ARRIVABENE, Ludovico
Nacque probabilmente intorno al 1530 da Leonardo. La prima notizia che lo riguarda risale al 1555, anno in cui egli fu sicuramente a Parigi, al seguito del padre Leonardo, che fu dal 1549 al 1559 alla corte di Caterina de' Medici.
A Parigi l'A. dovette conoscere il famoso medico d'Amiens Jacques Dubois (nome latinizzato: Sylvius), alla morte del quale, avvenuta appunto nel 1555, l'A. scrisse il SyIvius Ocreatus (Arrivabeni Mantuani Sylvius Ocreatus. Sylvius Ambianus moritur Parisiis. Idib. Januar. Anno 1555, Parisiis 1555), operetta satirica in forma dialogata, nella quale egli ironizza sulla celebre avarizia di Sylvius e cerca di screditare i medici francesi a vantaggio degli italiani.
Nonostante le accuse rivolte particolarmente a Rabelais, e si pensi allo spunto polemico che suggerisce l'argomento dell'operetta e che viene dall'A. sviluppato in termini di satira elegantemente allusiva (gli stivali che il Dubois, secondo una voce corsa, avrebbe calzato poco prima di morire per passare a guado la palude Stigia, senza pagare l'obolo dovuto a Caronte per il traghetto), forte è l'influsso esercitato sull'A. dalla tradizione letteraria rabelesiana. Però colpì del Silvius soprattutto la vivace polemica contro Dubois e Rabelais; altrettanto vivaci le difese ad opera d'amici di Dubois e d'ammiratori di Rabelais, tra i quali merita ricordo il Melet, che scrisse un'apologia latina del primo e dedicò al secondo una serie di versi per esaltarne la scienza e la capacità di medico.
Nell'edizione ginevrina delle opere del Dubois, curata dal Moreau nel 1630-34, appaiono tanto la satira dell'A. quanto le composizioni del Melet.
Non sappiamo quando l'A. tornò in Italia; comunque nel 1565 egli era arciprete della chiesa parrocchiale di S. Antonio Abate, a Canneto sull'Oglio, presso Mantova. Nel maggio del 1566 lasciò la parrocchia per recarsi a Bologna, dove poté completare gli studi letterari e giuridici, addottorandosi in utroque-iure.
Per quanto riguarda i suoi scritti non si ha notizia di altre opere da lui pubblicate fino al 1587, anno cui risale l'edizione del Sinae-Brixiae (opera che viene citata tra gli scritti dell'A. dal solo Mazzuchelli), seguita di lì a poco dalla Vita del serenissimo signor Guglielino Gonzaga, Duca di Mantoa et di Monferrato, Mantova 1588.
Troviamo l'A. nel 1589 vicario generale del vescovo di Mantova Alessandro Andreasi, ma legato all'ambiente della corte gonzaghesca, della quale diveniva il poeta e il letterato più autorevole.
Allorché al duca Vincenzo venne conferito il Toson d'Oro l'A. celebrò l'evento pubblicando due dialoghi sulla Origine de' Cavalieri del Tosone, et di altri Ordini, de'Simboli et delle Imprese, Mantova 1589 (seguono tredici liriche, quasi tutti sonetti encomiastici, che rappresentano l'unica testimonianza dell'attività poetica dell'Arrivabene). Sollecitato da un problema particolarmente sentito presso gli ambienti cortigiani, compose Il Mascheromastige, overo gli ammaestramenti del lodevole et christiano carnevale. Con le leggi et le quistioni toccanti alle Metamorfosi Mascherali et alla gloria dè Beati, Mantova 1590, dialogo in cui, secondo la tradizionale polemica ecclesiastica, si discute sulla eventualità di condannare il carnevale e il ballo.
La predilezione dell'A. per la forma dialogata è confermata ancora in uno scritto del 1592, il Dialogo delle cose più illustri di Terra Santa il quale contiene l'ultimo viaggio solito a farsi da' Pellegrini, ove si mostra la grandezza del Tempio di Salomone et del Santo Sepolcro del Signore con quello della Gloriosa Vergine..., Verona 1592 (preceduto da una canzone Voto del Pellegrino alla Sacratissima Vergine).
