FULCI, Ludovico
Nacque a Santa Lucia del Mela, presso Milazzo, il 1° genn. 1850 da Antonio e da Antonina Taccone.
I Fulci di Santa Lucia del Mela, nobili originari di Tropea, si erano trasferiti in Sicilia nel XVI secolo. Il padre era avvocato e titolare della cattedra di diritto civile presso l'università di Messina. Insieme con il penalista A. Faranda dirigeva la rivista Temi Zanclea, alla quale il F. collaborò appena ventiduenne.
Dopo essersi laureato in giurisprudenza all'università di Messina, nel 1873 iniziò a esercitare la professione di avvocato penalista, dimostrando altresì una propensione per gli studi giuridici che venne confermata dal suo primo lavoro: Di alcuni problemi giuridici fondamentali (Messina 1879). L'opera, piuttosto breve, concerne più la filosofia del diritto che non il diritto penale e si occupa di tematiche di base: la nozione di Stato, il concetto stesso di diritto e i suoi rapporti con la morale.
Viene ricercato il fondamento del diritto nella tutela dell'indipendenza della personalità umana e della sua libertà. In quanto tale il diritto non è preposto all'ordine morale, nel senso che esso non comanda o vieta ciò che la morale richiede venga comandato o vietato, ma impartisce comandi o divieti al solo scopo di garantire il sussistere della personalità umana, cosicché i due ordini - quello morale e quello giuridico - pur avendo interrelazioni non si esauriscono l'uno nell'altro.
Molto sottile fu al riguardo la critica del F. alle posizioni di T. Mamiani. La morale non si accontenterebbe del solo adempimento del dovere, ma anche del fatto che l'agente sia mosso da "pura intenzione": su tale punto il Mamiani aveva invece sostenuto la coincidenza tra morale e diritto (giacché, nel fenomeno giuridico, si ricerca sempre se il soggetto abbia o meno agito volontariamente). Per il F. tutto ciò risulterebbe invece viziato nel punto in cui si confonde la purezza delle intenzioni con la libertà della volizione, mentre i due aspetti andrebbero tenuti ben distinti. Una conseguenza importante è inerente alla natura della pena, che non può trarre la sua legittimità dalla propria efficacia intimidatoria, di per sé utile alla società, dal momento che nemmeno lo Stato può servirsi della personalità umana - fondamento stesso del diritto - schiacciandola con la punizione come mezzo per intimidire tutti gli altri soggetti che non hanno commesso ancora un reato, dissuadendoli così dal delinquere. Pertanto, nella nozione di diritto come strumento di difesa della personalità, la punizione trova la sua ragion d'essere nel fatto che si colpisce il colpevole per l'azione criminosa da lui stesso commessa.
Successivamente alla libera docenza il F. divenne professore pareggiato di diritto penale e incaricato di scienza dell'amministrazione nell'università di Messina. Nel 1882 fu eletto alla Camera dei deputati per la XV legislatura nel collegio di Messina e il mandato gli venne confermato anche per le quattro successive legislature fino al 1897; fu anche vicepresidente del Consiglio provinciale di Messina.
In quegli anni condusse una campagna perché fosse costruito a Messina un nuovo acquedotto: fu pertanto costituito un collegio arbitrale per dirimere alcune controversie in cui era parte in causa il Comune. Il F. rappresentò il Consiglio comunale in un giudizio arbitrale e riuscì a ottenere un lodo favorevole all'amministrazione cittadina, consentendo così di accelerare la realizzazione dell'opera.
Come avvocato, insieme con F. Crispi, fece parte del collegio di difesa nel processo che si svolse alla Corte di assise di Roma per i fatti di piazza Sciarra susseguenti all'esecuzione di G. Oberdan, avvenuta a Trieste nel 1882.
In seguito all'epidemia di colera del 1887, fondò l'Opera pubblica di assistenza La croce d'oro, per cui fu decorato con la medaglia d'argento dei benemeriti della salute pubblica.
Fece parte della sottocommissione per la redazione definitiva del codice di procedura penale: in quella sede partecipò ad accese dispute dottrinali sull'opportunità di inserire nel nuovo codice la previsione della facoltà del giudice di ordinare il ricovero in manicomio dell'imputato in seguito a una declaratoria di non imputabilità per infermità di mente. La previsione di questa facoltà - contenuta nell'art. 47 del progetto Zanardelli del 22 nov. 1887 - fu mantenuta nel corrispondente art. 46 del codice, ma suscitò ampie discussioni tra i criminalisti - che ritenevano il ministero del giudice cessasse dopo aver sentenziato sulla responsabilità dell'imputato - e altri, tra cui il F. e C. Mortara, che consideravano invece quella previsione indispensabile sulla base delle nuove teorie positiviste della difesa sociale.
Con la monografia L'evoluzione del diritto penale. La forza irresistibile (Messina 1891) il F. ottenne la libera docenza in diritto penale. Lo scritto fu considerato importante per la dottrina giuridica e fu apprezzato in special modo da F. Carrara, che recensì il lavoro, ma anche da C. Lombroso.
