivo, a soli 17 anni, sposò Marianna Dal Pozzo dei principi della Cisterna. Avanzando in carriera, il 3 apr. 1776 fu nominato secondo scudiere della principessa Clotilde di Piemonte e nel 1781 fu promosso capitano dei granatieri.
Ma l'anno dopo, per le pressioni del conte di San Martino, ministro degli Esteri, si lasciò convincere ad interrompere la carriera militare e ad intraprendere, sulle orme del padre, quella diplomatica. Nel luglio 1782 partì alla volta di Napoli destinato a sostituire il ministro Camerana, colpito da apoplessia, in qualità di inviato straordinario del re di Sardegna. Fu accolto a corte e invitato alle villeggiature di Caserta, Portici e Castellammare, nonché alle cacce e alle gite dei sovrani alla stessa stregua dei ministri d'Austria, d'Inghilterra e di Russia, ma non ne parve lusingato. Nel 1784 rientrò a Torino per preparare la visita dei reali di Napoli, che avvenne l'anno seguente e che lo vide nelle vesti di direttore dei festeggiamenti e di guida nella visita dello Stato.
Tornato quindi a Napoli, il B. trattò vari affari tra i quali erano la sistemazione dei priorati dell'Ordine di Malta (nel 1783 aveva ricevuto la croce di commendatore di Malta dal gran maestro Emanuele di Rohan), la cessione, contestata dall'imperatore Giuseppe II, alla corona di Sicilia del dazio che il sovrano sardo riscuoteva da tutte le bandiere nelle acque di Villafranca Tirrena e la predisposizione delle basi per il trattato di commercio tra Napoli e Torino. Nella primavera del 1786 (ma ancora il 23 maggio di quell'anno aveva spedito a Torino una notevole relazione sul governo, la magistratura, le finanze, l'apparato militare, il commercio e la politica estera della monarchia borbonica) fu nominato ambasciatore del re di Sardegna nella più importante e più difficile sede di Vienna.
Tra questa corte e quella sarda, invero, pendevano vertenze da lungo tempo insolute. L'Austria si rifiutava di riconoscere alla corte di Savoia il diritto all'esercizio del vicariato generale dell'Impero su tutti gli Stati italiani (rivendicato per antiche concessioni in caso di interregno o di "troubles" che impedissero all'imperatore di occuparsene direttamente), nonché il possesso del marchesato di Pregola, ceduto dall'Austria allo Stato subalpino in esecuzione del trattato di Worms e successivamente ripreso come indebitamente ceduto, e Vittorio Amedeo III, come già Carlo Emanuele III, rifiutava l'investitura, (limitandosi a presentarne la "requisitoria" in tempo utile) per quella parte degli Stati sardi "qui rélevait de l'Empire" esigendo che la sua "renovatio" comprendesse il marchesato di Pregola.
Inviando a Vienna il B., il sovrano sardo non coltivava tuttavia illusioni. "Nous nous sommes fixés - gli diceva nelle istruzioni - dans l'opinion que nous ne pouvons jamais espérer de faire aucune bonne affaire avec la Cour de Vienne". E difatti il B., incaricato di sondare le reazioni austriache a tutta una serie di proposte (matrimonio del duca d'Aosta, secondogenito del re e probabile erede al trono per mancanza di eredi del principe ereditario, con la figlia del granduca di Toscana Pietro Leopoldo, la restituzione del marchesato di Pregola, la cessione dei feudi delle Langhe e la sostituzione dell'isola di Sardegna con province di terraferma), s'avvide subito - come osserva il Carutti - che "la era troppo grave macchina, e che a nulla approderebbe" (I, p. 87).
