DA PONTE, Ludovico (Ponticus Virunius)
Nacque poco dopo il 1460 a Belluno da Giorgio, uomo d'arme della Repubblica di Venezia.
La testimonianza più antica della sua origine è fornita da P. Valeriano, che annovera il D. fra i bellunesi che si sono fatti onore e hanno dimostrato vigore intellettuale fino alla vecchiaia, e lo definisce "variae scriptor... Historiae" (Amores, p. 86). Il soprannome Virunius, assunto solo nel 1501, si rifaceva alla leggenda riguardante l'origine di Belluno, escogitata in quegli anni dal Valeriano, e presentava secondo la moda umanistica un letterato dal nome del suo luogo d'origine.
Una valida obiezione al soprannome Virunio e all'origine stessa del D. è costituita però da un atto notarile del 19 dic. 1508, in cui egli compare come "Ponticus de Carcanis de Mediolano". Perché il D. abbia assunto quest'altro nome accanto al latinizzato Da Ponte, e proprio in un documento ufficiale, non è chiaro.
Nella prima giovinezza il D. frequentò probabilmente le scuole di Treviso, dove avrebbe studiato le discipline classiche sotto Francesco Rolandello; sembra poi che, a causa della sua condotta immorale, egli abbia dovuto riparare a Venezia, riducendosi a fare il correttore di bozze presso il tipografo Antonio Moretto, e successivamente, per interessamento di Marco Antonio Sabellico, abbia potuto trovare a Ferrara "un onesto collocamento" (Perocco, 1898, pp. 25 s.). Nello Studio ferrarese ascoltò le lezioni di Giorgio Valla e di Niccolò Leoniceno.
Tracce cospicue di questo tirocinio sono state tramandate dai codici autografi della Bibl. dell'Archiginnasio di Bologna, B. 3475, che contiene Collectanea in Ethicis Aristotelis con l'indicazione cronologica "Hanc lectionem scripsi domi ipsius domini Nicolai Leoniceni die XXVIII aprilis MCDLXXXIII" (f 7r), e B. 3473, "loca quaedam obscuriora in Euclidem exposita... legente... Leoniceno" (f. 1r). Come scolaro-collaboratore del Leoniceno, il D. aveva quindi l'incarico di trascriverne e prepararne, anche privatamente, le lezioni. Che egli seguisse l'indirizzo scientifico del maestro, è provato dalla Invectiva contra PandulfumCollenutium pro Nicolao Leoniceno, ora perduta, con la quale intervenne nella polemica protrattasi dal 1492 al 1500 fra i due studiosi a proposito degli errori di Plinio. L'Invectiva si può parzialmente ricostruire dall'esame dei citati Collectanea, dove abbondano i richiami a Plinio "in alcuni dei luoghi che costituiranno in seguito materia delle critiche sistematiche" del Leoniceno (Mugnai, p. 196).
A Ferrara il D. si ingraziò l'ambasciatore sforzesco, Antonio Visconti, e si trasferì a Milano prima del 1490. Qui, se gli si deve credere (Erotemata, c. 41v), fu discepolo di Demetrio Calcondila. Se poi si accoglie la notizia riferita da uno storico bellunese di poco a lui posteriore, Giorgio Piloni (Historie, p. 251),il D. avrebbe ricevuto dal Moro, nel 1490, l'incarico di accompagnare il Visconti a Ferrara per scortare a Milano la promessa sposa, Beatrice d'Este. In questo modo, forte della protezione del Visconti e della sua preparazione letteraria, dotato di notevole spregiudicatezza, il D. riuscì a inserirsi nell'ambiente ducale ed entrò a far parte della Cancelleria sforzesca, dato che, nella Oratio in funere Elisabeth, pubblicata nel 1517, afferma di aver indagato le origini di Milano. Non sappiamo con quali tra gli umanisti e gli artisti che ornavano in quel periodo la corte milanese il D. avesse stretto amicizia, ma la sua posizione doveva essere affatto di secondo piano, e non è sicuro se egli tenesse in Milano stabile domicilio.
