AGOSTINI, Ludovico
Nacque a Pesaro il 6 genn. 1536, da Giovan Giacomo e da Pantasilea degli Alessandri. La sua famiglia, di antica origine umbra ma trasferita da più di un secolo a Pesaro, era dedita ad una fiorente attività molitoria, che raggiunse il suo culmine sotto il nonno dell'A., che portava il suo stesso nome. Avviato agli studi di legge, l'A. si recò presso l'università di Padova, che dovette però lasciare avendo ucciso in duello un compagno di corso. Di questo periodo un po' oscuro della sua vita si sa soltanto (ricavando la notizia da alcuni suoi versi) che egli dovette arruolarsi nelle milizie roveresche della sua patria e prender parte, probabilmente intorno al 1555, a uno scontro d'armi sul Reno, sotto le insegne imperiali. Rientrato in Italia, riprese gli studi di legge a Bologna, dove intrecciò un idillio con una giovinetta di nome Gentile, che ricorderà poi nelle sue rime e nelle sue lettere, soprattutto quando ella, fattasi suora, gli ispirerà pensieri di pentimento e propositi di mortificazione. Conseguito il dottorato in utroque iure il 29 sett. 1557, ritornò a Pesaro, dove fu ascritto nel 1559 all'ordine dei legisti.
A Pesaro, allietata dalla presenza fastosa del duca Guidobaldo II della Rovere, che la preferiva alla capitale Urbino, la vita dell'A. si adeguò all'atmosfera serena e godereccia che spirava intorno alla corte del duca.
Fra il 1560 e il 1569, si colloca una vasta produzione in versi, che lo qualifica come uno dei tanti petrarchisti del tempo; ma accanto alle rime di contenuto amoroso si trovano già non poche composizioni religiose o politico-religiose, che fanno antivedere in lui lo scrittore della Repubblica immaginaria: tali, ad esempio, la canzone per l'elezione di Pio IV, ricalcata sullo schema della Canzone all'Italia del Petrarca (e che risale al 1560, primo carme sicuramente databile), la canzone per l'elezione di Pio V (1566), i sonetti per la seconda guerra civile francese (1567), ecc.
Fra il 1560 e il 1562 il patrimonio familiare dell'A, subì un grave colpo: il duca Guidobaldo II, impegnato in una politica di restaurazione delle entrate statali, riuscì, attraverso un'abile manovra, a strappare agli Agostini la loro industria molitoria. Da questo momento cominciò la decadenza economica della famiglia. Ma la vita dell'A, non cambiò, per allora; di quel periodo è un viaggio a Venezia; di qualche anno più tardi è il suo grande amore per una musica e cantante insigne, Virginia Vagnoli, figlia di Pietro, senese. Per tale donna fu scritto gran parte del canzoniere amoroso dell'A., il quale le offrì, il 24 maggio 1569, ben duecento composizioni poetiche, accompagnate da una lettera dedicatoria e da un Discorso sulla qualità de amor, nel quale è teorizzato l'amore spirituale, che è "fondamental radice, base, colonna e guida di tutte le virtù". L'A. chiese in isposa la Vagnoli, ma fu rifiutato, per intromissione del padre di lei, a causa delle sue condizioni economiche, ormai non più floride. Dopo questa, altre sciagure si abbatterono su di lui: nel 1570 gli morì la madre, e quindi nel 1571 i Vagnoli, che egli aveva continuato a frequentare, lasciarono Pesaro per recarsi presso l'imperatore Massimiliano II.
Nell'A. maturò così sempre più l'inclinazione alla malinconia e alla meditazione religiosa: si chiudeva la prima parte del canzoniere, dedicata alle gioie di un amore presente e sicuro; si apriva, petrarchescamente, la seconda parte, in cui si effondeva il dolore per la lontananza irreparabile della donna amata.
