FERRARI, Ludovico
Nacque da Alessandro, il 2 febbr. 1522 a Bologna, città ove aveva stabilito la propria residenza il nonno paterno, Bartolomeo, esule milanese. A Milano, del resto, il F. fece presto ritorno: la sua famiglia era stata ridotta dalle guerre in più che misere condizioni economiche; il padre, Alessandro, aveva fatto una morte cruenta, ed egli, che prima, era stato preso in casa dallo zio Vincenzo, venne poi, all'età di quasi quindici anni, da questo mandato a servizio, appunto in Milano. Qui, dove il F. arrivò "senza avere tintura alcuna di lettere", ebbe però la fortuna di essere accolto, il 30 nov. 1536, nella casa di Gerolamo Cardano. E se in questa casa egli entrò come servitore, subito riuscì a guadagnare la mansione di amanuense e, fattosi allievo del suo geniale ospite, grazie al vivissimo ingegno di cui era dotato, bruciò le tappe di una brillante formazione umanistica e scientifica. Imparò la lingua greca e latina, servendosene con quel medesimo stile felice e pulito che adoperava nella lingua italiana. Istradato dal Cardano, si dedicò con passione alle "matematiche" e, in queste scienze, che comprendevano geometria, aritmetica, algebra, e che i suoi interessi facevano sconfinare "in tutte le discipline" dipendenti, quali "Astrologia, Musica, Cosmographia, Prospettiva, Architettura et altre", la sua perizia lo impose all'ateneo di Milano in soli quattro anni dal suo arrivo nella città, sicché, forse già dal 1540 - e, con certezza, nel 1544 - cominciò a tenervi lezioni sulla "aritmetica" (da Euclide) e sulla "sfera" (da Sacrobosco).
Decise quindi di andare a vivere per conto proprio ma, se lasciava a tal, fine la casa del Cardano, la comunione degli interessi mantenne sempre saldo quel vincolo che al maestro lo legava e del Cardano, infatti, il F. diventò il prediletto interlocutore, il collaboratore, il portavoce.
Doveva comunque trattarsi di un forte rapporto, almeno in parte, contraddittorio. In data 15 febbr. 1539, il Cardano lo aveva nominato, in un suo testamento, erede di sessanta suoi codici e libri, di tutti i suoi manoscritti (con il compito di provvedere alla loro stampa), di una pensione per la durata di sette anni e dell'"obbligo" di occuparsi dell'educazione del figlio Giovanni Battista. Eppure, sempre il Cardano, nel contempo, denunciava il carattere del F. come violento e irascibile, deprecava che egli dispiegasse la brillante intelligenza insieme con uno stile di vita sregolato e, soprattutto, in un'irreligiosità così spinta che riusciva a turbarlo, nonostante dovesse essere stato egli stesso avvezzo per il suo spirito, e per alcuni suoi casi familiari, a confrontarsi al di fuori delle angustie di costumi ortodossi. Certo è che il Cardano, nell'Arsmagna (Norimberga 1545), nel De exemplis centum geniturarum (Norimberga 1547), nel De propria vita liber (Parigi 1643), lasciava numerosi riscontri attraverso i quali resta testimonianza di questo suo rapporto con il F., intessuto sulla tensione fra lode e biasimo: ne sono esempio le parole della succinta, ma esemplare, biografia che di lui lasciava scritta. Ed è su questo rapporto che prese a delinearsi il canovaccio dell'evento scientifico che forse ebbe maggiore rilievo nella vita del F., e cioè quella disputa matematica avuta con N. Tartaglia, che interessò in pieno gli anni 1547 e 1548.
