CATO (Cati), Ludovico
Figlio di Renato, nacque a Ferrara nel 1490 da antica famiglia, originaria di Lendinara. A Bologna fu discepolo di C. Ruini e a Ferrara di G. Calcagni. Si laureò a Ferrara in utroque il 7 ag. 1516. Qualche anno dopo fu nominato procuratore fiscale e lettore di diritto civile nell'università. Tenne questi uffici sino alla morte; ma, specie tra il 1522 e il 1530, gl'incarichi diplomatici affidatigli da Alfonso I lo tennero quasi sempre lontano da Ferrara. Ai primi d'aprile del 1522 il duca lo mandò in Spagna a riverire il nuovo pontefice Adriano VI, a farlo certo che egli era sempre stato fedele vassallo della Chiesa e che le spogliazioni che aveva subito da parte di Giulio II e di Leone X erano state cagionate soltanto dal loro desiderio di far grandi i nipoti.
Il C. trovò il papa a Saragozza ed ivi il 2 giugno, in solenne udienza pubblica, gli recitò un'orazione nella quale esprimeva la gioia e le speranze dell'Italia tutta e del duca in particolare suscitate dalla sua elezione. L'orazione fu stampata a Saragozza e ristampata a Ferrara nello stesso anno.
Il C. poi, nei mesi di luglio e di agosto, seguì il pontefice nel suo viaggio verso l'Italia. Giunto a Roma il 31 agosto, vi rimase come oratore residente sino al marzo1524. Assieme agli inviati speciali M. Casella ed E. Pio ottenne dal papa l'assoluzione dall'interdetto e dalla scomunica e la conferma del possesso di Nonantola, San Felice e della Romagna estense, che il duca aveva rioccupato a sede vacante. Dopo la morte di Adriano e l'elezione di Clemente VII, il C., sempre insieme con M. Casella, continuò la sua opera, intesa questa volta ad ottenere la conferma del possesso di Reggio, che il duca aveva rioccupato, e la restituzione di Modena.
Nel maggio 1524 il C. fu mandato in missione presso i capitani cesarei in Italia. Fu a Savigliano, a Moncalieri, ad Asti ed ebbe colloqui col viceré Lannoy, col Borbone, col marchese di Pescara, con l'Alarcón e con Vespasiano Colonna. Dal viceré ottenne la promessa della restituzione di Modena dietro pagamento di 50.000 ducati. Ma poco dopo il duca Alfonso fu costretto a fornire denaro e materiale da guerra al re di Francia. Dopo la battaglia di Pavia il duca lo mandò, nel marzo 1525, a Milano, per trattare nuovamente col vicerè: e ai primi di maggio lo spedì in Spagna, oratore residente alla corte di Carlo V.
Egli doveva anzitutto giustificare il duca per gli aiuti che, per non essere oppresso dal papa, era stato costretto a dare a Francesco I; poi, ottenere la restituzione di Modena com'era stata pattuita col viceré: nelle trattative l'Estense era favorito dal duca di Calabria e dal gran cancelliere Gattinara. Il 30settembre, a Granata, il C. concluse il fidanzamento, che non ebbe poi seguito, di Ercole d'Este con Margherita d'Austria. Rimase in Spagna sino all'autunno del 1527. L'imperatore lo aveva fatto cavaliere aurato e conte palatino.
Nel gennaio 1529 fu mandato ambasciatore alla corte di Francesco I. Tradizionalmente legato alla Francia, ma bisognoso del favore imperiale per conservare Reggio e Modena, il duca aveva cercato di tergiversare tra le due potenze e aveva respinto l'offerta di diventare capitano generale del re in Italia; ma ciò non era valso a impedire che la corte imperiale lo accusasse di fellonia. Ora, in vista della pace, il C. doveva soprattutto far in modo che il re, nei capitoli relativi, inserisse una clausola che salvaguardasse il duca. Ma nel trattato di Cambrai (agosto 1529) questa clausola mancò e il duca fu costretto a cercare in tutti i modi di rientrare nella grazia dell'imperatore. Il C. restò in Francia sino all'estate del 1530. Il duca lo aveva richiamato in Italia perché potesse trovarsi a Parma nel settembre 1529, quando vi giunse Carlo V, ma il C., adducendo la contraria volontà del re, rimase ancora in Francia, cosa che spiacque al duca.
Con questa missione in Francia termina il periodo dell'attività diplomatica del C.: gli incarichi che ebbe in seguito dal duca Ercole II, che lo nominò suo segretario, furono molto meno impegnativi e lo tennero poco tempo lontano da Ferrara, così che poté dedicarsi quasi completamente all'insegnamento e agli studi.