Il B. rimase comunque tenacemente impegnato a risolvere le vertenze e a tutelare gli interessi del suo paese. Quando, morto Giuseppe II e apertasi la via al trono imperiale davanti a suo fratello Pietro Leopoldo, granduca di Toscana, si temette l'unione di questa all'Impero, il B. sottolineò in un memoriale i pericoli incombenti sul Piemonte e additò nell'alleanza con la Spagna e l'Inghilterra l'unica e urgente direttiva da seguire. A Francoforte poi, dove era stata convocata la Dieta per l'elezione del nuovo imperatore, condusse, da luglio a ottobre 1790, con l'aiuto di G. Negelin di Blumenfeld "Concilii Imperialis ... Aulici agens", logoranti negoziati con gli "ambasciatori elettorali" dei paesi membri dell'Impero per far riprendere a Vittorio Amedeo, III il diritto di "sedia e di suffragio" alla Dieta e anche per ottenergli l'elettorato (Piscitelli, p. 25). Ma né quelle, né le pratiche per le questioni del vicariato generale e delle investiture andarono a buon fine (cfr. tra le cartelle conservate nell'Archivio storico del ministero degli Esteri, particolarmente le XXIII-XXV), senza peraltro che la corte di Torino se ne mostrasse eccessivamente amareggiata (cfr. dispaccio al B., 2 ott. 1790). D'altra parte, lo scoppio e gli sviluppi della rivoluzione francese avevano creato preoccupazioni ben più gravi. Il B. a Francoforte saggiò quindi le disposizioni dei membri dell'Impero e dello stesso imperatore nei riguardi di eventuali progetti controrivoluzionari. Benché persuaso (cfr. dispaccio 8 ott. 1790) che per il momento non si potesse fare affidamento né sugli uni, né sull'altro, l'11 novembre successivo inviò a Torino una sua memoria (Archivio storico ministero Esteri, cart. XVII, Examen impartial des démarches et de la conduite que les circonstances du moment semblent suggérer préferablement au Cabinet de Turin), nella quale, in disaccordo con parte dei consiglieri di corte, sosteneva l'opportunità di cercare l'avvicinamento all'Austria.
Quando nel luglio 1791 (dopo il fallito tentativo di fuga dei sovrani francesi) fu lo stesso Leopoldo II a invitare Vittorio Amedeo III ad aderire a una lega di Stati per "mettere un confine agli eccessi della rivoluzione" e il re di Sardegna si dichiarò "pronto ad entrare nell'unione" alla condizione (riconosciuta ragionevole dall'imperatore) di essere aiutato in caso di invasione del suo Stato, tramite il B. furono gettate le basi di quell'alleanza risultata poi tanto nefasta al Piemonte. Rivelata dalla dichiarazione austro-prussiana di Pillnitz (27 ag. 1791) e dal trattato austro-prussiano del 7 febbr. 1792 l'ambiguità della politica austriaca, il B. chiese dei chiarimenti al Kaunitz ed ebbe modo di sperimentare quella che il Bianchi definisce "sprezzante noncuranza" dell'Austria nei confronti di uno Stato ormai impossibilitato a stringere alleanza con la Francia. Vittorio Amedeo III esperì allora un tentativo di lega tra Stati italiani: poi il fallimento di questo, l'incombente minaccia d'invasione da parte francese e spiegazioni austriache accreditate dallo stesso B. lo consigliarono a rivolgersi nuovamente a Vienna.
Il 20 maggio furono inviate al'B. due "plenipotenze": una per la lega generale e l'altra per il trattato particolare con l'Austria che prevedeva il risarcimento delle spese di guerra, adeguati rinforzi delle truppe imperiali in Italia e aiuti in armi e denaro. Ma il 15 giugno l'Austria faceva sapere a Torino, attraverso il B., che, costretta a mantenere due eserciti sul Reno, non poteva intervenire direttamente in Italia con forze superiori agli 8.000 uomini promessi a suo tempo e per i quali non era necessaria alcuna convenzione militare. Più tardi, a Coblenza, il B., che si era recato a Francoforte per assistete all'elezione imperiale, del nuovo imperatore Francesco II e dove aveva visitato i campi delle armate prussiane, austriache e degli emigrati francesi, ascoltò da Federico Guglielmo II altre dichiarazioni indicative dell'atteggiamento dilatorio e ambiguo della corte di Vienna, non modificato neppure dall'invasione e occupazione di Nizza e della Savoia.
