Vedi LUCUS FERONIAE dell'anno: 1961 - 1973 - 1995
LUCUS FERONIAE (v. vol. iv, p. 725-726)
Gli scavi, iniziati nel 1952, proseguono tuttora e vanno sempre meglio rivelando la struttura urbanistica della cittadina. In particolare, si è potuto rintracciare il lato meridionale del Foro, mentre alle spalle del settore S del lato lungo occidentale, dietro le botteghe, è venuta alla luce una bella domus di età imperiale (preceduta da fasi repubblicane con pavimenti in signino) con una serie di interessanti mosaici dagli emblemata policromi (II sec. d. C.).
Lungo la strada che sbocca sullo stesso lato lungo del Foro sono poi apparse una grande aula forse di schola con bel pavimento in opus sectile (I sec. d. C.) ed un'interessante base del 33 d. C. con dedica alla domus divina; nel settore NO della città infine sono state scavate e restaurate delle piccole terme (III-IV sec. d. C.) ed è stata completata l'esplorazione del singolare anfiteatro di forma quasi circolare (I sec. d. C.). All'interno della zona monumentale sono proceduti intensi lavori di restauro che hanno condotto a importanti scoperte: si è infatti potuto stabilire che l'alto muraglione in opera reticolata, posto lungo il lato orientale del Foro, aveva la duplice funzione di sostegno per lo speco della aqua Augusta, il locale acquedotto (attestato da un'epigrafe con riferimento ai castella aquarum e da un sistema di dighe con relativi condotti lungo il vicino Fosso Gramiccia) e di muro di tèmenos del santuario. Il lucus di Feronia si estendeva dunque alle spalle di questo muraglione ed era accessibile mediante un portichetto costruito nella prima epoca augustea dal duoviro A. Ottavio, autore anche del rifacimento del Foro; è stato altresì ritrovato il muro del tèmenos verso N ed E, costituito da una robusta struttura in opera incerta con bellissimi intonaci a finta incrostazione marmorea. Il santuario si componeva del bosco sacro (lucus), del tempio e di un grande altare: del tempio, a quanto pare di pianta di tipo italico, non restano che pochi tratti delle fondazioni a blocchi e notevoli elementi dell'alzato della facciata (conservati nella piazza del Foro) con colonne scanalate dal capitello cosiddetto "corinzio-italico", l'architrave e parti del timpano, tutti da rapportare verosimilmente alla ricostruzione successiva al sacco annibalico. L'altare sembra invece da identificare nel grande basamento quadrangolare in asse con il portico d'ingresso sul Foro; un ulteriore ingresso sembra dislocato più a N sulla via Tiberina, dove sono anche le vestigia delle fondazioni di un arco di accesso all'area del Foro. Negli scavi 1960-61 sono stati trovati anche resti della stipe votiva, con materiale fittile anatomico, ceramiche, bronzetti e gioielli, oltre a un'abbondante serie di monete bronzee ed argentee: a giudizio degli scavatori, questo materiale, rinvenuto sparso sulla superficie e nei crepacci del banco calcareo, costituirebbe l'avanzo del ben noto saccheggio di Annibale (211 a. C.) ed assumerebbe pertanto un'eccezionale importanza per la cronologia di quelle classi di oggetti e in particolare per la vexata quaestio del denario.
Progressi sono stati anche fatti nella chiarificazione del complesso monumentale sul lato N del Foro. L'edificio su alto podio (II sec. a. C.?) sarebbe in realtà una sorta di aula basilicale colonnata (5 colonne sui lati lunghi e 3 sui lati corti) a tre navate, recante sul fondo una sala absidata per il culto degli Augustales (a sinistra) e un tempietto su podio in opera reticolata con relativa ara rotonda in travertino. Il cosiddetto pulpito in opera a sacco con rivestimento in marmo bianco e azzurro sembra da identificare con un grande altare (Jones), di fronte al quale è una base marmorea di tripode finemente decorata con festoni e bucranî. Nel compitum alle spalle di questo complesso (presso il quale sono venuti in luce due miliarî dei Secondi Tetrarchi e di Graziano) va in realtà riconosciuto l'incrocio tra la via Tiberina e la strada per Capena, elemento determinante per la nascita del santuario primitivo.
Bibl.: R. Bartoccini, in Rend. Pont. Acc., XXXIII, 1961, p. 173 ss.; G. D. B. Jones, in Pap. Br. Sch. Rome, XXX, 1962, p. 191 ss.; G. Simoncini, in Quad. Ist. St. Archit., 1962, nn. 52-3; R. Bartoccini, in Autostrade, V, 1963, p. i ss.
La villa dei Volusii Saturnini. - Gli imponenti sbancamenti dell'Autostrada del Sole hanno messo in luce, accanto alla cascina Poggi, a circa 400 m a NE di Lucus Feroniae, i resti di una grandiosa villa romana che numerose iscrizioni ci testimoniano essere stata proprietà dell'importante famiglia senatoria - d'origine forse picena - dei Volusii Saturnini. La villa, quasi integralmente esplorata e perciò esempio finora unico di grande praedium senatorio scavato per intero, in Italia, consta di una gigantesca sostruzione (m 120 × 180 circa, secondo una ricostruzione), di un nucleo tardo-repubblicano e di un grande peristilio ergastulum imperiale. La sostruzione, conservata in parte nell'angolo SE, comprendeva verso valle un grande criptoportico a pilastri con contrafforti esterni a speroni, in opera incerta, mentre verso S probabilmente esibiva una serie di ambienti di soggiorno come xysti, diaetae, ecc.; il terzo lato verso occidente non è conosciuto. Questa sostruzione a terrazza doveva formare una sorta di sontuoso ingresso al nucleo vero e proprio della villa, forse con portici colonnati: di qui provengono una replica dell'Eracle Lansdowne scopadeo e del ritratto di Euripide.
