BARBO, Ludovico
Figlio di Marco e di una Capello, nacque a Venezia intorno al 1382. Entrato nella vita ecclesiastica come semplice chierico, ottenne in commenda ancor giovinetto, grazie alle aderenze della famiglia patrizia da cui discendeva, il priorato del monastero di S. Giorgio in Alga, conferitogli da Bonifacio IX il 15 marzo 1397.
Edificato su un'isola della laguna veneta, il cenobio era stato dei benedettini e successivamente era passato agli eremitani di S. Agostino; morto il priore Beltramo verso la fine del sec. XIV, era caduto in grande abbandono e allorché il B. ne prese possesso, il 2 apr. 1397, non vi risiedevano che due conversi: ciononostante esso era in grado di assicurare al commendatario una rendita annua di 2000 fiorini d'oro.
Il nuovo priore continuò peraltro a vivere in famiglia e a dedicarsi agli studi umanistici: nel 140i Damiano Gallinetta da Pola, dimorando presso di lui, trascriveva, e certamente commentava al giovane discepolo, le commedie di Terenzio; poi il B. seguì i corsi di diritto canonico, secondo alcuni a Padova, ma più probabilmente a Bologna, come sembrano indicare le ultime ricerche.
Si andava tuttavia maturando nel suo animo, in quegli stessi anni, una forte vocazione per la vita spirituale. Il fratello Francesco, sacerdote, faceva parte di un gruppo di giovani che avevano abbracciato l'ideale di una vita ecclesiastica ed ascetica in comune, dietro l'esempio di Antonio Correr e Gabriele Condulmer (il futuro Eugenio IV), entrambi nipoti - il primo in linea paterna, il secondo in linea materna - di Angelo Correr, già vescovo di Castello (Venezia), dal 1390 patriarca di Costantinopoli e salito poi nel 1406 al trono pontificio col nome di Gregorio XII - All'iniziativa avevano via via aderito numerosi altri sacerdoti, diaconi e suddiaconi, non solo di Venezia, ma di Milano, Pavia, Cremona: tra gli altri Marino Quirini, maestro di vita spirituale, e il nipote di lui s. Lorenzo Giustinian. Riuniti da principio in casa Correr, essi fondarono una nuova società ecclesiastica, che trovò una prima sistemazione in S. Nicolò del Lido, già monastero benedettino, rimasto deserto dopo le azioni belliche dei Genovesi nella guerra di Chioggia: il B., attratto dall'ideale di quel gruppo di giovani, volle offrire loro il priorato avuto in commenda; Bonifacio IX accolse con favore la proposta e il 15 marzo 1404 incaricava Angelo Barbarigo, vescovo di Kisamos (Creta) e cugino di Antonio Correr, di realizzare il progetto: nel documento pontificio si precisava che, pur con la cessione degli edifici monastici a coloro che sarebbero stati poi designati come "canonici secolari di S. Giorgio in Alga", i due conversi col loro priore avrebbero dovuto continuare a seguire la regola della propria professione. Il B., dunque, aveva ormai abbandonato la vita secolare e abbracciato la regola dell'Ordine mendicante a cui apparteneva il suo priorato; probabilmente aveva anche conseguito gli ordini maggiori .
Quando ciò sia avvenuto non risulta da alcun documento noto; ma probabilmente si trattava di eventi assai vicini nel tempo alla lettera di Bonifacio IX, poiché lo stesso B., nel De iniffis congregationis S. Iustinae de Padua, parlando degli avvenimenti del 1409, accenna a una sua "conversione" avvenuta cinque anni prima. Il passo ha dato molto da fare agli esegeti, non potendosi certo parlare di conversione in senso proprio, e c'è chi ha proposto l',emendamento "provisione", che nondimeno presenta, sul piano storico altrettante difficoltà per il riferimento al 1404. A probabile che il B. abbia voluto indicare col termine "conversione", in una accezione peraltro antica nella tradizione monastica, l'abbandono di un'esistenza se non dissipata, certamente sollecita delle cose terrene, dedicata a studi in prevalenza profani, e l'adesione alla regola agostiniana, inizio di una vita di religiosità più intensa e legata agli obblighi originati dai voti. L'esempio dei canonici secolari contribuì efficacemente alla formazione spirituale dei B. e proprio nel contatto con questo gruppo di ecclesiastici ferventi vanno ricercati i germi della sua azione futura.