Anche se arrivarono gli 8.000 uomini promessi ed anche se venne il generale austriaco Devins a prendere il comando delle operazioni militari in Piemonte (Vittorio Amedeo III, mancando di generali propri, aveva chiesto un generale austriaco e lo stesso B. gli aveva consigliato quel Devins che peraltro si sarebbe dimostrato tanto mediocre stratega quanto ottimo strumento della politica austriaca), parve che il gabinetto di Vienna più che aiutare i Piemontesi a fermare i Francesi favorisse l'occupazione degli Stati sardi nella speranza di rimpiazzare appena possibile e stabilmente i Francesi. Convinto di ciò, il 12 apr. 1793 il B. costrinse il Thugut, nuovo responsabile della politica estera austriaca, a buttare giù la maschera. Emerse da quel colloquio e da successive precisazioni che l'Austria non intendeva versare il sangue dei suoi popoli in difesa del Piemonte senza una "comune utilità" e che questa veniva ravvisata nell'ampliamento dello Stato sardo a spese del territorio francese conquistato congiuntamente da Piemontesi e Austriaci e nella cessione all'Austria di pari territorio a spese dei paesi tolti al Milanese coi trattati del 1703, 1735 e 1748.
Il B. si era ormai convinto che una guerra offensiva contro la Francia, oltre che dubbia sul piano militare, avrebbe, pregiudicato anche ogni possibile accordo futuro con la stessa e che l'Austria, dietro il pretesto della comune utilità, perseguiva l'esclusivo suo interesse territoriale. Divenne così difficile la sua missione a Vienna. Prima che l'ulteriore peggioramento della situazione militare spingesse Vittorio Amedeo III ad accettare, con il trattato di Valenciennes, le reiterate proposte del Thugut, avvenne il suo richiamo in patria. Il B. tornò così a Torino nel febbraio del 1794, ponendo termine a una missione durata otto anni, durante i quali, a differenza di tutti gli inviati straordinari e ministri plenipotenziari alternatisi nella capitale austriaca tra il 1774 e il 1796, si era dimostrato - a giudizio del Bianchi - "esperto e degno diplomatico". Aveva anche acquistato una sicura benemerenza ordinando, con l'aiuto di G. A. Rossi, le carte dell'Archivio della legazione (Catalogue des papiers contenus aux Archives de la Commission de Vienne redigé par le marquis de Brême, Vienna. 24 apr. 1791, ms.), raccogliendo documenti relativi alle vertenze feudali con l'Impero e lasciando con la ordinata documentazione della sua attivita un vero modello ai successori.
Già ciambellano del re, più volte chiamato al Consiglio nel 1793, gli fu proposta l'ambasciata di Spagna, ma la rifiutò, mentre nel 1795 fu nominato gentiluomo di camera e l'anno dopo tesoriere della SS. Annunziata. Divise allora il suo soggiorno tra Torino, dove avrebbe cercato invano di far accogliere dal re un suo piano atto a prevenire la disastrosa pace di Cherasco, e l'avito castello di Sartirana, in Lomellina, dedito alla famiglia e all'amministrazione dei suoi cospicui possedimenti.
Proprio a Sartirana, nel dicembre 1798, lo raggiunse la notizia dell'occupazione del Piemonte e della capitale da parte francese. Accorso a Torino, vi giunse la notte del 9-10 dicembre, poche ore dopo l'abdicazione di Carlo Emanuele IV. A Crescentino, durante il viaggio, era stato privato dei cavalli, ma ben altre vessazioni patì dal nuovo governo. Fu costretto a grosse contribuzioni in denaro e in derrate e subì spoliazioni di bestiame e di quant'altro poteva servire al bisognoso esercito invasore. Alcuni mesi dopo, inoltre, fu, con una quarantina di esponenti delle principali famiglie piemontesi, tradotto a Grenoble e poi a Digione e ivi trattenuto come ostaggio per quattordici mesi. Liberato, assieme agli altri, dopo Marengo e la riconquista del Piemonte da parte di Napoleone, ritornò nel suo castello di Sartirana in Lomellina, che l'anno seguente passò con il Novarese e il Vigevanese a far parte del territorio della Repubblica cisalpina sotto il nome di dipartimento dell'Agogna.