Il nucleo centrale e più elevato della villa, con bella vista sulla valle del Tevere, constava nella fase originaria (circa 50 a. C.) di un ampio atrio esastilo con colonne di travertino e pavimento a lithòstroton, di un bel tablino a mo' di oecus aperto sull'atrio e fiancheggiato da salette laterali (alae), di una serie di stanze di varia grandezza sui lati lunghi del medesimo atrio in cui si riconoscono cubicula, triclinia e sale di soggiorno; sul fondo era un viridario con colonne bugnate destinate a sostenere pergolati, mentre lungo il lato occidentale correva esternamente un portico, forse per connettere la villa con gli adiacenti campi. Di questa fase sono conservati la cisterna sotterranea comunicante con l'atrio, tutto il lato orientale con i finissimi mosaici non figurati, tra i quali si notano quello decorante il cubicolo 18 (numerazione Moretti) con imitazione policroma di tappeti ellenistici e quello, pure policromo, dell'ala 14. Sempre a quest'epoca sembra risalire l'eccezionale pavimento in opus sectile della sala 23, uno degli esempî più antichi a noi noti di pavimentazione del genere.
In una seconda fase abbiamo tutto il rifacimento in opera reticolata della porzione occidentale del nucleo "nobile": si provvede in questa fase ad aprire una serie di accessi al portico laterale e soprattutto a fornire l'ala rinnovata di pavimenti musivi in bianco e nero. Tra questi mosaici si segnalano per finezza e complessità i pavimenti del tablino 13 e della sala 8. Questo rifacimento, in base alla tecnica costruttiva e allo stile dei mosaici, si può datare alla fine del I sec. a. C. Nel corso del I sec. d. C., verosimilmente in età Flavia, si assiste a un radicale cambiamento della fisionomia e delle funzioni della villa. Nel nucleo padronale vengono sostituiti alcuni pavimenti rifatti nella fase precedente; viene soppresso il viridario con pergolato e adattato a ricevere una complessa serie di stanze di servizio (culinae, horrea, vasche), viene costruito a fianco del lato occidentale del nucleo padronale un grandioso peristilio con colonne tuscaniche di travertino e una serie di stanzette su ciascuno dei tre lati di nuova costruzione del peristilio. Queste stanzette - una trentina in tutto - hanno in genere dimensioni simili e il pavimento costituito dalla nuda roccia scalpellata: fa eccezione la stanza centrale del lato O che, più grande delle altre e pavimentata con mosaico in bianco e nero, conteneva un altare, una tràpeza e un sedile marmorei, mentre un bancone in muratura nell'angolo NO della stanza recava ancora all'atto della scoperta i lunghi e importanti elogia di L. Volusio Saturnino console del 3 d. C. e Q. Volusio Saturnino console del 56. In questa sala (e tutto intorno nel peristilio) venivano alla luce, frammentatissime, anche alcune statue-ritratto e busti marmorei, tra i quali si possono forse riconoscere il console del 3 d. C., la moglie Cornelia, il console del 56 e forse la Volusia Torquata nota da un'epigrafe (Dessau, 924) e vissuta in età adrianea. Nel singolare ambiente va senz'altro riconosciuto il larario della familia di schiavi alloggiata nel grande peristilio, che di certo rappresenta l'ergastulum (per non meno di 500 schiavi) del predio lucoferoniense dei Volusii. La scoperta di questo larario, con il suo complesso apparecchio di arredi, sculture e iscrizioni, si rivelerà con il procedere degli studi sempre più feconda di sviluppi, soprattutto per le ricerche nel campo della ritrattistica privata romana. Alle spalle del peristilio ergastulum si sviluppa un angiporto aperto sulla terminazione di una strada, evidentemente usato come punto di arrivo e di stazionamento dei carri provenienti dalle campagne circostanti. Si noterà infine la presenza di un ambiente (34) all'angolo NO del peristilio con funzione di latrina e di stanzini (48-50) lungo il lato S dello stesso complesso destinati a lavatoi e balnea: sono questi il logico completamento funzionale di questo impressionante documento dell'industria servile di età imperiale. Si può dunque concludere che attorno alla metà del I sec. d. C. le funzioni della villa mutino radicalmente, trasformandosi essa da sede di otium suburbano in grosso centro produttivo agricolo; e tale sembra rimanere, con un corrispettivo e ovvio scadimento dell'aspetto e del decoro del cosiddetto nucleo padronale, fino a tutto il IV sec. d. C., ben oltre dunque la metà del II sec., quando cioè la famiglia si estingue, unendosi, sembra, a quella di Erode Attico. Tracce di devastazioni (tra le quali si noterà la violenta frantumazione delle statue dei domini) e di incendî sono state qua e là rivelate dagli scavi: è tuttavia possibile che la vita sia continuata ancora oltre il IV sec. d. C. come attestano alcune ceramiche e, forse, la sopravvivenza, nell'angolo sudorientale del nucleo padronale, fino ai nostri giorni, di un piccolo ambiente, una torre-casale, ora adibito ad antiquario della villa.
Bibl.: M. Moretti, in Autostrada, X, n. 8, p. 3 ss.; sulla famiglia dei Volusii: R. Hanslik, in Pauly-Wissowa, Suppl. IX, 1962, c. 1857 ss.