Il F. vi svolse una critica della scuola positiva del diritto penale incentrata sul concetto di responsabilità penale: lesse nelle impostazioni dei positivisti il pericolo di giungere a considerare l'uomo delinquente come un malato che si è ridotto alla violazione del precetto giuridico a causa della condizione patologica in cui versa. Fondamentale invece l'esatta distinzione tra il delinquente malato e il delinquente che non lo è. Ritenere che tutte le azioni umane siano provocate esclusivamente dalla libertà o dalla necessità sarebbe fuorviante: la problematica della responsabilità è quindi nell'opera del F. il terreno sul quale si misurano le inadeguatezze sia della scuola classica sia della nuova scuola del diritto penale. Di qui l'attenzione dell'autore per lo studio del significato della pena: il territorio del diritto penale comincia dove c'è responsabilità, esso deve occuparsi soltanto dell'uomo normale delinquente contro cui la società non esercita solo il diritto di difesa, ma il diritto di punizione.
Nello scritto si ha cura di distinguere anche la definizione di delinquente nato da quella di delinquente abituale; l'abitudine alla delinquenza può essere anche dell'uomo normale e costui va punito perché si emendi; l'emenda, insomma, non sarebbe il principio genetico del diritto di punire, ma può essere il mezzo per esercitare quella reintegrazione dell'ordine giuridico che è il titolo del diritto di punire.
In questo contesto viene affrontato il problema della "forza irresistibile", ovverosia di tutto ciò che incide sul volere togliendo la scelta all'individuo e che avrebbe due fonti: la causa patologica e la passione. Il F. condusse uno studio minuzioso su ambedue: la prima non è necessariamente una malattia mentale, ma anche uno stato di anomalia psichica (per esempio causata dall'alcolismo) e inoltre è uno stato durevole, che lascia qualche spazio alla riflessione; la seconda, invece, è una forza d'impeto che produce una "cecità intellettuale".
L'analisi se vi sia contraddizione nel verdetto che ammettendo, per esempio, l'omicidio volontario fa riferimento alla forza irresistibile, viene condotta sul filo del significato della volontarietà. Se la parola "volontario" si prende nel vero senso psichico non vi è contraddizione: la forza irresistibile non escludendo la volontà, bensì la libertà del volere; diverso sarebbe se invece si assimilassero i significati di "volontà" e di "libertà".
La configurabilità di una "responsabilità parziale", poi, viene limitata ai casi di minore età e di impeto d'ira. Essa è esclusa quando la forza irresistibile è causata da stati patologici, mentre la nozione di responsabilità parziale si porrebbe netta e precisa negli stati passionali, in cui spesso l'ira non annullerebbe la responsabilità ma si limiterebbe ad affievolirla.
Da 1897 il F. fu eletto alla Camera (XX legislatura) come deputato del collegio di Francavilla di Sicilia, nelle file della Sinistra. Fu confermato fino al 1909 (XXII legislatura). In quegli anni fu anche direttore dell'Imparziale di Messina.
Nelle elezioni del 24 marzo 1909, dopo la distruzione di Messina per il terremoto del 28 dic. 1908, il collegio di Messina - in segno di gratitudine nei confronti dell'opera svolta dal presidente del Consiglio - elesse deputato G. Giolitti, il quale comunque optò per il collegio di Dronero; nelle elezioni suppletive del 28 giugno 1909 venne perciò eletto il Fulci, che dal 1913 abbandonò l'attività politica.
Il F. morì a Messina il 28 giugno 1934.
Il fratello minore Nicolò, nato a Messina il 16 genn. 1857, fu anch'egli avvocato, deputato dal 1892 alla morte tra le file della Sinistra e collaboratore dell'Imparziale. Fu relatore di numerosi progetti di legge, sottosegretario di Stato al ministero dell'Agricoltura e consigliere comunale e provinciale di Messina. Dopo il colera del 1887 ebbe anche lui la medaglia d'argento come benemerito della salute pubblica. Rimase ucciso nel terremoto di Messina del 28 dic. 1908.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero della Pubbl. Istruzione, Professori universitari, ss. I-II, b. 64; S. Salomone, La Sicilia intellettuale contemporanea, Catania 1913, pp. 211 ss. (anche per Nicolò); A. Crisafulli, L. F. (estr. da L'Eloquenza), Roma 1943; F.P. Gabrieli, F., L., in Nuovo Digesto ital., V, Torino 1938, p. 150 (contiene una bibl. delle opere del F.); G. Sordiello, Il viandante e la via, note a matita di un penalista, Napoli 1939, pp. 19-23; D. Gualdi, Penalisti d'Italia, Napoli 1939, pp. 117-126; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, p. 483; Id., Il Parlamento ital. nel cinquantenario dello Statuto, Roma 1898, p. 290 (p. 291 per Nicolò); A. De Gubernatis, Piccolo dizionario dei contemporanei italiani, Roma 1895, p. 417.