DELLE COLOMBE (Colombo), Ludovico
Nacque a Firenze nella seconda metà del sec. XVI. Un solo storico, senza tuttavia indicare la sua fonte, pone la data esatta della sua nascita al 20 genn. 1565.
Nulla sappiamo di preciso della sua famiglia, se non che fu di nobile origine; analogamente sono avvolte nell'oscurità la sua formazione giovanile e la sua attività professionale. Gli storici lo definiscono ora "teologo e filosofo", ora "poeta e letterato", ora "illustre matematico", ma il suo nome non figura né fra i professori dello Studio fiorentino né di quello pisano. Fu membro dell'Accademia Fiorentina, nella quale "unicamente lesse sopra la fantasia" nel 1598, sotto il consolato di F. Nori.
Qualche informazione sulla sua vita si ricava dal Ristretto della vita costumi e piacevolezze del signor Francesco Ruspoli (cfr. Poesie di Francesco Ruspoli, commentate da S. Rosselli, a cura di C. Arlia, Livorno 1882, pp. 20, 43 ss.), dove gli si attribuisce l'abitudine di rifugiarsi d'estate al fresco nel duomo di Firenze e di sedere sotto l'arco presso la porticina che porta alla cupola, in un luogo chiamato scherzosamente, dal suo nome, il "cestino". Il Rosselli lo descrive, facendone quasi una caricatura, come uomo solitario e malinconico, alto di statura, magro "anzi asciuttissimo", con barba lunga e candida, testa piccola affatto calva, occhi incavati, che "pareva appunto la figura della fantasima", tanto che il Ruspoli, poeta burlesco e spirito mordace, lo chiamava "Il Provveditore del Limbo".
Sempre nel citato commento, in precedenza attribuito ad A. Cavalcanti, il Rosselli afferma che era il D. noto come astrologo, matematico e poeta, versato in ogni tipo di letteratura, critico e satirico mordace; che usava portare la felpa e un grande collare e che frequentava "una mano di persone virtuose e d'assai". della quale facevano parte il canonico F.M. Gualterotti, M. Baccio Bandinelli, il conte Piero de' Bardi il Vecchio, Pietro Pietri Danzicano, e il Ruspoli.
Il D. faceva dunque parte della più eletta società letteraria fiorentina, nella quale non mancò di ricevere qualche segno di apprezzamento, come dimostra un componimento satirico del Dati (non è chiaro se fosse Giulio, Giorgio o Carlo perché le fonti sono discordi a questo proposito) a lui dedicato. Da Firenze probabilmente il D. non si mosse nel corso dell'intera vita, come sembrano far pensare le sue opere, tutte composte e pubblicate qui, e più ancora le lettere scritte tra il 1607 e il 1612 a importanti corrispondenti come C. Clavio, F. Salviati e G. Galilei.
Più che al suo autonomo valore di letterato e di filosofo, la fama del D. sembra legata alle polemiche, dirette e indirette, con Galilei e con i suoi seguaci. Già il primo suo scritto di cui abbiamo notizia, il Discorso di L. Delle Colombe. Nel quale si dimostra, che la nuova Stella apparita l'ottobre passato 1604 nel Sagittario non è Cometa, ne Stella generata, o creata di nuovo, ne apparente: ma una di quelle che furono da principio nel Cielo; e ciò esser conforme alla vera Filosofia, Teologia, e Astronomiche demostrazioni Con alquantodi esagerazione contro a' giudiciari Astrologi, pubblicato a Firenze nel 1606, scatenò una polemica con A. Mauri, che ne scrisse una confutazione edita a Firenze in quello stesso anno, dal titolo Considerazioni ... sopra alcuni luoghi del Discorso di L.D. intorno alla stella apparita nel 1604.
Nel suo Discorso ... dedicato a monsignor A. Marzi Medici, arcivescovo di Firenze, il D. cerca di "provare" la veridicità della dottrina aristotelica del Cielo e di offrire insieme una spiegazione del fenomeno che permettesse di conciliare le "vere" osservazioni degli astronomi con la "vera" filosofia peripatetica. In base alla sua teoria, le comete non sono già nuove stelle, fatto assolutamente impossibile dato l'assioma aristotelico della incorruttibilità e immutabilità del Cielo, ma "vecchie" stelle appartenenti alla sfera delle stelle fisse che, per il concomitante verificarsi di un insieme di fenomeni ottici, si rendono talora visibili.
A sostegno di questa tesi il D. non adduce soltanto l'autorità di Aristotele, ma si prova ad elaborare ragioni scientifiche, escludendo il ricorso ai miracoli nella spiegazione dei fenomeni naturali. L'opera presuppone una buona conoscenza della tradizione peripatetica sia antica sia rinascimentale, come dimostra il frequente ricorso ai commenti dei Conimbricensi, del Contarini e dello Scaligero. L'ultima parte del Discorso èdedicata ad un attacco ai "Genethliaci" o astrologi giudiziari che, con la loro pretesa di ascrivere alle influenze celesti poteri e virtù tali da condizionare l'umana volontà al male, "fanno Dio autor del male", e incorrono sovente in grossolani errori in campo astronomico, provocando nella mente dei più semplici la perdita della fede.