Durante la sua permanenza alla corte lombarda, il D. assunse probabilmente il cognome, tipicamente milanese, di "Carcani", con cui si designa nel contratto citato. Sui motivi che l'abbiano indotto a questa operazione anagrafica non è possibile per ora fare luce; a meno che non si pensi che si tratti di due persone diverse, non si andrà lontano dal vero supponendo che il mutamento sia da connettere con una affiliazione, e che questa si rendesse necessaria per assumere la cittadinanza milanese.
Costretto ad allontanarsi definitivamente dalla corte sforzesca alla caduta del Moro, il D., del quale si sono ancora cercate tracce, peraltro assai incerte, a Treviso tra il 1498 e il 1499 (Perocco, 1898, p. 28), fu chiamato a Reggio Emilia dal Consiglio generale della città per sostituire, quale pubblico lettore di latino e greco, il rinunciatario Lancillotto Pasio di Ferrara. Iniziò il suo insegnamento dopo il 13 dic. 1500, con un contratto triennale e uno stipendio annuale di 200 lire. A Reggio, forse nel 1503 (Campanini, p. 581), egli sposò Gherardina Baldi, sorella del suo futuro biografo Andrea, di famiglia facoltosa, e da lei ebbe due figli, Nicandro e Carandulo Camillo, nati entrambi a Reggio e battezzati il 4 maggio 1504 e il 21 sett. 1508 (Magnani, p. 15). Grazie ai proventi del suo lavoro e alla dote della moglie, il D. poté costituire verso la fine del 1499 una società tipografica con Simone Bombasi, Dionisio Bertocchi e Benedetto Manzi, già stampatore a Carpi, alla quale contribuiva, a quanto sembra, "torcularibus suis" (Campanini, p. 584). La prima opera stampata dal D. sembra che sia stata la sua traduzione latina dell'Elena di Demetrio Mosco: Demetri Moschi Laconis ad Helenam et Alexandrum Pontico Virunio interprete. L'edizione, che reca l'indicazione tipografica "Rhegii Lingobardiae, praesbyter Dionysius impressit", e accenna nella dedica a G. G. Trivulzio come governatore di Milano (settembre 1499-febbraio 1500), per cui si può datare ai primi del 1500, presenta inoltre il testo greco, fino ad allora inedito, del poemetto del Mosco (cc. 3r-12v), ed è dedicata "ad regem Galliarum". Successivamente furono pubblicati gli Erotemata Guarini, usciti il 10 luglio 1501; nella prefazione (c. 1v) il D. afferma di aver voluto volgere in latino il "compendiolum" che Guarino Veronese aveva ricavato dalla grammatica greca del Crisolora, sia per correggere gli errori di stampa che lo deturpavano sia per renderlo più accessibile ai principianti.
In seguito il D. pubblicò nel 1509 una seconda edizione ampliata della sua grammatica (Ferrara, G. Mazzocchi) con il titolo Erotemata Guarini cum multis additamentis, et cum commentariis latinis. Data la sua destinazione scolastica, la traduzione commentata del D. ebbe una discreta diffusione, e fu in seguito ristampata (Venezia 1543, 1547, 1550).Gli interventi personali del D., soprattutto in sede di commento, rivelano una certa faciloneria che fu già messa in luce dal Sabbadini (Scuola, p. 13),nonostante una conoscenza, apparentemente diretta, dei grammatici bizantini (Pertusi, p. 349).
Il consorzio tipografico non durò a lungo. Infatti un atto notarile del 26 genn. 1502, redatto dal notaio Carnevali di Carpi (Maini, pp. 306 s.), informa che il Manzi si impegnava a portare a Carpi o a Ferrara punzoni e matrici dei caratteri greci rimasti a Milano e a Reggio, di proprietà comune dei quattro soci. Nello stesso tempo, per motivi non chiari, non fu più rinnovato, alla sua scadenza, l'incarico di lettore pubblico del D. a Reggio.
Le accuse contro di lui, di cui conserva un'eco il discorso rivolto dal D. verso la fine del 1502 al Consiglio degli anziani di Reggio, non dovevano riguardare tanto i suoi metodi di insegnamento o la scelta degli autori commentati, quanto la presunta licenziosità della sua vita privata e la sua rischiosa propensione per posizioni concettuali eterodosse (l'Ariosto, Sat. VI, 112,lo definisce "Pontico idolatro", e lo colloca accanto a un noto dissidente, Celio Secondo Curione). Che poi il D. approfittasse degli autori che leggeva per inserirvi commenti bizzarri e spregiudicati poteva apparire antieducativo, e il Pasio nella prefazione del suo opuscolo De rebus non vulgaribus (Reggio 1504) aveva buon gioco a sostenere che "nonnulli verborum lascivias epigrammatis inseruere, quae... calamitosa pueris... fient".