Trasformata nei comizi di Lione del gennaio 1802 la Repubblica cisalpina in Repubblica italiana, il "cittadino" B., adattatosi al nuovo stato di cose, accettò poi la nomina a presidente del Consiglio e della commissione amministrativa del dipartimento dell'Agogna. Tenne la carica per undici mesi, fino alla fine del 1803. Si distinse in attività organizzative e nell'impegno posto nella propagazione della vaccinazione. Risale a questo periodo (Novara 1802) la pubblicazione della Confutazione della statistica dell'Agogna del prefetto Lizzoli cuifece riscontro, l'anno seguente, la Memoria del cittadino Arborio Breme,ristampata dal cittadino L. Lizzoli con annotazioni per servire di supplemento alle Osservazioni sul dipartimento dell'Agogna, Milano 1803.
Recatosi nel marzo 1805 a Milano per assistere ai festeggiamenti per l'incoronazione di Napoleone a re d'Italia, si sentì proporre dal viceré Eugenio Beauharnais la nomina a consigliere di Stato, che accettò per volontà espressa di Napoleone. Nel settembre seguente fu nominato commissario generale presso l'armata franco-italica del generale Massena con il delicato incarico di provvedere alla sua sussistenza con i contributi dei vari dipartimenti e assolse l'incarico riuscendo ad armonizzare gli interessi di questi con le esigenze di quella. Poco dopo fu nominato intendente generale di un'armata di riserva adunata sotto il comando del viceré Eugenio a Bologna.
Proprio qui, verso la fine del dicembre 1805, lo stesso viceré gli comunicò Pintenzione di Napoleone di porlo (al posto del conte Daniele Felici di Rimini) alla guida dell'importante ministero degli Interni del Regno d'Italia, al quale facevano capo anche la Pubblica Istruzione e i Lavori Pubblici, considerati da Napoleone branche della pubblica amministrazione, e al quale, con decreto del 21 dic. 1807, sarebbe stata devoluta la pubblica beneficenza, già di competenza del ministero per il Culto. Il B. tentò di declinare l'impegnativo incarico, ma una lettera, confidenziale e piena di espressioni lusinghiere, dell'imperatore (Monaco, 3 genn. 1806) lo indusse ad accettare.
Preso possesso della carica (16 gennaio), vi si dedicò, com'era suo costume, con passione e fermezza. Riorganizzò ramministrazione del Regno, che si accrebbe di altri dieci dipartimenti; operò opportuni interventi nei settori della pubblica istruzione e delle belle arti, nonché dei lavori pubblici (abbellì Venezia e Bologna, eresse un liceo convitto in Novara, fece costruire l'Arena, il campo di Marte, i passeggi pubblici e vari edifici a Milano); riordinò l'amministrazione dell'immenso patrimonio (circa 400 milioni) degli istituti di beneficenza (ospizi e ospedali) e, soprattutto, decise il bando della mendicità, adattando ricoveri per bisognosi nei dipartimenti dell'Olona, dell'Alto Po e del Reno; incoraggiò, ricorrendo anche a mezzi propri, l'uso del vaccino in tutto il Regno e introdusse il metodo del mutuo insegnamento. Per ragioni di salute e forse anche per dissensi con il viceré chiese due volte nel 1808 (maggio e luglio) di essere esonerato, ma le sue dimissioni furono accolte di fatto soltanto il 24 ott. 1809, dopo che il 10 ott. 1809 ora stato provveduto alla nomina del suo sostituto Luigi Vaccari.
Per i servizi resi, il 2 dic. 1809 Napoleone lo nominò senatore e conte dell'Impero e il 19 luglio 1810 presidente del Senato. Fu quindi a due riprese presidente del Collegio elettorale del suo dipartimento, mentre rifiutò l'offerta della carica di cavaliere d'onore della regina "en attendant qu'une des grandes dignités de la couronne vînt à vaquer".