Il B. conservò dunque il suo priorato e un terzo delle rendite del monastero; non fece parte della nuova comunità, ma ne condivise le aspirazioni e le pratiche quotidiane, e mentre alimentava in quel contatto il suo fervore religioso, esercitava a sua volta una benefica influenza sulla vita dei canonici secolari .
Intanto la sua fama saliva sia presso le autorità civili sia in curia. Il 18 febbr. 1408 Gregorio XII, da Lucca, diede incarico a lui, a Stefano Mauroceno, della comunità di S. Giorgio in Alga, e a Gabriele Conduhner, ormai vescovo di Siena, di immettere il veneziano Giacomo di Tommaso Riza nel possesso del priorato camaldolese di S. Maria ad Carceres;nell'aprile dello stesso anno il Senato veneto inserì il suo nome nella tema proposta per la sede vescovile di Candia. Nell'ottobre il B. intraprese il viaggio, quasi un pellegrinaggio, in varie località del Veneto per visitare le case aperte dai canonici secolari e altri pii istituti: fu a Padova, a Vicenza, a Verona; qui, mentre si trovava presso i canonici regolari di S. Leonardo, fu raggiunto dalla notizia della nomina pontificia ad abate del monastero benedettino di S. Cipriano di Murano; ma il fervore ascetico, che solo nella tranquillità di S. Giorgio in Alga trovava piena realizzazione, gli suggerì gli argomenti per sottrarsi a tale incarico. Non riuscì però, neppure due mesi dopo, e nonostante rinnovasse i motivi già esposti con tanta maggior convinzione in quanto confortati dai consigli di Marino Quirini, ad esimersi dalla nomina ad abate di S. Giustina di Padova, l'ufficio destinato a legare il suo nome alla più vasta riforma dell'Ordine benedettino.
L'abbazia di S. Giustina di Padova, edificata fuori le mura presso la chiesa omonima già esistente nel sec. VI, era stata distrutta dagli Ungari nel sec. X e successivamente da un terremoto nel gennaio 1117; ma aveva ogni volta ripreso il suo splendore rigoglioso, che mantenne fino alla metà del sec. XIV. Divenuti i Carraresi signori di Padova, la commenda dell'abbazia di S. Giustina fu loro appannaggio e il monastero giunse rapidamente a uno spaventoso declino: quando nel 1404 la città cadde in potere della Repubblica veneta, gli edifici erano ridotti al massimo squallore, la comunità monastica ridotta a tre benedettini, che elessero a loro abate Benedetto di Venezia. Gregorio XII volle però affidare il cenobio al nipote Antonio Correr, l'iniziatore del movimento di S. Giorgio in Alga, ormai cardinale: questi tentò la riforma del monastero chiamandovi gli olivetani che, ottenuta dal papa la concessione nel maggio 1408,indugiarono a prenderne possesso fino all'autunno successivo, forse in attesa delle decisioni del capitolo generale che doveva designare i monaci per la nuova comunità. Senonché i benedettini neri sopravvissuti alla rovina dell'abbazia non videro di buon occhio il passaggio alla congregazione dei monaci bianchi di Monte Oliveto e cercarono l'appoggio di famiglie influenti di Padova e, per loro mezzo, del Senato di Venezia, desideroso da un lato di far cosa gradita ai sudditi acquisiti di recente, dall'altro di porre in evidenza la propria sovranità: il pontefice, preoccupato di non creare dissidi politici nel delicato momento dello scisma, cedette alle pressioni della Repubblica veneta e revocò la precedente disposizione. Il problema del governo abbaziale era così di nuovo aperto e si svolsero in curia, per risolverlo, frequenti consultazioni alle quali intervenne anche il cugino di Antonio Correr, il cardinale Gabriele Condulmer: fu lui a proporre il nome del B., sostenuto anche da Paolo Venier, dal 1392 abate di S. Michele di Murano, il quale promise tutto il suo appoggio e si assunse per di più il difficile compito di persuadere il giovane priore di S. Giorgio in Alga a lasciare quell'oasi di pace per affrontare la nuova vita piena di incognite.