Il 7 nov. 1503 gli fu perciò intimato di lasciare il suo incarico alla scadenza triennale. È probabile comunque che il D. rimanesse a Reggio, forse dando lezioni private, forse riorganizzando la stamperia in difficoltà dopo l'abbandono del Manzi, senza dubbio attendendo ai suoi studi e alla composizione delle sue opere. Infatti nel 1504 egli andava "in navi per Padum ex Rhegio Lingobardiae Ticinum navigans" (come ricorda nella prefazione al Libanii... Epistolici characteres, Venetiis 1525) per allestire la stampa del Libanius, De modo epistolandi noviter traductus... ex graeco per Ponticum Virunium, uscito effettivamente a Pavia nel 1504 con dedica a Antonio Pirro Visconti, che forse aveva sostenuto le spese dell'edizione. Il testo greco dell'operetta di Libanio era stato stampato del resto dal D. fin dalla prima edizione degli Erotemata (cc.69r-79r), e la traduzione era forse già pronta da tempo. È probabile dunque che egli fosse rimasto in possesso dei suoi torchi, ma senza l'apporto del Bombasi per la parte finanziaria, e del Manzi per quella tecnica, non avesse potuto andare oltre l'allestimento della Demetri Helena. Se tra il 1505 e il 1506 il D., abbandonata momentaneamente Reggio, sia stato pubblico lettore a Forlì; se in questa città sia stato accusato di complottare contro Giulio II e imprigionato per qualche mese, come sostenevano gli antichi biografi, non è suffragato da alcuna prova decisiva. Recenti ricerche hanno permesso di accettare parzialmente un dato della Vita dell'Ubaldi, secondo il quale, nel 1507, il D. avrebbe soggiornato per qualche tempo, ammalato, a Bagnacavallo. Il frammento di una lettera pubblicato dal Campana (p. 85) da questa località, in data 4 ag. 1508 e a firma di un certo "Ludovicus Basilius Sar(tus)", per il fatto di costituire il f. 147 del cod. Vat. lat. 10.914, contenente la stesura autografa del "De corruptis nominibus" del D., è stato messo in rapporto con una sua forzata permanenza a Bagnocavallo e con la sollecitazione all'amico, perché lo tenesse informato dell'eventuale vacanza di una cattedra di lettore pubblico nella città. È difficile dire comunque dove fosse indirizzata la lettera, ma sembra più probabile che essa fosse inviata a Reggio, e non a Ferrara, come pensa il Campana. Infatti proprio in quei giorni stava per nascere il secondogenito del D., e peraltro egli si trovava a Reggio nei primi mesi del 1508 per allestirvi la stampa dei Britannicae Historiae libri sex, preceduti da un dialogo-dedica in cui il "libellus" si raccomanda a Ramberto Malatesta signore di Sogliano; portano l'indicazione tipografica "Ex Rhegio Ligustico Ponticus Virunius impensa et torcularibus suis MDVIII VI Cal. Apr." (c.biii r).
L'Historia consiste nella rielaborazione delle Storie di Goffredo di Monmouth, sfrondate del loro elemento leggendario e meraviglioso, e per il resto trascritte quasi alla lettera. L'opera ebbe un certo successo, e fu ripubblicata due volte ad Augusta nel 1534,due volte a Londra nell'ItinerariumCambrense di Giraldo Cambrense nel 1585,una volta a Heidelberg e a Lione (come Epitome dell'Historia di Goffredo) nel 1587,ancora a Londra nel 1844 in H. Commelinus, Rerum Britannicarum... Scriptores.