Dopo Lipsia non ebbe più dubbi sulresito dell'avventura napoleonica. Espresse al Melzi (cfr. lettera di questo al viceré Eugenio del 2 nov. 1813) le sue inquietudini per il destino del paese e formulò proposte per l'eventualità della partenza della corte. Non partecipò, dandosi ammalato, alla seduta straordinaria del Senato tenutasi nel pomeriggio del 17 apr. 1814. Il 4 maggio si dimise da tutte le cariche pubbliche e restituì le decorazioni, fra cui quella di gran dignitario della Corona di ferro, avuta da Napoleone, notificando al governo provvisorio la sua intenzione di ritornare suddito piemontese.
Il governo del re di Sardegna non esitò a riconoscere, secondo la testimoni della Gazzetta di Torino del 25 luglio 1816, "i titoli di quell'illustre personaggio alla benevolenza del Principe, e alla fiducia dello Stato", ma - come scrisse il figlio Ludovico in una nota del suo Grand Commentaire - volle anche rispettare "l'honorable repos auquel M. de Brême a acquis tant de droits".
Lontano dalle cariche pubbliche (tenne soltanto la carica, affidatagli da Vittorio Emanuele I, di gran tesoriere dell'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro), visse allora da gran signore e filantropo, alternando il suo soggiorno tra Torino e l'avito castello di Sartirana.
Il B., su cui, come ministro dell'Interno, si era appuntata la satira di M. Gioia dopo il suo licenziamento da capo dell'Ufficio di statistica del Regno italico (La scienza del povero diavolo, 1809;cfr., sulla vicenda, Giusti e Barucci), fu fatto oggetto nel 1816, colfiglio Ludovico, di un denigratorio profilo nella Biographie des hommes vivants, appendice della Biographie universelle dei Michaud, opera dell'abate Aimé Guillon de Montléon. Replicò il figlio Ludovico nel suo Grand Commentaire e il B. stesso con una Lettre du marquis Arborio Gattinare de Brême à ses fils à Milan, datata Sartirana 24apr. 1817 e stampata in quell'anno prima a Ginevra poi a Brescia. Anche il Coraccini, nella sua monografia sull'amministrazione del Regno d'Italia del 1823, mosse rilievi sulla sua gestione del. dicastero dell'Interno, provocando una nuova rettifica del B.: le Observations sur quelques articles peu exacts de l'histoire de l'administration du Royaume d'Italie pendant la domination des Français... (Torino 1823).
Frattanto le vicende del '21 piemontese avevano dato origine a nuovi motivi di polemiche intorno al B., che, nel marzo, aveva rifiutato la nomina (accettata poi da L. Sauli d'Igliano) a ministro degli Esteri offertagli dal reggente Carlo Alberto, già amico del figlio Filippo perito tragicamente due anni prima. Come l'offerta aveva scandalizzato il Beauchamp, così il rifiuto stupì dolorosamente il Santarosa, che si sarebbe aspettato maggiore coraggio dall'"illustre capo d'una famiglia tutta Italiana".
Ma nell'opuscolo Brevi osservazioni di un piemontese intorno alcune inesattezze di quattro racconti venuti in luce sopra la tentata rivoluzione del Piemonte, stampato anonimo a Parma nel 1822 e giustamente considerato dal Cian "documento di fiero lealismo sabaudo", il B. non solo confutò le accuse del Beau, champ e attaccò gli anonimi autori degli altri "racconti" del moto piemontese, ma, in risposta al Santarosa, dichiarò che da quando il suo patrimonio era tornato nuovamente a far parte degli Stati del re di Sardegna il capo di quella famiglia, "non avvezzo ad osservare gli oggetti politici con occhiali appannati dai vapori di una immaginazione riscaldata, considerò se stesso (e le sue azioni lo confermarono) come capo di una famiglia Piemontese". Narrava quindi del suo fermo atteggiamento dinanzi alle agitazioni politiche della provincia di Alessandria "con le quali era a contatto", e della sua noncuranza di fronte alle "millanterie e la pretesa autorità della giunta rivoluzionaria di quella città, nel circondario di cui era sindaco", persuaso "che il primo dei doveri di un uomo che stima se stesso ed ama sinceramente la patria, è di non porla a soqquadro e di far sì che ciò per altri non accada".