Il 20 dic. 1408 il pontefice emanava la lettera di nomina. Il B. oppose, prima di accettare, tenace resistenza; ma infine accolse con spirito di sacrificio la missione che gli veniva imposta, già delineando nella sua mente le linee maestre della riforma da attuare nel monastero padovano, pur senza prevedere le proporzioni che il suo disegno avrebbe assunto -Nel gennaio 1409 si recò a Rimini, dove risiedeva temporaneamente Gregorio XII, al fine di ottenere dal papa che i monaci di S. Giustina potessero in seguito, secondo lo spirito della regola benedettina, eleggersi il proprio abate senza interventi della curia e tanto meno del potere civile; ottenne la grazia richiesta e inoltre l'indulgenza plenaria "in articulo mortis" per sé e per i suoi monaci. Pochi giorni dopo, il 3 febbraio, nella cappella di S. Prisca della cattedrale di Rimini, il B. emetteva la nuova professione monastica e riceveva la benedizione abbaziale dalle mani di Giovanni del Pozzo, vescovo di Città di Castello. Tornato per pochi giorni a Venezia, il 12 febbraio raggiunse Padova, accompagnato da due novizi camaldolesi, inviati con lui per l'occasione dall'abate di S. Michele di Murano, e due canonici secolari di S. Giorgio in Alga (che dovevano però ben presto abbandonarlo, sgomentati dallo stato di desolazione degli edifici monastici di S. Giustina); il fratello Pietro, anche egli canonico di S. Giorgio in Alga e "procurator et sindicus" di quella comunità, l'aveva preceduto di poco e in suo nome l'ii febbraio aveva preso possesso di S. Giustina. Il 16 febbraio il neo abate entrava nel monastero distrutto e si poneva a capo della comunità, costituita in quel momento dai soli tre monaci superstiti che si erano opposti alla cessione agli olivetani.
Non risulta infatti, sebbene lo si sia scritto più volte, che i due camaldolesi, i due canonici secolari e lo stesso Pietro Barbo abbiano mai fatto parte della comunità, pur risiedendo nel monastero; è pur vero che Pietro Barbo, come pratico di anuninistrazione, fu eletto il 30 apr. 1409 dal capitolo dell'abbazia procuratore delle cose temporali e rimase in tale ufficio almeno fino al dicembre 1412, ma nei documenti di S. Giustina è sempre ricordato come "canonicus secularis monasterii S. Georgii de Alega de Venetiis", e quindi estraneo alla famiglia monastica.
Ripristinata la clausura, affrontati i più urgenti problemi economici, il B. si dedicò subito alla riforma, mirando innanzi tutto a restaurare la regola nel suo significato autentico, abolendo tradizioni che rappresentavano quasi sempre una rilassatezza del primitivo spirito benedettino .
Nello stesso tempo si preoccupò di reclutare nuovi monaci che rendessero possibile l'osservanza regolare. Chiamò a sé "de alienis partibus", cioè fuori del dominio della Serenissima, il monaco Gioacchino da Pavia; poco dopo un altro benedettino, Zeno da Verona, si pose sotto il suo governo: ma vere vocazioni nuove tardarono a manifestarsi e nel De iniffis si legge lo sconforto del B. per questa situazione. Finalmente il 23 marzo 1410 l'abate poté imporre il primo saio benedettino a un giovane di Pavia, studente nell'università di Padova, Paolo de Strata: l'esempio fu riccodi frutti e molti neofiti vennero a S. Giustina proprio dall'ambiente universitario padovano, afimentando così la comunità di uomini culturalmente solidi e in poco tempo preparati ad assolvere mansioni di responsabilità.
