CAMPOSAMPIERO, Ludovico
Di antica e nobile famiglia, nacque a Padova in data imprecisata nella seconda metà del sec. XV. Ebbe educazione cortigiana e cavalleresca, ma animo corrotto e violento che lo indusse ancora in giovane età a compromettersi in un fatto di sangue per vendicare la morte di un fratello. Bandito dal territorio della Repubblica di Venezia, si rifugiò a Mantova, dove la sua educazione di uomo d'armi e di negozi gli facilitò l'ingresso a corte.
Presto compare tra i più intimi servitori del marchese Francesco Gonzaga, e di intimità occorre propriamente parlare, visto che il C. usava prodigare al suo signore i più bassi servizi di mezzano, assicurandogli, a quel che pare con grande abilità, un regolare rifornimento di giovani efebi. Questa turpe attività, della quale ridonda la sua corrispondenza con il marchese, gli suscitò l'odio inestinguibile della marchesa Isabella, della quale egli ebbe a provare assai presto la dura severità nel castigo. Nell'estate del 1504, ancora con tutta probabilità solo agli inizi della sua ignobile ma fortunata carriera presso la corte mantovana, egli, pur ammogliato, osò attentare imprudentemente alla virtù di una damigella della marchesa, incorrendo in una solenne, indimenticabile bastonatura. Fortuna per lui che non gli era ancora riuscito di cogliere il frutto più maturo delle sue arti amatorie, ché in tal caso l'inflessibile Isabella d'Este non si sarebbe contentata di "cussì poca punitione".
A dispetto della persistente avversione della marchesa, il C. riuscì a conservare alla corte mantovana una solida posizione, radicata in quella sua personale, spregiudicata devozione per il suo signore, che il vizioso Gonzaga sapeva ricompensare generosamente. In virtù di queste benemerenze, ovviamente non disgiunte da una fortissima propensione all'intrigo, nel 1507 il marchese lo inviò come suo agente presso la corte di Giulio II con la quale intratteneva in quel momento i migliori rapporti. Il C. restò a Roma fino al 1508, con funzioni prevalenti di informatore politico, nonché di cronista cinico e beffardo della vita mondana di una corte che offrì non poche esche alla sua prepotente vocazione di mezzano.
Nel 1509 rientrò a Mantova, ricco di una più ampia esperienza di consumato cortigiano, e nel settembre, dopo la cattura del Gonzaga sconfitto dai Veneziani, egli si recò segretamente a Venezia per conto del cardinale Sigismondo Gonzaga e con il probabile incarico di avviare trattative per la liberazione del suo signore. Da questi negoziati dovette essere escluso però subito dopo dal disprezzo della marchesa Isabella, sicuramente poco disposta a tollerare possibili inframmettenze dell'odiato mezzano del marito. Contro di lei il C., che restò a Mantova probabilmente in forza della protezione del cardinal Sigismondo, non cessò da allora di ordire ogni sorta di intrighi, interferendo velenosamente nelle delicate trattative con la Serenissima per la liberazione del marchese e sempre con un intento scopertamente diffamatorio. Con i Veneziani egli mantenne infatti, a partire dalla primavera del 1510, stretti rapporti epistolari per calunniare la marchesa e accusarla insistentemente di osteggiare la liberazione del marito in omaggio agli interessi della politica estense e francese. A questa mira segreta egli riconduceva malignamente l'opposizione di Isabella alla proposta pontificia, accolta invece dal marito in prigionia, di risolvere il difficile negoziato con la sua nomina a capitano generale della Serenissima e la consegna in ostaggio del primogenito Federico. Il vero destinatario di queste subdole manovre era ovviamente lo stesso Gonzaga, al quale i Veneziani non esitarono a recapitare le lettere del fido mezzano per alimentarne il contrasto con la moglie. Il C. arrivò persino a offrire i suoi servizi per rapire, ma con il consenso del marchese, Federico Gonzaga e consegnarlo ai Veneziani. Le stesse insinuazioni contro la marchesa e la stessa offerta di un suo personale intervento egli fece anche a Giulio II, presso il quale si recò appositamente a Roma verso la metà di giugno. Benignamente accolto dal papa, che sapeva apprezzare i suoi servizi non meno del marchese, il C. raggiunse il facile obiettivo di accrescerne la già notevole irritazione contro la sua nemica. A dispetto delle mene del C. riuscì tuttavia alla marchesa di averla vinta sui Veneziani e su Giulio II che si contentarono di rimettere il Gonzaga in libertà, dietro la consegna di Federico come ostaggio al papa e la promessa di non più militare al servizio dei Francesi. A Francesco, rimesso in libertà nel luglio, Giulio II fece indirizzare dal C. una lettera in data del 10 agosto, con l'invito più caloroso ad assumere il ruolo che competeva alle sue brillanti doti militari nella guerra imminente contro Ferrara. Era una nuova stoccata alla marchesa Isabella e il C. si prestò con tutto il possibile entusiasmo scrivendo al Gonzaga che il papa intendeva "farlo el magior homo ve sia stato in Italia".