In realtà l'ex diplomatico della inonarchia sabauda e l'ex ministro e senatore napoleonico era rimasto tenacemente e coerentemente attaccato all'ideale dello Stato assoluto e ordinato, al punto di ritenere "qu'il n'y a de ministère vraiment utile que celui de la police", da definire "idéologues" gli scrittori esaltanti la libertà di stampa e condannare vivamente l'articolo sull'educazione e le pagine sulla morale politica nelle quali il figlio aveva enunciato nel Grand Commentaire i suoi moderni ideali pedagogici ed eticopolitici (cfr., per il contrasto delle loro idee, le lettere del figlio alla Staël, dic. 1816 e giugno 1817, al Confalonieri, febbr. 1817, e al Sismondi, luglio e sett. 1817).Chiuso e diffidente (diffidenza scaturita dalle vicende del tormentato periodo storico da lui vissuto) sul piano politico, il B. fu invece aperto e moderno sul piano degli interessi culturali e delle istanze sociali. In rapporti, dall'inizio della sua attività diplomatica agli ultimi anni della sua operosa vita, con letterati, artisti, editori e studiosi, fu mecenate munifico, eccellente bibliofilo e apprezzato cultore di studi storico-filosofici e di scienze socio-economiche e tecnico-agrarie.
Manifestò il suo gusto per l'arte tipograficoeditoriale sin dal 1786. Acquistato a Napoli il prezioso autografo della traduzione dal greco in toscano fatta da Annibal Caro degli Amori pastorali di Dafni e di Cloe di Longo Sofista, ne fece curare a sue spese, da parte di G. B. Bodoni (con il quale il B. sarebbe riniasto in corrispondenza per lunghi anni e che il figlio letterato avrebbe incluso nella schiera dei Piemontesi illustri e "uomini italici" accanto all'Alfieri, al Denina, al Caluso e ad altri), una splendida edizione in soli 56 esemplari.
Nel 1818 istituiva un premio di una "medaglia dal valore di trenta zecchini" da assegnare attraverso l'Accademia delle Scienze di Torino alla "migliore dissertazione sopra il merito tragico" dell'Alfieri, la cui memoria era in quegli anni oggetto di aspri attacchi, e del quale il B. era stato amico personale e corrispondente.
Altri corrispondenti del B. furono Bettinelli, Cuoco, Cesarotti, P. Balbo, G. Acerbi, Galeani Napione di Cocconato, e soprattutto C. Denina, suo maestro e amico nonché ispiratore del figlio Ludovico, e che nel 1782, quando era inviato straordinario presso la corte di Napoli, gli aveva dedicato l'Elogio di Mercurino da Gattinara, suoantenato.
Cultore di studi economici, istituiva nel 1818 (cfr. Gazzetta piemontese, 30 giugno 1818) un premio per chi avesse presentato "un trattato elementare ragionato sopra diverse parti dell'economia politica il più opportuno a servire da guida tanto per la sostanza quanto per la disposizione delle materie ai professori di questa scienza".
Ammiratore, come il figlio Ludovico, dell'Istituto Hofwyl, amico del conte Luigi di Villevieille "braccio destro del Fellemberg" - come ricorda il Calcaterra - ed esperto di problemi agricoli, il B. scrisse nel 1824 una memoria, pubblicata dalla R. Società agraria di Torino, Sulla utilità delle masserie d'esperimento, arricchita di riflessioni riguardanti l'agricoltura in generale e corredata di disegni degli attrezzi di campagna impiegati a Hofwyl nelle masserie del famoso Fellemberg con la specifica delle loro dimensioni e del loro impiego.
