LUDOVICO da Pirano
Nacque nella città istriana di Pirano, probabilmente nei primi anni Ottanta del XIV secolo. Il padre Giorgio de Daljono, il cui nome è noto da un testamento rogato in Treviso nel 1418 in cui L. compare come testimone (Pesce), lo condusse a Forlì dove giovanissimo rivestì l'abito francescano, come attesta il cronista coevo Giovanni Merlini. Le notizie relative al periodo precedente il conseguimento del dottorato in teologia sono scarse: nel 1408 è segnalata la sua presenza a Rimini nel convento di S. Francesco (Piana, p. 25; Cenci, 1976, p. 266) e nel 1412 a Venezia presso il centro teologico di S. Maria dei Frari, come lettore delle Sentenze. Dal convento veneziano inviò a Baldassarre Cossa, antipapa con il nome di Giovanni XXIII, la richiesta di poter conseguire il titolo di magister "per viam bullae", secondo una prassi allora in uso, forse per ovviare a impedimenti economici o burocratici (Bullarium Franciscanum, VII). L'esame, di cui fu incaricato il maestro veronese Giovanni Pezazo, ebbe esito positivo e il 15 giugno 1415 L. fu ammesso fra i dottori in teologia dell'Università di Padova. Nell'estate del 1417 tornò a Venezia, mentre tra il luglio 1418 e il gennaio 1419 è documentata la sua presenza a Treviso dove sembra abbia ricoperto l'ufficio di inquisitore (Calandrini - Fusconi, p. 532). Nel 1421 fu nuovamente a Padova e il suo nome compare con il titolo di vicario provinciale tra i firmatari dell'atto di concessione di una sepoltura ante altare magnum della basilica Antoniana al nobile fiorentino Benedetto Alberti (Sartori).
In questo periodo gli furono commissionate due orazioni funebri, l'una in morte di Francesco Corner e declamata a Venezia alla presenza del doge Tommaso Mocenigo nel 1420 (Biblioteca comunale di Siena, Mss., H.VI.26, cc. 91-93; edita in Calandrini - Fusconi, pp. 851-856), l'altra in onore del condottiero Bartolomeo Cermisone commemorato dall'Università di Padova (se ne conservano tre copie manoscritte: Biblioteca apost. Vaticana, Pal. lat., 327, c. 289b; Cracovia, Biblioteca Jagiellońska, Mss., 173, cc. 227-228; 126, cc. 21v-22v; quest'ultima edita in Calandrini - Fusconi, pp. 859-862).
Fino alla sua elezione a ministro della provincia veneta, avvenuta probabilmente nel capitolo di Venezia del 1433, L. continuò l'insegnamento presso l'Università di Padova. Non rinunciò comunque ad alcuni incarichi di prestigio come quello affidatogli nel 1424 dal Consiglio dei dieci di Venezia di investigare sull'attività in Friuli del crocifero Giovanni Zambotti, patriarca di Grado, che aspirava a occupare il patriarcato di Aquileia (Cenci, 1965). Il 13 apr. 1428 ebbe inoltre, insieme con il sacrista Bonaventura da Padova, il privilegio di accompagnare nella visita alla basilica Antoniana il principe Pietro, figlio di Giovanni I di Portogallo, che fu omaggiato di una reliquia del santo (Sambin). Non abbiamo notizie sulla sua attività omiletica, che pure fu esaltata in alcune epistole poetiche che gli indirizzò l'umanista Antonio Baratella tra il 1426 e il 1432 (edite in Ziliotto, 1940). Egli stesso del resto in una nota autografa, posta nel verso della copertina anteriore di una raccolta di Vitae Patrum della Biblioteca Antoniana di Padova (Mss., 84), si firma con il titolo di praedicator.
Il 15 marzo 1434 in qualità di ministro provinciale fu incorporato al concilio di Basilea, dove si era recato al seguito del generale dell'Ordine Guglielmo da Casale (Concilium Basiliense, p. 46), e qui incaricato di redigere una conferenza sul sacramento eucaristico che fu pronunciata il 25 marzo probabilmente durante la cerimonia del giovedì santo.
La Collatio in Coena Domini si trova inserita tra i Sermones in concilio Basileensi habiti raccolti in un codice della Bibliothèque municipale di Douai (Mss., 198.III, cc. 148r-155r, da cui è tratta l'ed. di Calandrini - Fusconi, pp. 863-882); un'altra copia è conservata a Cracovia (Biblioteca Jagiellońska, Mss., 414, cc. 259v-262v). È una dotta trattazione a schema tripartito, in cui L. dopo aver esaminato la dottrina della presenza reale del Corpo e del Sangue del Cristo nell'eucarestia, affronta le difficoltà nel credere in un sacramento che sembra contraddire la logica degli scienziati, per concludere con un'analisi dei benefici che apporta il nutrimento eucaristico.
Accanto a incarichi minori nell'estate del 1434 L. fu inserito, in rappresentanza del proprio Ordine, nella commissione che doveva giudicare l'ortodossia dei contenuti dottrinali delle Revelationes di Brigida di Svezia.
Frutto di questo incarico fu un'ampia trattazione a difesa di una parte degli articoli tratti dagli scritti della mistica e giudicati ereticali dal francescano Mattia Döring, ministro provinciale della Sassonia, e da altri "calunniatori" di cui L. non riporta il nome. Il trattato Super quibusdam articulis revelationum beatae Birgittae ci è stato tramandato in un codice della Biblioteca universitaria di Uppsala, proveniente dal monastero brigidino di Vadstena (Mss., 518, cc. 202r-210r, edito in Calandrini - Fusconi, pp. 883-912; la parte finale riprodotta anche nel cod. 358, c. 289v).