Verso la fine del 1508 il D. si trasferì a Ferrara per impiantarvi una nuova officina tipografica. Due atti notarili rogati a Ferrara dai notai Panizzati e Sivieri nello stesso giorno, 19 dic. 1508, testimoniano l'avvenuta costituzione di una nuova società di stampa, la cui durata era prevista in sei anni, fra il D., i suoi cognati Baldi e il medico ferrarese L. Bonaccioli, che metteva i capitali e dettava di conseguenza le condizioni dell'attività editoriale. Primo frutto della collaborazione fu appunto la ristampa degli Erotemata commentati dal D., di cui, come risulta dal rogito Sivieri, si aveva intenzione di allestire 3.000 esemplari.
La vita della casa editrice si intreccia strettamente con le vicende personali del D.; se è vero che egli nel 1510 abbandonò Ferrara per dissapori con il Bonaccioli o per altri motivi, che non conosciamo, e riparò prima a Lugo, poi a Bologna, infine a Macerata, il programma editoriale concordato con il Bonaccioli rimase inoperante, almeno per quanto riguarda la scelta delle stampe, che sembrava prerogativa del D., ma non si può escludere che i Baldi abbiano continuato a pubblicare sotto altro nome. La copia del contratto rogato dal Panizzati, legalizzata dal notaio pubblico di Ferrara il 20 nov. 1516, serve a dimostrare che l'atto del 1508 fu impugnato da qualcuno dei contraenti, alla scadenza dei sei anni. Una copia autenticata richiesta fuori Ferrara fa pensare che sia stato appunto il Bonaccioli a pretenderne la rescissione, per le inadempienze del D., che ne volle una copia, e spiegherebbe anche il risentimento di costui, a cui accenna l'Ubaldi, contro il medico ferrarese, che sarebbe inconcepibile nel periodo dal 1508 al 1516.
In seguito è accertata per il 1513 la presenza del D. a Pesaro, forse in veste di collaboratore del noto tipografo ebreo Girolamo Soncino. Infatti, nella prefazione-dedica della versione italiana del De rebus incognitis di Odorico da Pordenone (Pesaro 1513), il D. dichiara di averne curato la pubblicazione, ricavata da un manoscritto di Jesi, per i tipi del Soncino, mentre il volume dello stesso anno Loca ignorata hactenus in Ibini Ovidii... Pontici sylvae reca l'indicazione "(P)isauri in aed. Soncini". Ulteriori tracce del D. si trovano a Reggio Emilia, dove è probabile che egli avesse mantenuto il proprio domicilio e dove del resto la moglie continuava a possedere i beni di famiglia (Campanini, p. 581). Infatti, nella lettera di dedica dell'Oratioin funere Elisabeth, pronunciata a Reggio nel maggio 1516 e qui stampata dopo l'aprile 1517, a Gerardo Vercellano "Regis Galliarum familiari", il D. accenna a una visita che lo stesso Gerardo gli aveva fatto a Reggio nel dicembre 1515.
Poco dopo lasciò Reggio per stabilirsi a Bologna, forse chiamatovi per qualche incarico di insegnamento; qui risultava infatti residente al momento della morte, avvenuta nel 1520. Fu sepolto, in base ai dati forniti dall'Ubaldi, nella chiesa di S. Francesco, e commemorato con una medaglia coniata da Francesco Teperelli, contenente un suo ritratto e una dedica in greco di significato poco chiaro.
Fra le opere tuttora inedite del D. si possono ricordare: la versione latina del poemetto greco Atila di Juvenco Cellio Callano (pubblicato per la prima volta nel testo originale a Venezia nel 1502), che si conserva nel cod. Ambros. F 131 sup., ff. 221-227 (risale probabilmente al periodo milanese del D., dunque agli anni tra il 1490 e il 1500); il commento alle Silvae di Stazio, frutto delle pubbliche lezioni di Reggio (Bibl. Estense di Modena, Fondo Estense 677); il commento alle tragedie di Seneca e un frammento di commento ai Fasti di Ovidio (Bologna, Bibl. dell'Archiginnasio, B 3470); il commento al testo greco del De musica di Luciano (Ibid., B 3471); Homeri vita ex probatissimis Graecis (Ibid., B 3472); Reportationes dalle lezioni del Leoniceno (B 3473-3474); Collectanea in Ethicis Aristotelis et Meteoris (Ibid., B 3475); Demetri Moschi Helena. Eiusdem sermo exhortatorius ad nobilem DemetriumLascharin de disciplinarum eruditione... in latinum conversus (Ibid., B 3476); traduzione e parafrasi frammentaria dei primi quattro libri dell'Iliade "cum dignioribus vocabulis et sententiis expositi" (Ibid., B 3477); De corruptis nominibus (Roma, Bibl. Ap. Vat., cod. Vat. lat. 10.914); l'orazione greca contenuta nel cod. 97 (B 41) della Biblioteca comunale di Perugia. Le opere perdute del D., sia a stampa sia manoscritte, sono elencate esaurientemente dal Perocco (1899, pp. 13-18).