Il B. mantenne inoltre sempre vivo quell'interesse dimostrato per la diffusione dell'istruzione sin da quando, prima ancora che i comuni avessero l'obbligo dell'istruzione elementare, aveva fondato a Sartirana una scuola dotandola di locali e di insegnanti da lui stipendiati e ribadito quando, reggendo, in qualità di ministro dell'Interno del Regno d'Italia, anche la branca della Pubblica Istruzione, aveva favorito la diffusione del metodo cosiddetto del "mutuo insegnamento", cioè dell'insegnamento che i ragazzi più progrediti impartivano a quelli più ritardati sotto la sorveglianza di un maestro, che poteva in tal modo istruire scolaresche anche numerosissime (cfr. a proposito D. Bertoni Jovine, Storia della scuola popolare in Italia, Torino 1954, pp. 93-100). "Capo del movimento lancasteriano in Piemonte", il B. gradì nel 1816 la dedica della traduzione, fatta dietro suo consiglio e con la sua sovvenzione, del Compendio del metodo di insegnamento,di educazione di Giuseppe Lancaster e nel 1819 fondò a Sartirana una scuola organizzata secondo quel metodo. Lo stesso anno difese il dott. Bell, coideatore del metodo, con la pubblicazione in forma di dialogo "sans rien changer au texte" di una seconda edizione di Des systèmes actuels d'éducation du peuple par Robiano de Borsbech (Milano).
Apprezzabile è pure il contributo dato dal B. agli studi politici e filosofici. Egli, che fin dal 1802 aveva tradotto dal tedesco in francese il discorso del principe-primate Dalberg De l'influence des sciences et des beaux-arts sur la tranquillité publique (edito dal Bodoni a Parma), pubblicò nel 1818 a Parigi lo scritto Coupd'æil sur la manière la moindre préjudiciable et moins coûteuse de fournir auxbesoins de l'état, mentre nel 1823 fece stampare a Parma le Maximes et réflexions politiques,morales et religieuses extraites des Mémoires de Stanislas Leczinski e nel 1827 fece stampare a Torino, corredata di note, la traduzione dal francese dell'opera dell'abate Boegert, La filosofia guidando l'uomo alla religione ed alla felicità, nella quale, avendo dovuto egli rinunciare per l'età avanzata a portare a termine una sua personale ricerca condotta quello scopo "nel corso dei non pochi suoi anni", riteneva dimostrato che "le dottrine filosofiche di ogni età non andarono mal realmente disgiunte dalla credenza di un Dio creatore ed ordinatore".
Il B. morì nel 1828 a Sartirana, dove si era ritirato dopo la tragica morte del figlio Filippo e la precoce scomparsa del figlio Ludovico.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Autografi, cart. 116, fasc. 10; cart. 77, fasc. B. 5; Ibid., Archivi del Regno d'Italia,passim;Ibid., Serie "Studi", Parte Moderna, cart. 1187 (rapporti B.-M. Gioia); Parigi, Archives Nationales, AF14 (Royaume d'Italie),passim;Novara, Museo civico, Archivio storico, Dipartimento dell'Agogna,passim;Parma, Bibl. Palatina, Carteggi bodoniani (vi sono comprese 46 lettere del B., 1785-1816); Roma, Arch. stor. del minist. d. Esteri, Legazione sarda in Vienna, cartelle XI-XXVI (fondamentali per l'attività diplomatica del B. in quella sede); Ibid., Legazione sarda a Pietroburgo, cart. 2, f. 3; Sartirana (Pavia), Castello, Arch. della famiglia Breme (esplorato nel 1938 dal Cian, che vi trovò interessanti carteggi del B.); Archivio di Stato di Torino, Sez. I, Arch. Alfieri, mazzo 40, f. 25 (lettere degli anni 1806-1814); Ibid., Cerimoniale. Nascite e battesimi, mazzo 1 d'addizione: Relazione della cerimonia del battesimo, 1º dic. 1754, con copia della fede di battesimo; Ibid., Materie politiche,Negoziazioni con Napoli, mazzo 1, n. 14 (Istruzioni di S. M. al marchese Arborio Gattinara di Breme