Ne Le giornate soriane, l'ultima sua opera legata ancora all'atmosfera degli anni precedenti, descrisse undici giornate di villeggiatura estiva, nella villa roveresca di Soria presso Pesaro, in compagnia di sei amici, ciascuno dei quali riflette in sé un aspetto della personalità dell'A. stesso (si chiamano infatti lo Stupido, lo Sventato, l'Opposito, il Volubile, il Confuso, il Vano). Nel quadro degli svaghi e delle bellezze naturali, sono intessute lunghe divagazioni moralistiche (Del perdonar le ingiurie, Discorso de la volontà di Dio, De la vita dell'uomo prudente, ecc.). La prima stesura dell'opera risale probabilmente al 1572-74, ma è da ritenere che sia stata rimaneggiata successivamente.
Fra il 1570 e il 1582, la sua vita si svolse sempre a Pesaro, non facile per la situazione economica e per le sue sregolatezze (gli nacquero due figli illegittimi). Divenuto agente e uomo di fiducia in Pesaro di Paolo Maria della Rovere, vescovo di Cagli, continuò la sua produzione letteraria in versi e in prosa, legata alle alterne vicende della lotta contro gli infedeli e contro gli eretici.
Si ricordano i sonetti contro i Turchi (1570), quelli per la vittoria di Lepanto (1571), i versi per l'elezione di Gregorio XIII (1572). Ribellatasi Urbino nel dicembre 1572 per l'esosità fiscale dei della Rovere, l'A. inviò versi di adulazione e omaggio al duca Guido-baldo, e missive in cui lo consigliava di riprendere la città con qualunque mezzo a sua disposizione, anche il tradimento. Nel 1575 inviò due lettere al duca Francesco Maria II, successo a Guidobaldo l'anno precedente, per chiedere il suo intervento contro il lusso dominante in Pesaro. Nel 1576, infuriando in tutta Italia la peste, egli scrisse una Lettera all'Italia, per ridestare la propria patria dal sonno dei vizi, additandole il flagello del morbo come un segno del castigo di Dio.
Mortogli il padre nel 1582, l'A. decise di lasciar Pesaro: rinunciato al seggio ereditario nel Consiglio della città, si ritirò nella sua villetta di Soria. Cominciò così un volontario esilio georgico-durato quasi vent'anni - il periodo più fecondo e più sereno della sua vita. Della crisi che l'aveva indotto ad abbandonare la vita mondana sono testimonianza le Esclamazioni a Dio, venti soliloqui in prosa, in cui è rappresentato vivacemente il contrasto fra un'anima ormai volta al bene e le riottosità della carne.
Fra il 1583 e il 1584,l'A. si applicò a quella meditazione della Bibbia da cui nacque, in varie riprese, l'opera sua maggiore, il dialogo L'Infinito.
L'opera si compone di due libri, divisi in quattro parti: il primo libro era ultimato già nel dicembre 1583; il secondo sta fra l'85 e il '90 (quindi dopo il viaggio in Terrasanta). Si tratta di un dialogo tra l'Infinito, o scienza rivelata, e il Finito, l'umana ragione, su argomenti e riflessioni che sono tratti soprattutto dai libri della Genesi e dell'Esodo. Nella quarta parte dell'opera, intitolata alla Repubblica immaginaria, l'A. traccia un profilo di stato utopistico, improntato agli ideali di rigorosità morale e politica della Controriforma.
Il 18 apr. 1584, l'A. intraprese un viaggio in Terrasanta, da lungo tempo vagheggiato. A Venezia, dove si era recato per imbarcarsi, corse il pericolo di essere assalito da sicari, inviatigli contro da oscuri nemici, che evidentemente ricordavano ancora i suoi trascorsi giovanili nel Veneto. Imbarcatosi il 18 agosto, raggiunse alcuni mesi dopo la Palestina, che visitò minuziosamente. Nel febbraio dell'anno successivo intraprese il viaggio di ritorno e nel marzo si recò a Roma, dove presentò un memoriale del suo viaggio al papa Gregorio XIII. Una relazione analoga, sotto forma di una lunga lettera, egli inviò poi anche al duca Francesco Maria II.