In realtà, l'oggetto specifico della disputa, che verteva sulla priorità e sul diritto di diffusione della risoluzione dell'equazione di terzo grado, andava ascritto al 1539, anno in cui il Cardano aveva preso ad interessarsene, mentre, in senso lato, apparteneva di fatto ad uno dei temi nodali di un ormai secolare dibattito scientifico, il cui scioglimento aveva continuato ad affaticare gli studiosi dell'algebra, giunti, con i brillanti successi ottenuti da fra' Luca Pacioli, non oltre la soluzione dell'equazione di secondo grado. Ciò durò sino a quando, a Bologna, nel primo ventennio del Cinquecento, gli studi di Scipione Dal Ferro superarono l'impasse di fronte ai tre "capitoli" (equazioni) che allora si ponevano tra la "cosa" (la quantità incognita), il cubo (la terza potenza dell'incognita), ed il numero (la quantità nota), trovando la regola per la proposizione matematica "cubo e cosa uguale a numero" (X3 + px = q), fino allora sentenziata "impossibile".
Il "secreto", relativo a quest'ultimo caso, veniva in seguito sfruttato da Antonio Maria Fiore, un discepolo del Dal Ferro, con l'intento di mettere in difficoltà prima (1530) e probabilmente Giovanni de Tonini da Collio, poi (1535) e di sicuro Niccolò Tartaglia, chiamandoli a risolvere problemi algebrici, la cui soluzione era possibile soltanto essendo a conoscenza della suddetta regola. Dal confronto scientifico il Tartaglia non usciva sconfitto perché anch'egli era pervenuto alla soluzione dell'equazione cubica "ridotta", mentre si trovò in difficoltà a replicare su quesiti solvibili invece con la regola dell'equazione di quarto grado che il Tonini, a sua volta, forse al fine di potere cavare nozioni utili per la sua disputa con il Fiore, prese a proporgli negli anni 1535 e 1536 e con i quali, successivamente, nell'anno 1539, metteva in imbarazzo anche il Cardano. Il Cardano, però, affidava lo studio dei problemi proposti al F. e, inoltre, inviava a Venezia, al Tartaglia, il "libraro Zuannantonio" per ottenere la regola da lui trovata.
Fra dinieghi e pressanti insistenze, si sviluppava fra i due un aspro scambio epistolare che riusciva infine a indurre il Tartaglia a recarsi dal Cardano in Milano. E così, in data 25 marzo 1539, il Cardano, proprio nella sua casa e di fronte al F., riceveva la desiderata formula, senza dimostrazione, avvolta nell'enigma di "25 assai rozzi versi italiani" stilati dal Tartaglia, previo però il giuramento "ad sacra Dei evangelia" che sanciva in forma solenne il suo obbligo a mantenerla segreta, con l'impegno aggiuntivo di annotarla "in zifera" per precluderne, nel caso di morte, l'accesso ad ogni lettore.
Ma, nel frattempo, il F. era giunto a definire la regola risolutiva delle equazioni di quarto grado e, rilevata la sfida rivolta dal Tonini al Cardano, la concludeva pubblicamente nel 1540 con grande successo. Oltre a ciò, nel 1542 il Cardano ed il F., recatisi a Bologna, constatavano che Scipione Dal Ferro aveva lasciato scritta la sua invenzione in un opuscolo di sua mano - opuscolo che il genero, Annibale Della Nave, si era preso cura di mostrare loro - e, soprattutto, prendevano visione del fatto che in detto libretto "istud inventum eleganter et docte explicatum tradebatur". La ricca messe di aggiunte - e di spiegazioni - fondamentali che derivarono dalla speculazione congiunta del Cardano e del F. su quella prima formula del Tartaglia dovette pertanto anche arricchirsi considerevolmente dei frutti che derivavano dal loro esame del libello: per certo, i risultati tutti confluivano nella stesura, a due mani, dell'Ars magna, sive de Regulis algebraicis, che il Cardano, nell'anno 1545, faceva pubblicare a Norimberga per i tipi del Petreius.
Per questa via, e per la prima volta, veniva dunque pubblicata la regola generale dell'equazione cubica la quale, se era dimostrata estensivamente, e quindi immediatamente, risolutiva del triplice atteggiarsi dell'uguaglianza in x3 + px = q, x3 = px + q e x3 + q = px, vieppiù era spiegata propedeutica alla risoluzione del "capitulo de censo, e cubo equal a numero con li altri suoi compagni", cioè dei tipi dell'equazione tra il quadrato dell'incognita, la sua terza potenza, e la quantità nota (x3 + px2 = q), che si presentavano nelle equazioni cubiche "complete", contenenti anche il termine di secondo grado, e questo grazie alle loro trasformazioni a radici aumentate ed a radici reciproche, ottenute rispettivamente dal Cardano e dal F., e grazie al ricordato successo ottenuto da quest'ultimo nella soluzione dell'equazione di quarto grado.