destinato inviato straordinario presso il Re delle Due Sicilie, 13 giugno 1782); mazzo 1, n. 15 (Nuova istruzione di S. M. al suo inviato straordinario alla corte di Napoli signor marchese di Breme, 28 ott. 1785); e mazzo 2, n. 1 (Relazione a Sua Maestà mandata dal marchese di Breme inviato straordinario alla corte di Napoli,riguardo alla natura,del governo di quella monarchia,ai tribunali,magistrati e segreterie di stato della medesima,alle finanze,al militare,al commercio,consolato,e ristabilimento di Messina,e finalmente al sistema politico esterno di quella corte. Con diverse memorie relative, 23 maggio 1786);Ibid., Catalogue des Papiers contenus aux archives de la Commission de Vienne redigé par le marquis de Brême, ms., Vienna 24 apr. 1791; Biographie des hommes vivants..., Paris 1816, I, 1, pp. 474 s. (poi in Biogr. Univ., Paris 1854, V, p. 466); A. de Beauchamp, Histoire de la Révolution du Piémont et de ses rapports avec les autres parties de l'Italie et avec la France, Paris 1821, p. 66 nota; F. Coraccini (G. Valeriani?), Storia dell'ammirústrazione del Regno d'Italia durante il dominio francese, Lugano 1823, pp. XXXI, LXXII, 172; Icarteggi di Francesco Melzi d'Eril, V, Milano 1965, ad Indicem;VIII, ibid. 1965, p. 448; IlRegno d'Italia, ibid. 1965, ad Indicem;L. di Breme, Lettere, a cura di P. Camporesi, Torino 1966, ad Indicem;Id., Grand Commentaire, a cura di G. Amoretti, Milano 1970, ad Indicem;G. De Gregory, Istoria della vermellese letteratura ed arti, IV, Torino 1824, pp. 87-91; N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773 al 1861, 2 ediz., I, Torino 1880, pp. 595 s., 663-72; II, ibid. 1878, pp. 53 s., 62, 86, 94, 99-107, 114; G. De Castro, Milano durante la dominazione napoleonica, Milano 1880, pp. 278-280 e 396; D. Carutti, Storia della corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero francese, Torino 1892, I, passim tra p. 62 e p. 233; II, pp. 366, 407-410; L. Sauli d'Igliano, Reminiscenze della propria vita, a cura di G. Ottolenghi, Roma-Milano 1908, I, pp. 461-465; F. Lemmi, Diplomatici sardi del periodo della rivoluzione (1789-1796), Torino 1920, pp. 14-25; S. di Santarosa, La rivoluzione piemontese nel 1821, a cura di A. Luzio, Torino 1920, p. 134; G. Capponi, Sull'educazione e scritti minori, a cura di E. Codignola, Firenze 1921, p. 111; L. di Breme, Polemiche, a cura di C. Calcaterra, Torino 1923, pp. LXXXII, 5-6; P. Monroe-E. Codignola, Breve corso di storia dell'educazione, II, Firenze 1924, p. 253; A. Luzio, Il canonico Marentini e le sue discolpe a Carlo Felice, Torino 1923, p. 15; G. Vidari, Scuole mutue e asili d'infanzia agli albori del Risorgimento, in Rivista Pedagogica, XX(1927), pp. 3-18 (del B. alle pp. 8 s. dove l'autore fa confusione tra il B. e suo figlio letterato); G. Vidari, L'educazione in Italia. Dall'umanesimo al Risorgimento, Roma 1930, pp. 257 ss.; C. Gorla, L. di B., Pavia 1934; V. Cian, Nel castello ducale di Sartirana, in Giornale storico della letteratura italiana, LVI(1938), pp. 280-298; R. Bergadani, Vittorio Amedeo III, Torino 1939, ad Indicem;E. Piscitelli, La legaz. sarda in Vienna (1707-1859), Roma 1950, ad Indicem; I manifesti romantici del 1816..., a cura di C. Calcaterra, Torino 1951, pp. 77-79; R. Giusti, M. Gioia e l'"Ufficio di statistica" del Regno ital., in Studi in on. di A. Sapori, II, Milano 1957, pp. 1375-90; P. Barucci, Il Pensiero econ. di M. Gioia, Milano 1965, pp. 26 ss.; A. Manno, Il patriz. subaltino, II, Firenze 1906, p. 71 (dove, come data di morte del B. viene indicato l'anno 1827 successivamente rettificato dallo stesso Manno); Dizionario del Risorgimento nazionale, II, pp. 402 s.