Con un breve del 10 agosto Giulio II lo accreditò presso il Gonzaga come suo inviato speciale per concertare la sua adesione alla progettata spedizione contro Ferrara e favorire la sollecita assunzione di una condotta veneziana. Come uomo di fiducia del papa egli fece più volte la spola fra Venezia e Roma finché i capitoli della condotta furono firmati il 28 settembre. Da Giulio II egli aveva ricevuto però il compito ben più impegnativo e a lui oltremodo gradito di contrastare le manovre filoestensi della marchesa, oltre all'incarico di sovrintendere alla costruzione di un ponte sul Po sempre rinviata dai Gonzaga, per permettere la invasione del ducato di Ferrara. In questa impresa fu sabotato sistematicamente dall'astuta Isabella, alla quale egli non esitò di rivolgersi direttamente e non senza insolenza. Ne ottenne in risposta uno sferzante biglietto ("non tenemo tanto conto di facti vostri") che rinfocolò il suo odio inveterato e lo indusse alla grave imprudenza di affidare alla compromettente testimonianza di una lettera a Giulio II le consuete insinuazioni sulle mene politiche della marchesa. Questo passo falso gli sarebbe dovuto costar caro, perché Isabella riuscì a procurarsi nel dicembre dello stesso 1510 l'originale della lettera.
Del ponte finalmente costruito, dopo un perentorio intervento pontificio su Francesco Gonzaga, il C. ebbe la custodia e da Sermide poté seguire le vicende dell'assedio della Mirandola condotto personalmente dall'impavido pontefice, ma senza lo sperato appoggio del marchese di Mantova, che riuscì sempre ad evitare di compromettersi contro il cognato e nella fattispecie si accordò invece segretamente con i Francesi neutralizzando ogni iniziativa pontificia su Ferrara. Prima che il suo intervento in favore degli Estensi risultasse evidente, il papa tentò una trattativa diretta con Alfonso d'Este e gli mandò il C. nel marzo del 1511. La sua missione però non ebbe alcun risultato perché il duca di Ferrara rifiutò di gettarsi ai piedi del papa, come egli suggeriva, e non intendeva trattare con lui una pace separata dai Francesi. Nello stesso mese di marzo il C. ne riferì a Giulio II a Ravenna, non senza approfittare dell'occasione per ribadire le sue solite accuse contro la marchesa Isabella. Quando poi nell'aprile fu chiaro che i Francesi si accingevano ad attraversare il Mantovano per soccorrere Alfonso, il C. per incarico del papa tentò un colpo di mano per rompere gli argini del Po alla altezza di Sermide e inondare i territori tenuti dalle truppe francesi. Il suo piano però venne sventato in tempo dalla sorveglianza posta dalle autorità mantovane che non poterono però mettere le mani sul C., fuggito precipitosamente a Bologna, donde scrisse al marchese per giustificarsi per le gravi difficoltà procurategli con i Francesi. In omaggio alla protezione del papa, che non aveva tratto tutte le opportune conseguenze dal doppio gioco del Gonzaga, il marchese soprassedette da ogni provvedimento contro il C., che anzi nominò il 2 maggio suo luogotenente nell'esercito veneziano.