Invero, nell'Ars magna, il Cardano tributava un primo merito di tali progressi al Dal Ferro e al Tartaglia, anche se più incisivo peso assumono al proposito le sue lodi ed il suo debito riconosciuti al F.; ciononostante, l'anno seguente, il Tartaglia rispondeva pubblicando a Venezia i Quesiti et inventioni diverse stilati"con tai caloniose et mordente parole" nei confronti del Cardano proprio al fine di incitarlo a fronteggiare le accuse di spergiuro che egli gli rivolgeva a dimostrazione del "furto" scientifico subito.
Prendeva cosi inizio una querelle che, per la sua veemenza, si profilò subito destinata ad esaurirsi soltanto con la morte di tutti i suoi protagonisti, anche se le accuse del Tartaglia, anziché il Cardano, facevano intervenire con enfasi, in prima persona, il F., che si senti obbligato, come "suo creato", a trattare la difesa del suo maestro.
A tal fine, il 10 febbr. 1547, il F. dava alle stampe un opuscolo, nel quale invitava il Tartaglia ad un cimento scientifico, presentando la sua proposta attraverso l'uso di non lievi espressioni verbali. A questo primo "cartello" di "matematica disfida" del F. replicava, il 19 dello stesso mese, la pubblicazione della "risposta" o "controcartello" del Tartaglia. Successivamente, il F. faceva uscire in stampa un secondo cartello (1º aprile), un terzo (di due parti, datate 24 maggio e 1º giugno), un quarto (10 agosto), un quinto (nell'ottobre) ed un sesto (14 luglio 1548), ai quali il Tartaglia andò replicando ogni volta, rispettivamente con le risposte datate 21 aprile, 23 giugno e 9 luglio, 30 ag. 1547, 16 giugno, 24 luglio 1548.
Fu subito chiaro che la disputa aveva ormai dato occasione ai due contendenti di affrontarsi su temi che travalicavano l'aspra contestazione sulla liceità o meno della trasgressione da una promessa per guadagnare la gloria della prima pubblicazione di un "inventum". E certo è che in quell'agile ductus "volgare" del F. - con eguale maestria ed eleganza egli utilizzava infatti la lingua latina soltanto per il secondo cartello - come in quell'"intralciato" construtto in "volgar bresciano" delle "tartagliate" risposte del suo avversario, si dispiegava, seppur veicolato da feroci insulti, uno dei più significativi dibattiti scientifici dell'epoca. Sulla disamina di un totale di sessantadue quesiti incentrati su problemi di algebra, di geometria, di prospettiva, di geografia, di filosofia, di architettura, i due contendenti erano infatti andati strutturando gli insiemi più avanzati dei risultati raggiunti in tema di scienze matematiche, di cui restano esemplari testimonianze nelle mirabili dimostrazioni che il F. offriva sulla risoluzione della equazione di quarto grado e sulla geometria del compasso ad apertura fissa.
Il confronto fra i due culminò in un "cimento reale" che, benché tenuto in "pubblica disputa verbale" il 10 ag. 1548, in Milano, nella chiesa di S. Maria del Giardino, non fu dotato di un suo esito obiettivo, che si profilò subito destinato ad essere inficiato dalla disparità delle fazioni che appoggiavano i disputanti. Sembra infatti che la "gran comittiva", che appoggiò il F., riuscisse ad avere la meglio sul Tartaglia, seppure sembri che, a questo, non fosse mancata la capacità di contraddire l'avversario. Parimenti sembrò destinata quasi a dissolversi la testimonianza concreta dei contenuto scientifico di cartelli e controcartelli: pubblicati fra Milano e Venezia, in fogli slegati e non numerati, senza notizia su chi li stampasse, inoltrati, immediatamente al loro apparire, ai matematici e agli studiosi del tempo, mai congiunti sotto il denominatore di un unico frontespizio stampato, andarono rapidamente smarriti, sicché, si può forse dire che anche la storia del loro successo come straordinari mezzi di diffusione delle nuove scoperte fra i dotti, contribuì alla causa della loro rapida dispersione.