Il 10 ag. 1436 L. venne eletto da Eugenio IV vescovo di Segna (Senj) in Dalmazia, ma non poté mai sedersi sulla cattedra episcopale di quella città per il rifiuto del suo predecessore di lasciare l'incarico (Hierarchia catholica). Il 18 febbr. 1437 gli fu allora assegnata la sede di Forlì. Affidò comunque ben presto il governo della diocesi a dei vicari, richiamato da Eugenio IV a Ferrara, dove si era trasferito il concilio ecumenico. Già presente nella sessione inaugurale dell'8 genn. 1438, L. ebbe gli incarichi di leggere il decreto che sanciva la legittima continuazione del concilio a Ferrara, di porgere i saluti dell'assemblea al pontefice in occasione del suo arrivo il 27 gennaio e, infine, il 15 febbraio di annunciare la condanna pontificia dei prelati dissidenti rimasti a Basilea (Fragmenta(). Giunta la delegazione greca, fu tra i teologi latini chiamati a esprimersi sulla questione della legittimità dell'inserimento del "Filioque" nel Credo. Il suo intervento, che occupò le sessioni dell'8 e 11 novembre, era una risposta al patriarca Bessarione secondo il quale, a prescindere dalle considerazioni teologiche, non era lecito apportare delle aggiunte dopo il divieto sancito al concilio di Efeso di redigere o formulare una fede diversa da quella definita a Nicea. L. sostenne che l'additio è invece legittima in quanto si limita a spiegare per mezzo della Sacra Scrittura assunti già impliciti nel Credo niceno (Andrea da Santacroce, pp. 56-76).
L. lasciò il concilio prima che questo fosse trasferito a Firenze, per tornare nella propria diocesi, ma ben presto raggiunse nuovamente Ferrara forse per dissidi con Antonio Ordelaffi oppure a causa delle sue cattive condizioni di salute che lo indussero a rivolgersi il 12 sett. 1443 al notaio Urlando Rossetti per stendere una disposizione dei beni (riportata in Cenci, 1976, p. 271 e Calandrini - Fusconi, p. 545). A Ferrara coadiuvò il vescovo Giovanni Tavelli da Tossignano collaborando tra l'altro alla revisione dei confini della diocesi ferrarese. Nell'ottobre del 1444 si trovava di nuovo a Forlì, come attesta l'unica sua lettera conservata nella quale richiedeva all'amico Timoteo la restituzione del commento di Roberto Grossatesta ai Posteriora analytica di Aristotele (una copia si trova nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, Clm, 504, c. 272v; trascrizione in Cenci, 1976, pp. 277 s. e Calandrini - Fusconi, p. 548). L'anno successivo intervenne presso Eugenio IV a favore del predicatore della crociata Francesco Piazza da Bologna che era ostacolato da alcuni religiosi (Bullarium Franciscanum, n.s., III). Dimessosi dall'incarico episcopale nel 1446, trascorse gli ultimi anni nel convento di S. Francesco a Ferrara dove morì intorno al 1450 (Di Fonzo, p. 660).
Opere. Si ignora la data di composizione del trattato di mnemotecnica Regulae memoriae artificialis, il più fortunato tra gli scritti di L. tramandato in una redazione più lunga generalmente anonima (codici: Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 5347, cc. 1-17; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. lat., cl. VI, 274, cc. 5r-15r [l'unico in cui compare il nome di L.]; XIV, 292, cc. 182r-194v; Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Mss., 3130, cc. 63-71) e in una redazione più breve con il nome dell'autore (Roma, Biblioteca nazionale, Fondo gesuitico, 973, cc. 57v-62v; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. lat., XIV, 292, cc. 180, 209v-213; Assisi, Biblioteca comunale, Mss., 562, cc. 24v-25v). Per una comparazione delle due redazioni cfr. Calandrini - Fusconi, pp. 949-1003. Una versione in volgare si trova nel codice 13 (36-V-19) della Biblioteca di S. Domenico a Dubrovnik, datato al XV secolo, conservato insieme con trattati di analogo argomento. Pur seguendo lo schema della Rhetorica ad Herennium, L. si discosta dalla tradizione latina, individuando l'inventore dell'arte della mnemotecnica in Democrito e privilegiando, secondo la tradizione greca, un metodo di memoria delle parole (che egli considera utile anche per l'apprendimento delle lingue straniere) piuttosto che delle cose (Yates). Di data incerta anche il Brevis tractatus super septem vitia, uno scritto morale sui peccati capitali, a carattere divulgativo, contenuto in un codice del XV secolo (University of Chicago Library, Mss., 689, cc. 55-56; ed. critica, in Cova, pp. 143-145). Riporta la data 16 maggio 1435 il trattato matematico De proportionibus et proportionalitatibus scritto durante il soggiorno a Basilea su commissione dell'arcivescovo di Tours Philippe de Coëtquis ambasciatore del re di Francia Carlo VII. Il manoscritto originale conservato nella Bibliothèque municipale di Tours (Mss., 475, cc. 278(-281vb) è stato distrutto durante l'ultima guerra, ma se ne conserva un microfilm (ed. in Cova, pp. 146-153).
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