Nel 1534 fu a Venezia per annunciarvi ufficialmente la morte del duca Alfonso e la successione di Ercole e vi andò di nuovo nel 1539 per condolersi della morte del doge Andrea Gritti e per rallegrarsi dell'elezione di Pietro Lando: davanti al nuovo doge e al Senato pronunciò un'orazione, che fu poi stampata senza alcuna nota tipografica. Nel 1535 era stato a Massalombarda per una definizione di confini. Nel 1543 e nel 1544 fu a Bologna per la questione, dibattuta poi per molti anni, del corso del Reno. Nel 1545 fu inviato a Venezia per ottenere l'estradizione di alcune persone.
Morì a Ferrara il 19 marzo 1553. Aveva sposato Ippolita Nigrisoli, dalla quale aveva avuto quattro figli: tre di essi divennero al tempo loro famosi: Renato e Sigismondo come giuristi, Ercole come letterato.
Mentre il C. era in Francia, l'Alciato, allora professore a Bourges, pubblicò una sua oratiuncula, seguita da una disputatio, tenuta in quella università, De quinque pedum praescriptione. Il C.,il quale era stato nel 1530 a visitarlo a Bourges, tornato a Ferrara, scrisse e pubblicò una Benivola et familiaris ad claris. iuriscon. A. Alciatum in interpretatione l. quinque pedum c. fin. regun. admonitio (Ferrara, Rosso da Valenza, 1533) alla quale faceva seguito la ristampa dell'operetta dell'Alciato. In questo suo lavoro il C. difende l'interpretazione di Azzone ed Accursio, respinta dall'Alciato ed è d'accordo con l'Alciato nel respingere quella di Pietro Crinito. Inoltre discute alcuni argomenti trattati quasi come parerga dall'Alciato (quale fosse la ratto legis, che cosa sia propriamente prescrizione, se l'usucapione sia contraria alla naturale equità, ecc.) trovandosi quasi sempre in disaccordo con lui. L'admonitio del C., che è del resto molto riguardosa, non turbò i rapporti d'amicizia tra i due giuristi, che furono poi dal 1542 al 1546 colleghi a Ferrara. L'operetta del C. fu apprezzata da molti e in particolare da Celio Calcagnini, che gli diresse un'epistola elogiativa. Restano del C. anche diversi responsi e consigli legali: se ne leggono manoscritti nei codd. 152 e 174 della Biblioteca Ariostea di Ferrara e stampati nel libri Consiliorum... in causis criminalibus di G. B. Ziletti (Venezia 1572;cons. CIII) e Consiliorum... in causis ultimae voluntatis dello stesso Ziletti (Venezia 1581;cons. LXVII e LXVIII), e poi ancora nel IV tomo Consiliorum... di G. M. e I. Riminaldi (Venezia 1578; consilia DCXXVI, DCLXXXIX, DCLXXXXI, DCCXXIX, DCCXXXVIII, DCCXL, DCCLXXI).
Lilio G. Giraldi ed altri contemporanei lodarono il C., oltreché per la cultura, anche per l'eloquenza. Il suo latino è tuttavia ben poco umanistico, così come è estranea alle tendenze dell'umanesimo giuridico la sua pur grande dottrina.
Fonti e Bibl.:Arch. di Stato di Modena, Arch. Estense, Particolari, b. 310; Ambasciatori Spagna, b. 1; Roma, bb. 28, 29; Milano, bb. 25, 26; Francia, b. 8; Bologna, b. 2; Venezia, b. 35; Carteggi di referendari, b. 11; Modena, Bibl. Estense, Autograf. Campori, ad vocem; C.Calcagnini, Opera aliquot, Basileae 1544, pp. 176 s.; B. Angeli, Vita di L. C. ..., Ferrara 1554; L. G. Giraldi, Opera omnia, II, Basilea 1580, p. 419; Le lettere di A. Alciato giurec.,a c. di G. L. Barni, Firenze 1953, ad Ind.; Nuovi doc. relativi ai docenti dello St. di Ferrara nel sec. XVI, a cura di A. Franceschini, Ferrara 1970, ad Indicem;A. Libanori, Ferrara d'oro, Ferrara 1665, III, p. 193; L. A. Muratori, Antichità Estensi, II, Modena 1740, pp. 330, 333; G. Panciroli, De claris legum interpret.,Lipsiae 1721, p. 456; F. Borsetti, Historia , almi Ferrariae Gymnasii, II, Ferrariae 1735, pp. 128 s.; L. Barotti, Memor. istor. di letterati ferraresi, II, Ferrara 1793, pp. 88 s.; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital.,VII, Venezia 1796, p. 479; L. Ughi, Dizion. stor. degli uotnini illustri ferraresi, Ferrara 1804, p. 121; G. Pardi, Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara...,Lucca 1900, p. 116; Id., Lo Studio di Ferrara nei secc. XV e XVI, in Atti e mem. della Deput. ferrarese di storia patria, XIV (1903), pp. 22,113; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, 2,Roma 1929, ad Indicem.