Fonti e Bibl.: P. Valeriano, Amorum libri V, Venetiis 1549, p. 86; G. Piloni, Historie, Venezia 1607, p. 251; A. Ubaldi, Pontici Virunii Philosophi... vita, Bononiae 1655; A. Zeno, Dissert. vossiane, II, Venezia 1753, pp. 293-316; G. Tiraboschi, Storia d. lett. ital., VI,Modena 1794, pp. 496, 984 s., 1074; D. M. Federici, Memorie trevigiane, Venezia 1805, pp. 156-181; S. Ticozzi, Storia dei letterati e degli artisti del dipartimento della Piave, Belluno 1813, pp. 150-166; L. Maini, B. Dolcibello e G. Bissoli, in L'Indicatore modenese, 25 sett. 1852, pp. 306 s.; J. G. Th. Graesse, Trésor de livres rares et précieux, IV, Dresde 1862, p. 614; V, ibid. 1864, pp. 10, 409; L. N. Cittadella, Pontico Virunio stampatore in Reggio e in Ferrara nel sec. XVI, Reggio Emilia 1875; N. Campanini, Pontico Virunio, lettorepubblico di lettere greche e latine a Reggio 1500-1503, in Atti e mem. della R. Deputaz. di storia patria per le prov. modenesi, s. 3, VI (1891), pp. 573-601; E. Legrand, Bibliogr. Hellènique, I, Paris 1885, pp. XXIII, LVI, XC, CVI, 67-71; III, ibid. 1903, pp. 134 s.; R. Sabbadini, La scuola e gli studi di Guarino veronese, Catania 1896, p. 13; P. Perocco, Cenni critici sulla vita e le opere di Pontico Virunio, I, Vita, Feltre 1898; II, Opere, ibid. 1899; L. Magnani, Note e documenti su Pontico Virunio, Bologna 1899; R. Sabbadini, Briciole umanistiche, in Giorn. stor. d. letteratura italiana, XLVII (1906), pp. 36 s.; V. Ferrari, Documento dell'Arch. di Stato in Reggio Emilia interessante la storia della tipografia reggiana e ferrarese, Reggio Emilia 1924; A. Campana, Pontico Virunio a Ravenna, in Felix Ravenna, XXXIII (1929), pp. 85-89; L. Alpago Novello, Un sedicente Bellunese. Pontico Virunio, in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, I (1929), 3, pp. 25-31; V. Ferrari, La stampa nella prov. di Reggio Emilia, in Tesori d. bibl. d'Italia. Emilia e Romagna, Milano 1932, pp. 572 s.; L. Thorndike, A History of magic and experimental Science…,IV,New York 1934, p. 604; VI, ibid. 1941, p. 493; G. Piccinini, La patria e il casato di Pontico Virunio, Reggio Emilia 1942; F. J. Norton, Italian Printers 1501-1520, London 1958, pp. 87 s.; A. Pertusi, Erotemata. Per la storia e le fonti delle prime grammatiche greche a stampa, in Italia med. e umanist.,V (1962), pp. 344-351; E. Casamassima, Per una storia delle dottrine paleografiche dall'Umanesimo a J. Mabillon, in Studi medioev., s. 3, V (1964), pp. 532-535; L. Balsamo-A. Tinto, Origini del corsivo nella tipografia ital. del Cinquecento, Milano 1967, pp. 61-77; D. Mugnai Carrara, Profilo di Niccolò Leoniceno, in Interpres, II (1979), pp. 192, 196, 204 s.; M. E. Cosenza, Dict. of Ital. Humanists, IV,Boston 1962, pp. 2928 s.; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 17, 22, 331, 372.