LUDOVICO da Bologna
Figlio di Antonio di Severo (m. entro il 1438), nacque a Ferrara, in data collocabile intorno al terzo decennio del Quattrocento.
L'appellativo "da Bologna" si riferisce alle origini del nonno paterno, trasferitosi dalla città felsinea a Ferrara, dove aveva acquistato, grazie a una fiorente attività di commercio in legname, case e fondaci. L. apparteneva perciò a una famiglia di un certo peso economico e anche politico; tra i suoi cugini, figli del fratello di Antonio, Nane, si ricorda Severo, cancelliere e segretario del duca di Ferrara Ercole I dal 1491 al 1500.
Il curriculum formativo e religioso di L. non risulta di rilievo. Francescano osservante laico, non acquisì mai gli ordini sacri, non accedendo nemmeno al subdiaconato (cfr. Piana, 1973, p. 210), quantomeno sino alla controversa consacrazione patriarcale avvenuta nel 1461. Forse in ragione della sua precoce appartenenza all'Osservanza non conseguì alcun titolo accademico presso l'Università di Bologna, né frequentò lo Studium ferrarese dei minori e neppure il più antico Studium osservante bolognese, S. Paolo in Monte.
A partire da Mariano da Firenze e dal Wadding si fa decorrere dal 1431 la vicenda francescana di Ludovico. Tuttavia un'analisi puntuale delle fonti non consente di identificarlo con il Ludovico osservante francescano che compare in alcuni documenti del quarto decennio del XV secolo. Il primo di questi, relativo a una richiesta papale rivolta al primo capitolo tenuto dall'Osservanza a Bologna per ottenere sei predicatori da dedicare esclusivamente all'attività sermocinale, alla quale il capitolo rispose fornendo fra i diversi nominativi anche quello di un Ludovico da Bologna, non può riferirsi a L. perché egli non possedeva i requisiti per svolgere quella attività (Mariano da Firenze). Nei due anni precedenti tale richiesta (1429-30) furono infatti adottati provvedimenti che imponevano una formazione teologica per tutti i frati dell'Osservanza che fossero impegnati nelle attività pastorali. Parimenti può escludersi che sia L. il baiulus litterarum incaricato da Alberto Berdini da Sarteano di portare al papa le proprie istanze circa la gestione dei Luoghi Santi, essendo il L. qualificato dal Berdini stesso, in una lettera del 23 marzo 1436, come uomo di età ragguardevole, "aetate pater" (pp. 270 s.). Depone ancora a sfavore di L. la comparazione tra il suo profilo culturale - molte le fonti che lo segnalano come cattivo conoscitore del latino - e quello attribuito dal Berdini al Ludovico dell'epistola succitata. Né possono riferirsi a lui le notizie del 1437-38, quando cronache e archivi bolognesi registrano rispettivamente la partenza per l'Oriente di tre frati osservanti che ricevono la benedizione di Eugenio IV e la richiesta a un Ludovico da Bologna rivolta dai fabbricieri di S. Petronio per un ciclo di predicazioni (cfr. Piana, 1954, p. 60; Bargellesi Severi, p. 6).
L. compare con certezza per la prima volta in una bolla papale del 28 marzo 1454 che concedeva privilegi e dispense a L., dimorante in Gerusalemme, e ad altri suoi due compagni per recarsi in "Etiopia" e in "India". Tra il 1454 e il 1457 Niccolò V e Callisto III lo incaricarono di alcune missioni nei Luoghi Santi e in Etiopia.
Di questo primo periodo non si hanno notizie sui risultati concreti volti a proseguire quella strategia di unione con le Chiese cristiane non latine, precedentemente affidata a Berdini e ad altri osservanti, in vista dell'allargamento della coalizione contro gli Ottomani. Sono comunque documentati i colloqui e le relazioni che egli svolse presso la S. Sede, ove godeva di ottima reputazione come dimostrano il rinnovarsi degli incarichi e l'attenzione con cui furono ascoltate le sue analisi, in particolare da Callisto III.
A partire dal 1457 l'area di intervento di L., in qualità di nunzio papale, si spostò nelle terre caucasiche; la sua azione coincise con uno dei periodi cruciali nella storia dei rapporti tra Europa e potenza turca. Ormai caduta Costantinopoli (1453) e prossimo alla conquista ottomana anche l'ultimo ridotto anatolico cristiano, l'Impero di Trebisonda (agosto 1461), l'obiettivo che L. doveva perseguire con questi incarichi (bolle del 19 e 30 dic. 1457) era duplice, ma strettamente connesso: favorire l'individuazione di un'autorità religiosa in grado di essere un forte punto di riferimento per tutti i cristiani dell'area, nonché costruire una rete di alleanze politiche per fronteggiare da Oriente il pericolo ottomano, possibilmente in accordo con il re d'Etiopia, Costantino Zar'a-Jakob.
Nella bolla del 19 dic. 1457 L. viene raccomandato ai cristiani dei Regni di Persia e di Georgia "qui apud vos anno praeterito fuit" (Bullarium Franciscanum, n.s., III, p. 205) e presso i quali L. si apprestava a tornare. È questa la prima missiva in cui L. figura come tessitore di stretti contatti con i domini territoriali anatolici ancora cristiani e con quelli che governavano i territori tra Caucaso e Persia.
