MARINELLI, Lucrezia
MARINELLI (Marinella), Lucrezia. – Nacque a Venezia, nel 1571, da Giovanni; non si conosce il nome della madre.
La formazione culturale della M. avvenne in ambito familiare, dove poté contare sul padre e sul fratello, Curzio, entrambi medici e umanisti. A favorire la possibilità di dedicarsi allo studio fu probabilmente il fatto che la M. giunse piuttosto tardi al matrimonio, anche se è inverosimile l’ipotesi di Zanette (p. 216) secondo cui il matrimonio con Girolamo Vacca sarebbero avvenuto addirittura dopo il 1625. Dopo il 1606 si registra un forte rallentamento nell’attività letteraria della M., che potrebbe essere legato alla nascita dei figli Antonio e Paolina; allo stato delle ricerche, tuttavia la data delle nozze resta ignota.
Il colto ambiente familiare rappresentò certamente per la giovane M. il luogo essenziale e pressoché unico della sua formazione. Giovanni Stringa, nel 1604, affermò che la M., «standosene nella sua camera tutto il giorno rinchiusa, e attendendo con vivo spirito a gli studi de le belle lettere, vi ha fatto meraviglioso profitto». La reclusione nella sfera domestica, tratto peculiare della condizione femminile dell’epoca, in alternativa alla vita religiosa, dovette dunque essere in qualche misura compensata dall’attività intellettuale, così come accadde per le altre due celebri scrittrici veneziane contemporanee che alla M. devono essere accostate, Modesta Dal Pozzo e Arcangela Tarabotti. Anche se più tarda, è importante la testimonianza di Cristoforo Bronzini, che sottolinea la cultura filosofica della M. e le sue doti di musicista: «non solo nella poesia di leggiadro, e pulito, et elegante stile dotata, ma nella filosofia molto intendente. Nella musica poi è molto versata, sonando, e cantando soavemente di vari stromenti (e di liuto in particolare) con molta eccellenza, e con armonia incredibile» (Della dignità, e nobiltà delle donne…, Firenze 1625, p. 113).
La stampa della prima opera data alla luce dalla M., La Colomba sacra (Venezia, G.B. Ciotti, 1595), «poema heroico» di quattro canti in ottave sulla vita della vergine martire Colomba, esemplare figura di eroina cristiana, contiene quattro sonetti in lode dell’autrice composti da Giuseppe Policreti, Bonzio Leoni, Teodoro Angelucci e Giovanni Maria Avanzi. Leoni e Angelucci sono legati alla seconda Accademia Veneziana, fondata nel 1593 sul modello della più celebre Accademia della Fama, o Veneziana, fiorita brevemente alla fine degli anni Cinquanta per iniziativa di Federico Badoer. Ciotti era lo stampatore ufficiale dell’Accademia e presso di lui la M. pubblicherà nel 1600 la sua opera più celebre, il trattato Della nobiltà, et eccellenze delle donne, con dedica a Lucio Scarano, medico e letterato, membro anch’egli dell’Accademia, il che configurerebbe un legame della M. con questo ambiente. Lei stessa si preoccupò peraltro di promuovere la sua opera anche fuori dei confini della Repubblica. La Colomba sacra è infatti dedicata alla duchessa di Ferrara Margherita Gonzaga e il 27 dic. 1595 la M. scrisse alla duchessa per conoscere il gradimento dell’opera, di cui aveva inviato una copia; il 10 genn. 1596, su consiglio del segretario Antonio Montecatini, Margherita rispose personalmente alla M., inviandole fra l’altro, tramite l’ambasciatore estense a Venezia, Annibale Ariosti, un anello. La vicenda si concluse con una lettera di ringraziamento della M., datata 27 genn. 1596 (in Tiraboschi, pp. 160 s.).
La scelta di dedicare alla moglie del duca di Ferrara Alfonso II il suo primo libro si spiega probabilmente con le origini modenesi dei Marinelli e non è escluso fosse ispirata dai familiari. In ogni caso, il legame cordiale instauratosi con Margherita potrebbe spiegare la scelta della M. di dedicare il romanzo pastorale Arcadia felice (Venezia 1605) a Eleonora de’ Medici, moglie del duca di Mantova Vincenzo I e fratello di Margherita, la quale, dopo la morte del marito (1597), si era ritirata nella sua città natale.
Dopo l’esordio l’attività letteraria della M. fu intensa. Nel 1597 apparve la Vita del serafico, et glorioso s. Francesco (Venezia, P.M. Bertano; poi Venezia 1602, 1605; Firenze 1606), ancora un poema in ottava rima di tre canti, a conferma sia del forte influsso esercitato dal modello tassiano, sia degli interessi per la tematica religiosa, soprattutto in chiave di imitatio Christi e di proposta di modelli di perfezione spirituale.