Ben presto il monastero di S. Giustina, che nel 1419, ampliato convenientemente, raccolse più di cento uomini, non fu sufficiente per la comunità divenuta esuberante: attendere il tempo necessario per nuove costruzioni o per l'ampliamento di quelle già esistenti avrebbe significato far perdere tante vocazioni. Il B. cercò quindi l'espansione all'esterno, mirando ai monasteri rimasti in abbandono per la decadenza degli istituti. Colonie di monaci di S. Giustina occuparono S. Fortunato di Bassano, S. Maria de Carupta presso Verona, S. Giacomo sul monte Agrino; si spinsero poi fuori dei domini veneti, a Genova, dove la famiglia Grimaldi offri al B. la cappella di S. Nicolò del Boschetto costruendovi vicino un monastero, a S. Spirito di Pavia, a S. Dionigi di Milano. Ma oltre ai monasteri deserti accolsero i monaci di S. Giustina anche cenobi in cui si avvertiva l'esigenza di una riforma: la Badia di Firenze, S. Giorgio Maggiore di Venezia, SS. Felice e Fortunato di Aimone in diocesi di Torcello furono le prime abbazie destinate a costituire il nucleo di una nuova congregazione che avrebbe avuto importanza fondamentale nella storia dell'Ordine benedettino e nella cui orbita sarebbero entrati anche S. Paolo di Roma e più tardi lo stesso cenobio di Montecassino. Tuttavia l'ingresso dei monaci di S. Giustina in questi conventi creava da principio alcune dffficoltà, perché mentre i discepoli del B. non intendevano abbandonare la loro osservanza, gli abati dei singoli centri monastici, spesso legati da vincoli di soggezione ai signori del luogo, non volevano perdere le loro prerogative. Si giunse così sovente a un compromesso, per cui i monaci di S. Giustina arrivavano presso un'altra comunità con un loro priore, nominato dal B., che sovrintendeva ai propri monaci (per lo più in numero di sedici), vigilava sull'osservanza degli statuti accolti in Padova e riceveva anche le nuove professioni.
La riforma riguardava ormai un numero di conventi sempre crescente: il B. comprese che non era possibile affidarne il governo ad un solo abate e pensò di sottoporre l'intera famiglia monastica a un capitolo generale. Il 10 genn. 1419 Martino V, con la costituzione Ineffabilis summi providentia Patris, erigeva di fatto la nuova congregazione, che fu detta "de unitate", comprendente per il momento le quattro abbazie di S. Giustina di Padova, di S. Maria di Firenze, di S. Giorgio Maggiore di Venezia e dei S S. Felice e Fortunato di Aimone, con i priorati da esse dipendenti. I principi ideati dal B. vi trovavano piena conferma: l'autorità suprema sarebbe stata esercitata da un capitolo generale che, riunendosi annualmente, avrebbe nominato quattro visitatori ai quali era demandato il potere esecutivo; le singole comunità avrebbero eletto, al di fuori di ogni ingerenza estema, il proprio abate che avrebbe ricoperto la carica a vita e senza alcun vincolo di sottomissione verso l'abate di S. Giustina, ma soltanto verso il capitolo generale e i visitatori.
L'applicazione dei capisaldi della riforma, concretati in disposizioni particolari stabilite nelle prime assemblee del capitolo, incontrò peraltro notevoli difficoltà: soprattutto osteggiato fu il principio democratico che prevalse nella composizione del capitolo generale, dove accanto agli abati dovevano sedere alcuni "conventuali", rappresentanti delle singole comunità e da esse eletti, e nella proporzione fissata per il collegio dei "definitori" (sette monaci per due abati), che in seno al capitolo aveva compiti legislativi e di elezione per le varie cariche. I contrasti, talora assai lunghi e passati attraverso numerosi tentativi di composizione, portarono all'allontanamento temporaneo dalla congregazione di alcuni monasteri (più famosi tra tutti la Badia fiorentina e S. Giorgio Maggiore di Venezia), ma non frenarono l'espansione del movimento.