Questa nomina sancì la completa riabilitazione del C. dalla vecchia condanna al bando. Alla fine dello stesso mese di maggio egli si trovava a Venezia e non mancò di difendere il Gonzaga dalle accuse di voltafaccia rivoltegli dalla Signoria. I buoni rapporti con il suo antico signore erano da considerare pienamente ristabiliti, cosicché nel luglio poté recarsi a Roma per suo conto per sondare le intenzioni di Giulio II sul proseguimento della guerra e sulle possibilità di una partecipazione del marchese con una condotta vantaggiosa. Luigi XII aveva fatto forti pressioni per indurlo a dichiararsi apertamente per la Francia, ottenendo il risultato opposto di spingerlo a cercare un accordo con Roma. Il C. ritornò a Mantova il 20 luglio 1511 e riferì che Giulio II, in quel momento alieno da imprese belliche, non aveva intenzione di valersi del Gonzaga, il più infido condottiero dell'Italia del tempo. Gli consigliava però di ritornare al soldo veneziano e lo diffidava dal prestare aiuto a Estensi e Bentivoglio ribelli alla S. Sede. Le intenzioni pacifiche del papa restarono lettera morta, il 5 ott. 1511 fu proclamata la lega santa e le operazioni militari contro i Francesi ripresero con estrema violenza. Il Gonzaga persistette nella sua ambigua neutralità che gli permetteva di spostarsi impercettibilmente dalla parte del vincitore.
In questo quadro il C. svolse un'intensa attività diplomatica presso i collegati: nell'aprile del 1512 fu a Venezia, nel giugno a Padova e a Pavia, nel luglio a Roma e sempre per secondare il gioco del Gonzaga di trarre il massimo vantaggio dalle vittorie degli altri. A Venezia chiese il risarcimento dei danni arrecati dalle truppe venete al territorio mantovano e a Roma pretese in riparazione addirittura la cessione di Peschiera e di altri castelli, ma senza trovare ascolto. La morte di Giulio II sopraggiunta il 21 febbr. 1513 arrestò la fortunata carriera del C. che non poté giocare più con il Gonzaga la carta decisiva del favore pontificio. Non si trattò di una caduta in disgrazia, piuttosto di un ritorno discreto nell'ombra, dalla quale lo trasse bruscamente solo la morte dello stesso marchese.
Il 29 marzo 1519 morì il Gonzaga e già nell'aprile Isabella procedette inesorabile alla vendetta tanto lungamente accarezzata: adducendo la testimonianza della famosa lettera a Giulio II del 1510 lo bandì come traditore e gli confiscò i beni. Scacciato da Mantova, il C. si rifugiò a Venezia e quindi a Roma, diffondendo ovunque sul conto della marchesa le più oltraggiose insinuazioni. A Roma sollecitò un intervento di Leone X che in effetti il 7 apr. 1520 gli rilasciò un breve per scagionarlo dall'accusa di tradimento. Ma ci voleva altro che un breve papale per indurre l'inflessibile Isabella a recedere dalle sue decisioni. Ancor più invelenito, il C. persistette nella sua maldicenza, l'eco della quale giungeva puntualmente alla marchesa. Ormai il bando non bastava più ad appagare l'odio inestinguibile di lei: il 19 maggio 1521 così "volendo andar a messa a la Pace, Vigo di Campo San Piero fo asaltato in strada da 7 armati, quali li detero assa' ferite et lo amazono; di ché chi mal vive mal muor" (Sanuto, XXX, col. 289). L'esecutore materiale fu Emilio Furlano. Al fratello di lui Silvio, Isabella si rivolse il 18 giugno come a "persona de la quale si deve far stima".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Mantova, Gonzaga, buste 857. 858, 859; M. Sanuto, Diarii, IX, Venezia 1883, col. 168; X, ibid., ad Indicem;XI, ibid. 1884, ad Indicem; XII, ibid. 1886, ad Indicem;XIV, ibid., ad Indicem;XXIV, ibid. 1889, col. 298; XXX, ibid. 1891, col. 289; V. Cian, in Giorn. stor. della lett. ital., XXIX (1897), p. 437; A. Luzio, Isabella d'Este e Leone X..., in Archivio storico italiano, s. 5, XLIV (1909), pp. 74 s.; XLV(1910), p. 252; Id., La reggenza d'Isabella d'Este durante la prigionia del marito (1509-1510), in Arch. stor. lomb., s. 4, XIV (1910), pp. 64, 66 ss., 86; Id., I preliminari della lega di Cambrai concordati a Milano e a Mantova, ibid., s. 4, XVI (1911), pp. 246 s., 272 s.; Id., Isabella d'Este di fronte a Giulio II negli ultimi tre anni del suo pontificato, ibid., XVII(1912), pp. 245-334; XVIII(1912), pp. 81, 90 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1925, ad Indicem;B.Mazzoldi, Da Ludovico secondo marchese a Francesco secondo duca, in Mantova. La storia, II, Mantova 1961, ad Indicem;P.Litta, Le fam. celebri ital., s. v. Camposampiero della Marca trevigiana, tav. III.