All'anno di conclusione di siffatto certamen, ilF. ascriveva altresì la fine del suo insegnamento presso l'università di Milano. Aveva in effetti già da tempo preso a considerare la bontà delle offerte di lavoro che, infittitesi sulla eco del successo dei cartelli, gli venivano rivolte da più parti, risolvendosi infine a favorire il benvolere e le intercessioni di Ercole Gonzaga. Di questo diventava il matematico, e da suo fratello, Ferrante, governatore di Milano, accettò nel 1546 l'invito a presiedere alla misurazione dell'agro milanese, e ciò nell'ambito di quel progetto di una generale stima della terra che, per volere di Carlo V, doveva condurre alla redazione del primo catasto dello Stato di Milano.
Il nuovo impegno veniva però intrapreso a tempo pieno soltanto a partire dal 1549, anno a cui, peraltro, il F. dedicava un suo almanacco (Ephemerides anni 1549, una cum Prognostico et diebus festis), soprattutto in tema di medicina astrologica e di astrologia giudiziaria, che faceva stampare in Milano per i tipi di Innocentio da Cigognera. I rotuli dell'università di Milano ci informano infatti che il F. mantenne la sua cattedra almeno fino alla fine del 1548, abbandonandola poi del tutto, per l'obbligo preso con il Gonzaga. Così facendo, andava contro il parere del Cardano, che si era invano affannato nel dissuaderlo da questa decisione e che, pertanto, non si era astenuto dal giudicarla influenzata dalla lusinga economica. L'incarico dei F. era infatti di prestigio e ben remunerato seppure i lavori di campagna riuscissero ad estenuarlo. Le lunghe cavalcate, necessarie al censimento di quei fondi, gli procurarono il malanno di una fistola che lo crucciò a tal punto da fargli interrompere, intorno all'anno 1556, ogni incombenza presa, e, se diamo credito alla testimonianza del Cardano, non senza avere accusato Ercole Gonzaga, con la sua usuale asprezza verbale, di essere l'artefice del suo malaugurato accidente fisico.
Per curarsi, il F. tornò a Bologna e prese con sé la sorella Maddalena, vedova, in stato di povertà ed a lui carissima. In Bologna riprese gli studi interrotti: attese ad un commento su Cesare e ad uno su Vitruvio; concluse, ma lasciò manoscritti, il Super propositionibus Petri Pitati de restitutione Calendarij ed il Libellus de erroribus qui nostro tempore contingunt in celebratione Paschatis, et de eorum causis, rispettivamente con le date del 2 e dell'8 nov. 1562, ancora dedicati, entrambi, con affetto "ad Herculem Gonzagam"; riprese l'insegnamento universitario, ottenendo per l'anno 1564-65 la cattedra "ad mathematicam et dependentes", fu altresì animato ad approfondire le sue curiosità scientifiche, che lo indussero a conseguire, in data 14 luglio 1565, la laurea in filosofia e medicina.
Probabilmente, però, l'amore per quella sua sorella, accolta vedova ed indigente, era mal riposto perché forse fu proprio Maddalena a procurargli quella morte che, così improvvisa, nell'ottobre 1565, addensò molti sospetti.
Certo è che, se mancarono le prove sul presunto veleno somministrato al F., il comportamento di Maddalena confermava il suo sinistro operato: si sposava dopo quindici giorni dal decesso del fratello, trasferendo al marito tutti quei beni che il F. le aveva lasciato per espressa disposizione testamentaria. E pare che a Bologna, dal F. morente - o appena morto - si fosse recato anche il Cardano per cercare di riunire quanto restava dei suoi libri e dei suoi scritti: tale ricerca aveva però avuto esito negativo perché il cognato del F., ricco delle sue finanze, aveva già provveduto ad impossessarsi anche dei suoi ultimi studi su Cesare e su Vitruvio, avendo in animo, pubblicandoli, di arricchire di immeritato onore un figliolo, avuto da un precedente matrimonio.
