VIZZANI, Lucrezia
VIZZANI (Vizana, Vizzana, Vizani), Lucrezia (in religione Orsina, Orsola, Ursula). – Nacque a Bologna il 3 luglio 1590 da Ludovico di Obizzo Vizzani e da Isabetta Bombacci.
La famiglia patrizia dei Vizzani è documentata a Bologna fin dal XIII secolo; alcuni tra i suoi componenti si distinsero in ambito militare, nel campo degli studi, nella carriera ecclesiastica e in seno al governo cittadino. Nel 1563 i fratelli Giasone, Pompeo (v. la voce in questo Dizionario) e Camillo di Camillo Vizzani diedero vita, presso la loro dimora di via S. Stefano, all’Accademia degli Oziosi.
Lucrezia entrò nel monastero camaldolese di S. Cristina della Fondazza a Bologna all’età di otto anni insieme alla sorella Verginia, allora undicenne, probabilmente nei mesi successivi alla morte della madre; quivi prese i voti, com’era uso, all’età di sedici anni. Negli anni tra il 1598 e il 1599 sono documentati alcuni prestiti di Ludovico Vizzani alle monache, presumibilmente per instaurare buoni rapporti con il monastero, nel momento in cui vi entrarono le figlie. Il debito fu annullato nel 1606, forse in coincidenza con la professione della figlia più giovane; l’indomani Ludovico fu sollevato dall’obbligo delle doti e degli arredi per le figlie.
Nelle comunità monastiche femminili dell’epoca era uso che le novizie di famiglie altolocate fossero seguite da congiunte già presenti in monastero, e da esse istruite. Al momento dell’entrata in clausura delle sorelle Vizzani, S. Cristina ospitava già tre zie materne: Flaminia, Ortensia e Camilla Bombacci, dunque l’accettazione e la socializzazione delle due novizie fu facilmente favorita da legami matrilineari. Il ruolo rivestito dalle sorelle Bombacci nei confronti delle nipoti fu poi assunto dalle Vizzani rispetto ad altre due parenti: Valeria e Teresa Pompea Vizzani – anch’essa nota per meriti musicali –, entrate in clausura negli anni Trenta del Seicento. Tale situazione rende evidente la presenza, nei monasteri femminili, di ‘dinastie monastiche’ la cui influenza, in seno al chiostro, rifletteva spesso le dinamiche di potere a esso esterne.
Si ritiene che Vizzani si fosse formata anche musicalmente tra le mura claustrali, visto il precoce noviziato. La zia Camilla Bombacci, morta in odore di santità, fu infatti organista, tre volte maestra delle novizie e badessa. Negli stessi anni era inoltre presente in S. Cristina la monaca Emilia Grassi, cantatrice e virtuosa di organo, arpa e molti altri strumenti, nonché dedicataria della Messa solenne a otto voci (1599) dell’olivetano Adriano Banchieri. Fu la stessa Grassi, una volta badessa, ad assumere, senza autorizzazione dei superiori, il maestro di cappella della basilica di S. Petronio, Ottavio Vernizzi, come insegnante di musica del monastero. Altre monache di S. Cristina furono dedicatarie di opere musicali da parte di compositori quali Gabriele Fattorini (1601), Giovanni Battista Biondi, detto il Cesena (1606), ed Ercole Porta (1613). Il fatto avvalora la fama del monastero come luogo eminentemente musicale nella Bologna del Seicento. A dispetto delle proibizioni emanate dalle autorità ecclesiastiche, che permettevano alle monache il solo canto fermo (con al massimo l’aggiunta di una seconda voce) e l’organo come unico strumento, il monastero di S. Cristina era rinomato per l’esecuzione, da parte delle sue ospiti, di musica vocale polifonica, a volte a doppio coro, accompagnata da una grande varietà di strumenti.
In questo vivace contesto culturale videro la luce i Componimenti musicali de mottetti concertati a una e più voci (Venezia 1623) di Vizzani, una raccolta di venti brani in latino, dieci per voce sola, otto a due e i restanti due per tre e per quattro voci, con il basso continuo, che riflette appieno lo stile musicale dell’epoca e non nasconde forti influenze della coeva musica profana, in particolare dello stile affettuoso messo in auge da Claudio Monteverdi. Nella raccolta la scrittura musicale predilige lo stile recitativo nei brani assolo, imitativo nei duetti, persegue il risalto retorico dato al testo, fa ricorso a esuberanti virtuosismi. La probabile destinazione della raccolta alle monache è avvalorata dall’uso del registro di soprano in ben diciotto dei venti brani.