Un assetto definitivo si ebbe ad opera di Gabriele Condulmer, che già aveva favorito la costituzione di Martino V aveva cercato di comporre il dissidio sorto per S. Giorgio Maggiore di Venezia, aveva chiamato i monaci di S. Giustina a riformare l'abbazia di S. Paolo fuori le Mura in Roma e, divenuto papa col nome di Eugenio IV, emanava il 23 nov. 1432 una nuova costituzione, che perfezionava e in parte modificava profondamente quella di Martino V.
La novità più rivoluzionaria riguardava l'istituto dell'abate, la cui elezione era deman-" data al capitolo generale non più alla comunità, e la durata, in deroga al principio tradizionale "semel abbas, semper abbas", ridotta ad un anno. Gli venivano anche sottratte la nomina dei priori, affidata pur essa al capitolo generale, e la quota (venti per cento) delle rendite del monastero a lui riservata nella costituzione precedente. La figura dell'abate era così spogliata di ogni sovrastruttura che la tradizione medievale e particolarmente il feudalesimo gli avevano imposto e restituita alla genuina caratteristica di moderatore e amministratore della comunità. La riforma attuata nella congregazione, oltre che sul rispetto dell'osservanza regolare, assicurato da una serie di norme disciplinari e dal controllo dei visitatori, si basava su un nuovo impulso dato alle pratiche devozionali, che dovevano indirizzare tutti i monaci, pur nel contemperamento dettato da un sano equilibrio spirituale, verso l'ascetismo. Per questo l'ufficiatura liturgìca, che aveva occupato nel Medioevo tanta parte della giornata monastica, fu ridotta notevolmente e anche considerata sotto il profilo di pratica devota occupò un posto inferiore rispetto alla meditazione: per garantire il raccoglimento necessario a questa che era l'espressione massima della vita spirituale, il B. volle che i dormitori conventuali fossero restituiti all'assetto primitivo di celle separate lungo un corridoio, in luogo dei cameroni che quasi ovunque ne avevano preso il posto.
È difficile determinare le fonti della riforma: nell'esperienza dell'abate di S. Giustina confluivano l'esempio vissuto dei canonici di S. Giorgio in Alga, la recente riforma dei canonici regolari, lo sviluppo che stava conseguendo la famiglia dei benedettini olivetani (i primi che avessero introdotto il principio della temporaneità nell'ufficio abbaziale), i movimenti riformistici manifestatisi tra il secolo XIV e il principio del XV un po, dovunque. Ma non va neppure dimenticata la costituzione di Benedetto XII Summi Magistri del 20 giugno 1336 che, sia pure su una base esclusivamente giuridica, tracciava le linee maestre di una riforma dell'Ordine benedettino. L merito del B. l'aver saputo filtrare tutte queste esperienze col più acceso ardore ascetico e nello stesso tempo con vivace senso realistico di uomo che non soltanto conosceva i mali da sradicare ma sapeva anche individuarne le cause e trovarne i rimedi.
La predilezione e la stima che Eugenio IV ebbe per il B. sono dimostrate dai numerosi incarichi, spesso assai delicati, che il pontefice affidò al fondatore della congregazione "de unitate": più importante tra tutti quello di legato del papa al concilio di Basilea. Dal febbraio all'aprile 1432 il B. fu a Parma, come inviato di Eugenio IV presso l'imperatore Sigismondo, sceso in Italia per fare da intermediario tra i padri conciliari e il pontefice. Nel gennaio 1433 l'abate, insieme con gli altri legati pontifici, raggiunse Basilea, dove rimase fino al giugno; ritornato presso il papa per riferire sulla situazione determinatasi nel concilio e tentare di comporre la vertenza tra l'assemblea e la Santa Sede, era di nuovo a Basilea nell'ottobre 1433 per rientrare definitivamente in Italia nel luglio 1434. L'azione svolta dal B. in tale circostanza non è nota nei dettagli, anche perché non si risolse in clamorosi interventi ufficiali, ma piuttosto in lunghe e segrete conversazioni diplomatiche: non può esservi dubbio, però, sulla sua efficacia, comprovata dalla stima che Eugenio IV conservò per lui anche in seguito.