L' "hipotiposi" del dialogo, cioè l'introduzione, è di gusto chiaramente novellistico in contrasto con le numerose digressioni di carattere teologico sulla Scrittura, sulla Vergine, sul giudizio universale, che sottolineano le preoccupazioni moralistiche dell'A. già esplicite nell'opera precedente.
Ultima e più importante opera dell'A. è Il Magno Vitei, Verona 1597. Si tratta di un romanzo cavalleresco didascalico, nel quale "oltre al piacere che porge la narratione delle altre cavallerie del glorioso Vitei, prima Re della China, et del valoroso Golao, si ha nella persona di Ezonlom, uno ritratto di ottimo Prencipe et di Capitano perfetto. Appresso si acquista notitia di molti paesi, di varii costumi di popoli, di animali, sì da terra et sì da acqua, di alberi, di frutti et di simiglianti cose, maltissime. Vi si trattano ancora innumerevoli quistioni quasi di tutte le scienze più notabili. Fatti di arme navali, da terra, assedii et assalti di varii luoghi, molte giostre, razze di cavalli, et loro maneggi. Funerali, trionfi, ragionamenti di soggetti diversi, avenimenti maravigliosi; et altre cose non punto discare a' Lettori intendenti". Una cospicua tradizione culturale arricchisce la trama di quest'opera: dalla letteratura di gusto alessandrino (con il consueto repertorio di avventure piratesche, descrizioni di tempeste e incredibili riconoscimenti) alla più recente produzione epico-cavalleresca, dalla didascalica scientifica (l'A. cerca di spiegare le eclissi, i terremoti, il flusso e riflusso dell'oceano) alla precettistica politica dettata da un rigida ideale moralereligioso.
Il romanzo è ambientato in Cina, e l'A nell'introduzione afferma di narrare avvenimenti storici (col titolo di Istoria della Cina l'opera verrà pubblicata a Verona nel 1599), sebbene il racconto sia privo assolutamente di una qualsiasi base storica, anche indiretta: i nomi di luoghi e di personaggi, costumi, ambienti esotici descritti dall'A. non hanno nulla di autentico e mirano soltanto a creare un'atmosfera strana e favolosa; le stesse divinità, di cui si parla nel romanzo, sono quelle della mitologia greca.
Pertanto l'interesse che l'opera può suscitare non è di natura storica, ma letteraria. Essa ci mostra l'evoluzione del genere epicocavalleresco dal poema al romanzo in prosa; l'affermarsi di un particolare tipo di eroe, cavaliere saggio e virtuoso che vive nel clima religioso e moralistico della Controriforma; quella tendenza infine a rinnovare e ad ampliare il vecchio contenuto dei poemi che contribuirà nel corso del '600 e del '700 alla diffusione del genere romanzesco "eroico-galante" presso un vasto pubblico di lettori.
Secondo la testimonianza del Donesmondi, l'A. sarebbe morto nel 1594; ma tale data contrasta con quella della lettera dedicatoria del romanzo, del 10 ott. 1597, che reca la sua firma. Poco oltre il '97 si dovrà supporre che avvenne la sua morte.
Fonti e Bibl.: Lettere del Signor Stefano Guazzo..., Venezia 1614, pp. 343, 356, 369, 417; I. Donesmondi, Dell'historia ecclesiastica di Mantova, II, Mantova 1616, pp. 283, 313; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia.I,2, Brescia1753, pp. 1138 s.; G. Passano, I novellieri italiani in prosa, I,Torino1878, pp. 29, 30; A. Albertazzi, Romanzieri e romanzi del Cinquecento e del Seicento, Bologna 1891, pp.126-133; Id., Il romanzo, Milano s. d., p. 73; L. Thuasne, Rabelaesiana - Le "Sylvius ocreatus", in Revue des Bibliothèques, XV (1905), pp. 268-311; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s. d., p. 428; F. Tessaroli, Memorie di Canneto sull'Oglio,Asola 1934, pp. 64, 142, 156, 158, 194; G. Raya, Il romanzo, Milano 1950, pp. 97 s.