In quest'opera il D. non fa menzione alcuna di Galilei, ma l'apologia che egli scrisse più tardi per rispondere all'attacco del Mauri, Risposte piacevoli e curiose di L. Delle Colombe, alle Considerazioni di certa maschera saccente, nominata A. Mauri (Firenze 1608), fa esplicito riferimento al nome di Galilei poiché, come si apprende da una sua lettera del 24 giugno 1607 indirizzata proprio al Galilei mentre era ancora a Padova, aveva creduto che l'invettiva del Mauri fosse stata scritta per istigazione dello scienziato stesso. Al 1610-1611 risale la stesura di un altro scritto rimasto a lungo inedito, il Di L. Delle Colombe contro il moto della Terra, (in Opere di G. Galilei, III, 2, pp. 251-290), dissertazione nella quale sono raccolti numerosi argomenti contro la dottrina copernicana e che contiene in fine due fitte pagine con le obiezioni di carattere scritturale e teologico, tanto che qualche storico ha avanzato l'ipotesi che nella figura di Simplicio del noto Dialogo galileiano si celi proprio il D., data la sorprendente simiglianza delle tesi sostenute dal personaggio del Dialogo con quelle qui avanzate dal Delle Colombe.
Dalle glosse che Galilei numerose vi appose è dato arguire che egli lesse con attenzione e interesse lo scritto, che gli forniva, per così dire, già bell'e pronto, un ricco e prezioso armamentario di obiezioni alla dottrina da lui sostenuta. Di particolare interesse furono per Galilei le obiezioni di carattere scritturale che costituirono la base documentaria per la discussione del problema dei rapporti fra scienza e fede su cui, come è noto, si diffuse nelle lettere a monsignor Dini e a Cristina di Lorena.
Ma la polemica che covava in queste premesse esplose allorché il D. pubblicò nel 1612 a Firenze il suo Discorso apologetico..., d'intorno al Discorso di Galileo Galilei, Circa le cose, che stanno su l'Acqua, o che in quella si muovono; si come d'intorno all'aggiunte Fatte dal medesimo Galileo, nella seconda Impressione, a cui diede l'occasione uno dei frequenti "congressi" tra i dotti che si tenevano alla presenza del granduca Cosimo II.
In esso, senza più cautele, il D. accusa Galilei di mirare a distruggere l'autorità di Aristotele, o di introdurre, come nuove, dottrine antiche da lungo tempo riconosciute false e come tali abbandonate e ribadisce l'esattezza della spiegazione peripatetica del fenomeno del galleggiare dei solidi. Se in passato Galilei non aveva voluto prendere in considerazione la parte scientifica del trattato contro il moto della Terra, questa volta però, pubblicamente ed esplicitamente attaccato, dà incarico a uno dei suoi seguaci, don B. Castelli, di scrivere una risposta che, da lui stesso rivista, corretta e arricchita, venne pubblicata a Firenze nel 1615 con il titolo Risposta alle opposizioni del s.L.D., e del s. Vincenzio di Grazia, contro al Trattato del sig. Galileo Galilei, delle cose che stanno su l'Acqua, o che in quella si muovono. In essa, attraverso la puntuale confutazione delle singole tesi scientifiche, l'autore pone impietosamente in rilievo tutta l'incompetenza del D. in campo matematico e lo accusa di ottuso settarismo nei confronti di Aristotele.
Dopo questa data non abbiamo più notizie del Delle Colombe. Il suo nome è ancora menzionato nel 1635 in una lettera di F. Micanzio a Galilei ("non so se era un filosofo o un mulattiere"), ma il verbo al passato induce a pensare che a quella data egli fosse già morto e molto probabilmente a Firenze.
Fonti e Bibl.: F. Ruspoli, Sonetti editi e inediti col commento di A. Cavalcanti non mai fin qui stampato, Bologna 1876, pp.20 ss.; G. Galilei, Opere (ed. naz.), III, pp. 12 ss.; IV, pp. 5 s., 9 s., 12 s., 19 s., 27, 311, 369; X, pp.176 s., 398; XI, pp. 118, 131, 141, 150 s., 444 ss.; XVI, pp. 198 s.; XX, p. 422; V. Viviani, Scienza universale delle proporzioni, Firenze 1674, p. 105; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accad. Fiorentina, Firenze 1717, pp. 339, 412- G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 363; G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, Venezia 1735, p. 177; G. C. Nelli, Saggio di storia letteraria fiorentina, Lucca 1759, pp. 58 s.; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium, Pisis1778, I, pp. 40, 149 s.; G. Targioni Tozzetti, Notizie degli aggradimenti delle scienze fisiche accaduti in Toscana nel corso di anni LX del secolo XVII, Firenze 1780, pp. 19 s.; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, II, Pisis1792, p. 399; C.D. Moreni, Pref., a Disfida di caccia tra i piacevoli e piattelli descritta da Giulio Dati né mai fin qui comparsa in luce, Firenze 1824, p. LVII; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., IV, Milano 1833, p. 446; A. Favaro, Di alcune relaz. tra Galileo Galilei e F. Cesi, in Bull. di bibliogr. e di storia delle scienze mat. e fis., XVII (1884), p. 243; Id., Conclusioni sull'accademico Incognito oppositore al Discorso di Galileo intorno alle cose che stanno in su l'acqua, o che in quella si muovono, ibid., XVIII (1885), p. 323; R. Caverni, Storia del metodo sperimentale in Italia, Firenze 1891, I, p. 181; A. Favaro, Galileo Galilei e don Giovanni de' Melci, in Arch. stor. ital., s. 5, XXXIX (1907), p. 114; A. Müller, Galileo Galilei, Roma 1911, pp. 108-115, 125, 140, 193; A. De Ferrari, B. Castelli, in Diz. Biogr. degli Ital., XXI, Roma 1978, p. 687; L. von Pastor, Storia dei papi, XII, Roma 1962, p. 212; J. C. Poggendorff, Biographisch-Literarisches Handwuorterbuch zur Geschichte der exacten Wissenschaften, I, col. 833; L. Ferrari, Onomasticon, Milano 1947, p. 262.