Nell'ottobre 1458 una bolla di Pio II confermava i compiti e le prerogative concesse a L. sottolineando l'importanza degli incarichi affidatigli dai suoi predecessori. Questa missione complessa trovò un primo risultato con il ritorno di L. dall'Oriente nel 1460, accompagnato dagli ambasciatori di alcuni Stati orientali, latori di importanti lettere. Gli esiti della missione parrebbero della massima rilevanza, venendo a rafforzare il progetto di alleanza tattico-strategica già conosciuto da Pio II e perseguito ormai da alcuni anni sia dal Papato sia dai Comneni, imperatori di Trebisonda. Secondo quanto affermavano L. e gli ambasciatori presenti alla corte dell'imperatore Federico III nell'ottobre del 1460 e presso la Curia pontificia nel dicembre di quell'anno, vi sarebbe stata la massima disponibilità a un'azione militare comune tra l'imperatore di Trebisonda Davide Comneno, Giorgio VIII, re di Imerezia e Kartli, e Qwarqware II, duca di Zamtche, provincia già tributaria dell'Impero di Trebisonda. Ma nelle lettere di questi due ultimi domini (presentate a Pio II e al duca di Borgogna, Carlo), e in una inviata a Pasquale Malipiero, doge di Venezia, era anche menzionata la disponibilità a fornire cospicue forze militari da parte di altri signori dell'Oriente: il più importante di questi era Uzūn Ḥasan, sovrano turcomanno della dinastia Aq Qoyūnlī, ma erano anche indicati l'emiro di Adana, il dadian Liparit dominus della Mingrelia, Rabia signore di Abkhazia, Bagrat I, futuro governatore dell'Imerezia, Gurieli, governatore di un piccolo territorio georgiano probabile vassallo dei Trapezuntini.
L'ambasciata capeggiata da L., che si mosse in seguito per circa due anni in Europa, suscitò la curiosità, l'interesse e le perplessità di molti e sono numerose le fonti che raccontano della profonda impressione che essa destò. Allo stato delle ricerche pare tuttavia incontestabile che tale delegazione fosse formata da ambasciatori autentici e fededegni, come è il caso, per esempio, di Michele Alighieri, fiorentino e discendente di Dante, ambasciatore dei Grandi Comneni, e in parte da personaggi forse reclutati dallo stesso L. per aumentare la visibilità e il prestigio della propria azione presso gli interlocutori europei.
Dopo essere stati ricevuti a Venezia, gli oratori giunsero a Firenze, accolti il 14 dic. 1460; il giorno dopo, valutate le relazioni e le lettere giunte dall'Oriente, la Signoria scrisse tre missive dirette all'imperatore di Trebisonda e alle altre autorità orientali, offrendo una generica disponibilità nel senso auspicato dalla delegazione, ma dichiarando anche la volontà di costruire rapporti di amicizia con quegli Stati.
È significativo, peraltro, che in quegli stessi giorni le istituzioni fiorentine siglassero un importante accordo politico e commerciale con l'Impero di Trebisonda, con il quale fu consentito per la prima volta ai Fiorentini di installare nei territori dell'Impero un fondaco dotato di una serie di garanzie giuridiche e fiscali ottenute grazie all'azione diplomatica di Michele Alighieri, il quale si avvalse dell'azione diplomatica e della "copertura" istituzionale di L. per condurre in porto questo obiettivo. Ed è in questa chiave che va colta l'attività diplomatica svolta dai due oratori italiani in quei mesi. Ci fu insomma una azione comune tra l'Alighieri e L., dovuta a sua volta a una comune appartenenza a un ceto dirigente cittadino, a realtà familiari che avevano fatto del commercio e dell'iniziativa economica lo strumento anche politico dell'affermazione nelle e delle rispettive comunità.
Il 26 dic. 1460 gli oratori furono ricevuti in udienza a Roma, dove confermarono la disponibilità dei loro domini a muoversi in un'alleanza militare; la nomina di L. alla guida della sede patriarcale di Antiochia, avvenuta il 9 genn. 1461, dovette andare incontro a un'esplicita richiesta in tal senso da parte degli ambasciatori.
Ma l'effettività di quella nomina era subordinata alla conclusione della missione affidata a L. e al momento in cui fossero precisati confini e facoltà del patriarcato. Nelle more di tale definizione il titolo fu perciò custodito dal cardinale di S. Pietro in Vincoli, Niccolò da Cusa; lo stesso Pio II invitò L. a non farsi appellare con tale titolo.
Muniti L. e gli altri ambasciatori di lettere credenziali, Pio II li inviò a Firenze, a Milano, presso il re di Francia e in Borgogna per verificare nel concreto l'adesione delle rispettive autorità al progetto crociato.