Bibl.: Per la biografia del F. si dispone di una letteratura notevolmente frammentaria. Si veda in primo luogo G. Cardano, Vita Ludovici Ferrarii Bononiensis..., in Opera omnia (Lugduni 1663), rist. a cura di A. Buck, Stuttgart-Bad Canstatt 1966, IX, pp. 568 s., da raccordare ai molti riferimenti che, sul F., il Cardano lasciò nelle sue opere. Notizie biografiche furono successivamente fornite da G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, pp. 320-322, e IX (aggiunte e correzioni ...), ibid. 1794, ... III, pp. 99-106; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., VII, 1, Napoli 1781, pp. 417-419; S. Gherardi, Di L. F. e della parte che il medesimo, ebbe principalmente nella redazione del primo catasto milanese intrapreso nel 1546, in Rend. delle sessioni dell'Accad. delle scienze dell'Istituto di Bologna, 1844-1845, pp. 22 ss.; Id., Lettera del prof. Silvestro Gherardi a mons. Gaspare Grassellini sopra alcuni cenni della vita e delle fatiche di L. F., in Nuovi Annali delle scienze nat. e Rendiconto dei lavori dell'Accad. delle scienze dell'Istituto e della Soc. agraria di Bologna, s. 3, I (1850), pp. 213-224; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori antichi e moderni della famosa Univ., e del celebre Istituto delle scienze di Bologna, Bologna 1847, p. 125; Id., Alcune aggiunte, e correzioni alle opere... del Fantuzzi, e del Tiraboschi, per quella parte soltanto che tratta de' professori dell'Univ. di Bologna, Bologna 1848, p. 60; E. Bortolotti, in Encicl. Ital., XV, Roma 1949, pp. 54 s., s. v. (al quale si deve la circostanziata esposizione riassuntiva dei contributi algebrici del F.); Id., La storia della matematica nella Univ. di Bologna, Bologna 1947, pp. 79 s.; A. Bellini, G. Cardano e il suo tempo, Milano 1947 e O. Ore, Cardano. The gambling scholar, Princeton 1953 (quindi New York 1965) che forniscono due biografie del Cardano con molti accenni sul F.; A. Masotti, Matematica e matematici, in Storia di Milano, XVI, Milano 1962, pp. 713-814 (specie pp. 736-740); Id., Niccolò Tartaglia, in Storia di Brescia, II, 5, Brescia 1963, pp. 597-617 (specie p. 608); Id., Anticipazioni sulla nuova edizione dei "Cartelli di sfida matematica" di Lodovico F. e Niccolò Tartaglia, in Commentari dell'Ateneo di Brescia, 1971 (estratto), pp. 1-47 (specie pp. 5 s.). Si veda inoltre S. A. Jayawardene, in Dictionary of scientific biography, IV, New York 1971, pp. 586-588, s. v.
Per la letteratura sui cartelli si consulti in primo luogo S. Gherardi, Di alcuni materiali per la storia della facoltà di matematica nell'antica Univ. di Bologna, in Nuovi Annali delle scienze nat. e Rendiconto delle sessioni della Soc. agraria e dell'Accad. delle scienze dell'Istituto di Bologna, s. 2, V (1846), pp. 161-187, 241-268, 321-356, 401-436 (specie pp. 321-337). Si consultino inoltre la prima, completa - ormai rara - edizione dei cartelli, a cura di E. Giordani, Isei cartelli di matematica disfida primamente intorno alla generale risoluzione delle equazioni cubiche di L. F. coi sei contro-cartelli in risposta di Nicolò Tartaglia comprendenti le soluzioni de' quesiti dall'una e dall'altra parte proposti, Milano 1876, e la pregevolissima edizione a cura di A. Masotti di L. Ferrari-N. Tartaglia, Cartelli di sfida matematica, Brescia 1974, alla quale, per altro, sarà necessario rifarsi per l'insieme specifico delle indicazioni bibliografiche.