Il 15 apr. 1437, morto il giorno prima Giovanni di Benedetto vescovo di Treviso, il papa destinava il B. a succedergli su quella cattedra. Ancora una volta si verificò nell'animo del B. quel conflitto tra l'ideale di una vita raccolta e tesa al perfezionamento spirituale proprio e dei figli a lui affidati e l'incognita di mansioni nuove che gli imponevano di mutare il genere di vita, e ancora una volta egli cedette soltanto per le insistenze del pontefice, umilmente interpretate come volontà divina. È perciò del tutto gratuita l'insinuazione formulata da Poggio Bracciolini nel Contra hypocritas (cap. XXIV) che il B. si aggirasse per la curia in cerca di un pingue beneficio. Al rammarico dell'abate si aggiunse il dolore dei suoi monaci che nel capitolo generale di quell'anno lo elessero, per valersi ancora della sua guida illuminata, definitore perpetuo.
Anche nel governo della diocesi il B. dimostrò il suo zelo illuminato di riformatore e lavorò costantemente per correggere i costumi e indirizzare il clero a una vita di spiritualità più intensa. Come vescovo di Treviso partecipò al concilio di Ferrara-Firenze (1437-1439), ma non sembra che in questa circostanza abbia esercitato mansioni particolari.
Continuò pure ad occuparsi assiduamente della sua congregazione e per essa scrisse, in forma epistolare, i due opuscoli De initiis Congregationis S. Iustinae de Padua, terminato il 30 giugno 1440, e Forma orationis et meditationis, composto tra la fine del 1440 e i primi del 1441. Quest'ultimo, pur non costituendo un vero e proprio metodo d'orazione, occupa un posto notevole nell'ascetica dell'età umanistica e rivela quale influsso abbiano esercitato sulla spiritualità del B. da un lato Bartolomeo da Roma, il riformatore dei canonici regolari, con il quale ebbe quasi sicuramente incontri diretti, dall'altro s. Caterina da Siena, attraverso i contatti avuti con i conventi domenicani di Venezia e la farnifiarità con l'abate camaldolese di S. Michele di Murano, Paolo Venier.
Rimangono altresi di lui numerose lettere, tra le quali assume particolare importanza quella compilata per ordine di Eugenio IV il 20 luglio 1439 in risposta ad alcune eccezioni mosse dai monaci di S. Benedetto di Valladolid su taluni punti della regola.
Morì il 19 sett. 1443 nel monastero di S. Giorgio Maggiore in Venezia, ma per decisione unanime dei suoi monaci fu sepolto, con pompa solenne, in S. Giustina di Padova.
Fonti e Bibl.: Sono da considerare innanzi tutto gli stessi scritti del B.: il De initiis,a cura di B. Pez, in Thesaurus anecdotorum, 11, 2, Augustae Vindelicorum 1721, COR. 267-308, e successivamente a cura di G. Campeis, Patavii 1908; della Forma orationis H.Watrigant ha riprodotto, in Quelques Promoteurs de la méditation méthodique au quinzième siècle, Enghien 1919, l'editio princeps di Venezia 1523; dal cod. 64 della Bibi. di S. Pietro di Perugia l'ha ripubblicata di recente I. Tassi nel suo volume sul B., pp. 143-152; per la lettera a S. Benedetto di Valladolid, v. Studien und Mitteilungen aus dem Benediktiner- und dem Zisterzienser-Orden, XXV (1904), pp. 698-703. Altre lettere pubblicano B. Trifone e, il già citato Tassi. Inoltre: I. F. Tomasinì, Annals canonicorum secularium S. Georgii in Alga, Utini 1642; C. Margarini, Bullarium Casinense..., I, Venetiis i 650, constt. XLIX s., LII-LXXVI, LXXVIII, pp. 45-86; 11, Tuderti 1670, constt. CCLXXXIX, CCXCV, CCXCVIII, CCIC, CCCV s., CCCXI s. pp. 296-299, 304-312, 316-319, 323-325; G. B. Mittarelli-A. Costadoni, Annales camaldulenses, VI, Venetiis 1761, pp. 228 s., 242-245, 247 s., 275 s., 286, 300, 318, 338 s., Coll. 671-673, 720 s., 783-785; VII, ibid. 1762, pp. 14, 21, 24, 181, 191 s., 194, C011. 