Giunti a Milano nel marzo 1461 furono ricevuti alla corte di Francesco Sforza che dimostrò una più accentuata disponibilità anche all'azione militare contro gli Ottomani rispetto alla Signoria fiorentina, mentre un'intensa attività diplomatica dello Sforza fu volta a ottenere l'effettivo conferimento del titolo patriarcale per L., anche attraverso la mediazione di Ottone Del Carretto, oratore ducale a Roma.
Spostatisi da Milano gli oratori giunsero il 21 maggio 1461 in Borgogna, dove furono accolti con attenzione e grandi celebrazioni organizzate in loro onore da Filippo il Buono. Dopo essere stati, con Filippo, alla corte del re di Francia per le esequie di Luigi XI e l'incoronazione di Carlo VII, ottenendo dal duca, ma non dal nuovo re, impegni precisi circa la crociata, i legati ripartirono ai primi di ottobre.
Iniziò in tale occasione una frequentazione quasi ventennale di L. con la corte borgognona in cui è evidente che il frate si rese utile strumento di quella politica di incremento del prestigio ducale volta a conseguire la promozione del Ducato alla dignità regale e a svolgere un ruolo di arbitro tra le potenze europee facendo leva proprio sull'impegno e sul voto crociato dei duchi. È in questa chiave che devono essere lette l'attenzione con cui la missione degli oratori fu accolta presso la corte borgognona e la gestione del rapporto politico con Ludovico.
Rientrando a Roma gli oratori reincontrarono lo Sforza che per tutto il 1461 sollecitò la nomina definitiva a patriarca di Ludovico. Ma in quell'anno L., utilizzando i buoni rapporti con il potere dogale e la Chiesa veneziana, si fece consacrare patriarca nella città lagunare a insaputa del pontefice; per sfuggire all'ira di quest'ultimo si dovette allontanare rapidamente da Venezia.
L. scompare dalle cronache sino al 1465, quando fonti polacche narrano di un suo viaggio presso il khān di Crimea Hadij Girej, in qualità di legato papale e, quale ambasciatore dello stesso khān, presso la corte del re di Polonia. L'obiettivo di L., presentatosi presso Casimiro IV come patriarca di Antiochia, era la ripresa di un'alleanza antiturca allargata a nuovi soggetti. Tre anni dopo, secondo storici svedesi del XVIII secolo riferiti da Landwehr von Pragenau, come ambasciatore del re di Danimarca, Cristiano IV, L. chiese alla Polonia e alla città di Danzica di non fornire aiuti a re Carlo di Svezia, rivale del sovrano danese. L'anno dopo L. si trovava in Danimarca dove partecipò attivamente alla preparazione della pace di Kalmar, che poneva fine alle rivalità fra Danimarca e Svezia. Nel 1471 era di ritorno in Italia dove si presentò come ambasciatore di Uzūn Ḥasan a Pietro Barbo, succeduto, con il nome di Paolo II, a Pio II. Successivamente, il 19 febbr. 1472, Sisto IV riconfermò e ripubblicò la bolla di nomina a patriarca di Antiochia emanata sotto il pontificato di Pio II e due mesi dopo invitò L. a riprendere le trattative per un'alleanza antiottomana. Ciò tuttavia non determinò per L. la consacrazione, né i documenti attestano l'effettivo conferimento delle facoltà e della giurisdizione territoriale connesse a quel titolo, attribuito sempre sub conditione (Bullarium Franciscanum, n.s., III, p. 60 n. 137).
Nel 1473 L. si recò a Treviri presso la corte imperiale, dove Federico III era insieme con il duca di Borgogna Carlo il Temerario. Questi colse l'occasione dell'incontro per riprendere e rafforzare i rapporti intrattenuti a suo tempo dal padre con L. nominandolo suo ambasciatore presso Uzūn Ḥasan.
Giunto alla corte turcomanna, presso Tabrīz, il 30 maggio 1475, fu ricevuto da Uzūn Ḥasan e vi incontrò l'ambasciatore veneziano Ambrogio Contarini. La missione si concluse con un formale incarico di rappresentanza da parte di Uzūn Ḥasan che nominò L. suo oratore presso il Temerario pregando il frate e il Contarini di riferire ai principi cristiani una sua disponibilità a intervenire contro Maometto II.
Tornato in Europa, il 31 dic. 1477, dopo un viaggio avventuroso in Europa orientale che lo aveva visto anche imprigionato in Russia, L. ricevette un nuovo incarico da Sisto IV per riavviare i contatti con i principi occidentali. Nel 1478 era in Germania, alla corte imperiale; nel febbraio 1479 L. giunse alla corte di Borgogna, dove però il quadro della politica di crociata era profondamente mutato.
Uzūn Ḥasan era infatti morto l'anno precedente e a Bruxelles Massimiliano d'Asburgo, succeduto all'ultimo Valois, era portatore di una linea politica circa la crociata assai diversa da quelle dei suoi predecessori, per le profonde modifiche che le prospettive politiche del Ducato avevano subito. L'accoglienza fu poco più che formale e il contributo finanziario fornito a L. quale forma di ringraziamento per alcune notizie fornite al duca ammontavano a 36 lire.
La sua presenza a Bruxelles è l'ultima notizia conosciuta circa l'attività di L. di cui non sono noti luogo e data di morte.
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