Il monastero di S. Cristina fu oggetto di repressione da parte del clero bolognese, soprattutto negli anni di reggenza del cardinale Ludovico Ludovisi, sostenuto dal vescovo suffraganeo Angelo Gozzadini; i tentativi di disciplinamento (che riguardarono, tra l’altro, anche la fiorente prassi musicale ivi coltivata) incontrarono tuttavia forti resistenze non solo nelle monache stesse, ma anche nelle famiglie dell’aristocrazia bolognese in vario modo legate al monastero. Nodo cruciale della questione era l’obbedienza, che le monache sostenevano di dovere al solo legato pontificio: il che le portò a inimicarsi le autorità ecclesiastiche locali. È però provato che in S. Cristina, proprio all’epoca di Vizzani, fossero sorte liti e dissidi anche a causa della rivalità musicale tra le consorelle, che determinarono profonde spaccature in seno alla comunità. Una lettera anonima indirizzata al cardinale Ludovisi il 28 agosto 1622, riguardante presunti comportamenti disdicevoli delle religiose, diede seguito a ispezioni e interrogatori (se ne conservano i verbali) che condussero a sanzioni disciplinari esemplari, sia individuali, sia all’indirizzo dell’intera comunità. Dai documenti non emergono implicazioni a carico di Vizzani, per la quale si potrebbe semmai ipotizzare un ruolo pacificatore dei dissidi interni ed esterni al monastero (Monson, 1995, pp. 155-157). La sua opera, oltre a riflettere il contesto devozionale del monastero di S. Cristina – alcuni brani sono dedicati ai santi venerati dalla comunità, di cui nella chiesa figuravano diverse effigi –, è talora pervasa da accenti più accorati, che ben si accordano con la situazione della comunità: richiamo all’ubbidienza, richiesta di perdono, ma anche desiderio di giustizia e castigo dei nemici.
Morì a Bologna, in S. Cristina, il 7 maggio 1662. Le fosche vicende nelle quali era stato coinvolto il monastero, e le repressioni patite per ben venticinque anni, avevano condotto Vizzani al graduale ritiro dalla vita sociale e culturale della comunità e infine alla pazzia. Il necrologio del monastero la descrive come persona estremamente devota, piagata da numerose malattie, a cui l’infermità mentale precluse l’accesso al più alto ufficio monastico.
Fonti e Bibl.: P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, pp. 1-27; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, II, Bologna 1869, pp. 415-420; A. Longhi, Il Palazzo Vizani (ora Sanguinetti) e le famiglie illustri che lo possedettero, Bologna 1902; G.L. Masetti Zannini, Espressioni musicali in monasteri femminili del primo Seicento a Bologna, in Strenna storica bolognese, XXXV (1985), pp. 193-205; J. Bowers, The emergence of women composers in Italy, 1556-1700, in Women making music. The western art tradition, 1150-1950, a cura di J. Bowers - J. Tick, Urbana-Chicago 1986, pp. 116-167; G. Roversi, Palazzi e case nobili del ’500 a Bologna. La storia, le famiglie, le opere d’arte, Bologna 1986, pp. 196-213; C.A. Monson, Disembodied voices: music in the nunneries of Bologna in the midst of the Counter-Reformation, in The crannied wall. Women, religion, and the arts in early modern Europe, a cura di C.A. Monson, Ann Arbor (Mich.) 1992, pp. 191-209; Id. The making of L.O. V.’s “Componimenti musicali” (1623), in Creative women in medieval and early modern Italy, a cura di E.A. Matter - J. Coakley, Philadelphia 1994, pp. 297-323; Id., Disembodied voices. Music and culture in an early modern Italian convent, Berkeley 1995 (trad. it. Bologna 2009), passim; Id., Vizzana (Vizana), L.O., in The new Grove dictionary of music and musicians, XXVI, London-New York 2001, pp. 479 s.; C.A. Monson, Divas in the convent: nuns, music and defiance in seventeenth-century Italy, Chicago 2012, passim.