Rientrato a Soria, riprese la vita di prima, in maggior tranquillità di spirito. Nel 1590 trascorse alcuni giorni di spirituale ritiro presso il cenobio camaldolese di Fonte Avellana. Nel 1591 meditò il progetto, che non portò però a termine, di raccogliere in un volume a stampa intitolato Gli ozii, le Esclarnazioni a Dio, Ragionamento fatto all'Italia (la lettera del 1576), alcune lettere consolatorie, il Viaggio in Terra Santa (la relazione al duca). Il 14 genn. 1592 inviò al papa Clemente VIII una lettera di proposte per la riforma della procedura giudiziaria del tempo, veramente macchinosa, con il titolo Ordini e modi per riformare i tribunali di giustizia e per ischivar l'occasione delle liti. In questi stessi anni l'A. ebbe più volte ad occuparsi in lettere al duca Francesco Maria II della decadenza delle milizie, una volta famose, del minuscolo ducato.
Nel maggio 1599, tornò, per ragioni ignote, a Venezia, e nel 1600, approfittando del solenne giubileo, compì un pellegrinaggio a piedi a Roma.
Ai primi di novembre del 1604, l'A. ricevette dal duca il primo incarico pubblico della sua vita: il governo della rocca di Gradara, che egli accettò ben volentieri, nonostante la sua scarsa importanza, perché gli permetteva di avviare all'attività di governo uno dei suoi due figli, Giulio Cesare (l'altro era morto in tenera età). A Gradara l'A. trascorse malato gli ultimi anni della sua vita, continuando però alacremente a scrivere. Nel 1606 la contesa giurisdizionalistica fra la Repubblica di Venezia e il papa lo spinse a deplorare in versi e in lettere questa che egli considerava una calamità per tutta la cristianità.
Morì a Gradara il 29 luglio 1609.
Quasi tutte le opere dell'A. sono inedite. Le numerosissime rime sono conservate quasi tutte in un codice della Marciana (cod. Ital. IX. 301), che contiene anche il sunnominato Discorso della qualità de amor, e in uno della Oliveriana di Pesaro (cod. 193 bis). Le Giornate soriane sono nel cod. 191 della Oliveriana e, in una tarda copia ottocentesca, nel cod. 1464 della stessa Biblioteca. La Lettera all'Italia è conservata in due codici: l'esemplare di omaggio al duca di Urbino (Biblioteca Vaticana, cod. Urb. Lat. 1237) e l'autografo originale (Biblioteca Oliveriana, codice 193 ter). L'Infinito, inedito nelle prime tre parti, è conservato nei codd. 192-193 della Oliveriana. Le Lettere sono sparse in varie biblioteche d'Italia. Sono edite dell'A. le seguenti opere: Il viaggio di Terra Santa e di Gerusalemme, Lettera al serenissimo duca di Urbino Francesco Maria II Feltri o Della Rovere..., a cura di C. Antaldi, Pesaro 1886; la quarta parte dei dialoghi dell'Infinito, col titolo La Repubblica immaginaria, a cura di L. Firpo, Torino 1957; Le Esclamazioni a Dio, a cura di L. Firpo, Bologna 1958.
Bibl.: L. Manicardi, L'ultimo "cortegiano" dei duchi di Urbino: L. A., gentiluomo e letterato pesarese, in Atti e Mem. d. R. Deput. di storia patria per le Marche, s. 4, II (1925), pp. 59-70; Id., La "Repubblica immaginaria" di L. A., in La Rassegna, XXXIV (1926), pp. 1-10; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1941, pp. 629, 636; M. S. Agostini, L. A., Urbino 1952; L. Firpo, L. A. riformatore sociale e consigliere politico, in Studia Oliveriana, II (1954),pp. 15-32. L'opera che riassume in un profilo completo il travaglio della critica si deve a L. Firpo, Lo Stato ideale della Controriforma: L. A., Bari 1957.