48-50; T. Leccisotti, Congregationis S. Iustinae de Padua o. s. B. ordinationes capitulorum generalium, I, Montecassino 1939. Per il Contra hypocritas di Poggio v. l'ediz. a cura di G. Vallese, Napoli 1946, p. si; G. Cavaccio, Historiarum coenobii d. Iustinae Patavinae libri sex, Patavii 1696, pp. 197-227; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra..., V, Venetiis 1720, Col. 563; M. Armellini, Bibliotheca Benedictino-Casinensis sive scriptorum Casinensis Congregationis alias S. Iustinae Patavinae... notitiae, II, Assisii 1732, pp. 81-87; Id., Additiones et correctiones Bibliothecae Benedictino-Casinensis..., Fulginei 1735, p. 68; F. Comaro, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis... íllustratae.... VI, Venetiis 1749, pp. 59-64, 67-70; VIII, ibid. 1749, pp. 169-171; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, IL Venezia 1754, pp. 1-27; M. Armellini, Catalogi tres episcoporum, reformatorum et virorum sanctitate illustrium e Congregatione Casinensi. Assisii et iterum Romae 1755, pp. 39-41, 50-52; F. Cornaro, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia e di Torcello..., Padova 1758, pp. 59, 481 s., 505 s., 639, 655; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia..., II, 1, Brescia 1758, pp. 316 s.; A. Bossi, Syllabus scriptorum aliorumque illustrium virorum congregationis Casinensis ,[fine '700]: estr. con la biografia del B. in A. Antoniolli, L. B. fondatore della Congregazione di S. Giustina di Padova, Modena 1910; F. S. Dondi dall'Orologio, Dissertazione nona sopra l'istoria ecclesiastica Padovana, Padova 1817, pp. 6-9; Io. A. Fabricius, Bibliotheca latina mediae et infimae aetatis, IV, Florentiae 1858, pp. 569 s.; F. Pizzi, Bibl. per servire alla storia della basilica e monastero di S. Giustina in Padova, Padova 1903; P. Lugano, I monaci olivetani a S. Giustina di Padova nel 1408 e le origini della congregazione benedettina "de unitate", in Riv. stor. benedettina, IV (1909), pp. 560-570; B. Trifone, L. B. e i primordi della Congregazione benedettina di Santa Giustina, ibid., V (1910),pp. 269-280, 364-394; VI (1911), pp. 366-392; C. Eubel, Hierarchia catholica.... II, Monasterii 1914, D. 248; T. Leccisotti, La congregazione benedettina di S. Giustina e la riforma della Chiesa al sec. XV, in Arch. d. Deputaz. romana di storia patria, LXVII (1944), pp. 451-569; Id., Contributo alla storia liturgica della Congregazione di S. Giustina. Il suo "Missale monasticum", in Miscellanea Giovanni Mercati, V, Città del Vaticano 1946, pp. 363-375; Id., Sull'organizzazione della congregazione "de unitate", in Benedictina, 11 (1948), pp. 237-243; I. Tassi, Per la datazione di alcune lettere di L. B., ibid., III (1949), pp. 279-290; Id., L. B.(1381-1443), Roma 1952; P. Sambiti, Marginalia su L. B.,in Rivista di storia della Chiesa in Italia, IX (1955), pp. 249258; G. Cracco, La fondaz. dei canonici regolari di S. Giorgio in Alga, ibid., XIII ( 1959), pp. 70-88; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VI, coll. 657-660; Enc. Cattolica, I, coll.830 s.