A dimostrare la complessità e la ricchezza della visione della M. è il discorso che segue la Vita, intitolato Rivolgimento amoroso, verso la somma bellezza e rivolto alla dedicataria del poema, la granduchessa di Toscana Cristina di Lorena. Il testo si inserisce decisamente nella tradizione quattro-cinquecentesca della pia philosophia, che a Venezia, nel corso del XVI secolo, vanta illustri rappresentanti, quali Francesco Zorzi e Giulio Camillo (autore di una Lettera del rivolgimento dell’uomo a Dio, stampata più volte nella seconda metà del Cinquecento, cui palesemente rinvia la Marinelli). Caratteristico è l’itinerario delineato dalla M., sulla base di concezioni ermetiche e platoniche, che dovrebbe condurre l’uomo alla conversione (rivolgimento) verso Dio, concepito come amore, e alla deificatio, attraverso un’ascesi insieme intellettuale e affettiva. Nello stesso 1597 fu pubblicata a Venezia la canzone Deus di Celio Magno, accompagnata da quattro testi esegetici di chiara tendenza ermetico-sapienziale composti da intellettuali amici del poeta: Ottavio Menini, Valerio Marcellini e quel Teodoro Angelucci di cui si è detto a proposito della Colomba sacra della Marinelli. La Lettera si inserisce così nel panorama letterario veneziano del momento, fondendo i motivi più urgenti della cultura conciliare con attardate correnti sapienziali, spesso non facilmente accordabili con l’ortodossia cattolica, che continuavano tuttavia a circolare in alcuni autori anche in piena epoca tridentina.
Nel 1598 la M. diede alle stampe il poema in dieci canti Amore innamorato et impazzato (Venezia), in cui, nonostante l’abbandono della tematica religiosa, resta fedele a una concezione impegnata della letteratura, come dimostrano gli Argomenti e le Allegorie aggiunti nell’edizione Venezia 1618, dedicata a Caterina de’ Medici, consorte del duca di Mantova Ferdinando Gonzaga. La M. sintetizza l’allegoria generale dell’opera nella formula della vittoria della parte divina dell’uomo sul senso, sulla scorta di numerose auctoritates filosofiche, in primo luogo Platone e Aristotele.
Di argomento profano è anche l’opera alla quale è maggiormente legata la fama della M., il trattato Le nobiltà, et eccellenze delle donne: et i diffetti, e mancamenti de gli huomini (ibid., G.B. Ciotti, 1600). Alla prima edizione seguì l’anno seguente, per lo stesso editore, una seconda, molto più ampia, con titolo mutato in La nobiltà et l’eccellenza delle donne co’ diffetti et mancamenti de gli huomini; nel 1621, infine, Ciotti ristampò l’opera nella versione del 1601.
L’opera si ricollega esplicitamente alla tradizione cinquecentesca di trattati sul comportamento, riprendendo alla lettera il titolo del celebre testo di Enrico Cornelio Agrippa (Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim), il De nobilitate et praecellentia foeminei sexus (Anversa 1529), volgarizzato da L. Domenichi nel 1545 per i tipi di G. Giolito de’ Ferrari. Ma è probabile che sulla M. agissero lontani interessi paterni: Giovanni era stato autore di un’opera di cosmetica (Gli ornamenti delle donne, Venezia, Francesco de’ Franceschi, 1562) e di un fortunato trattato di ostetricia (Le medicine partenenti alle infermità delle donne, ibid. 1563). Il trattato della M. è soprattutto una presa di posizione forte e originale nell’ambito della querelle des femmes avviatasi a partire dagli anni Ottanta con la pubblicazione di una serie di opere provocatoriamente misogine. In particolare, obiettivo polemico della M. è il trattato di Giuseppe Passi I donneschi difetti (Venezia, G.A. Somasco, 1599), cui fa esplicito riferimento nella Divisione di tutto il discorso, dopo aver indicato in Aristotele l’origine prima della misoginia imperante nella tradizione occidentale. Nella prima parte, la più originale, la M. discute la nobiltà e l’eccellenza delle donne; nella seconda, che si presenta come un puntuale rovesciamento delle affermazioni di Passi, sono trattati i difetti degli uomini. Ciò che caratterizza maggiormente la posizione della M. è la decisa affermazione della superiorità della condizione femminile rispetto a quella degli uomini, che l’autrice manifesta corroborando le proprie argomentazioni attraverso un ricchissimo catalogo di exempla attinti dalla tradizione classica e volgare. È soprattutto il patrimonio della lirica amorosa petrarchista, con la sua topica esaltazione della donna, a essere sfruttato per delineare un ritratto dell’eccellenza femminile altamente idealizzato, che giustifica la legittima rivendicazione di un diverso ruolo della donna nella società e la sua valorizzazione come soggetto attivo in campi da sempre riservati all’uomo.
Nella dedica a L. Scarano dell’edizione 1600, in un passaggio poi eliminato nel 1601, la M. fa esplicito riferimento al poco tempo avuto a disposizione per scrivere l’opera: solo due mesi. Ciò spinge a ipotizzare che il lavoro sia stato in qualche misura commissionato dal tipografo Ciotti. Se si tiene conto del ruolo di Ciotti e di Scarano nell’Accademia Veneziana, oltre che del fatto che nello stesso 1600 fu pubblicato postumo il trattato di Moderata Fonte (Modesta Dal Pozzo) Il merito delle donne per cura di Giovanni Nicolò Doglioni, zio dell’autrice e coinvolto nella fondazione dell’Accademia, si può pensare che la pubblicazione delle due opere fosse il frutto di una strategia culturale che trovava i suoi ispiratori in ambito accademico.
Il trattato della M. ebbe una notevole risonanza, alimentando l’apprezzamento nei confronti dell’autrice. Ne fa fede uno scambio di sonetti con Celio Magno occasionato dalla pubblicazione, a Venezia nel 1600, delle Rime di quest’ultimo (rimasto manoscritto alla Biblioteca Marciana di Venezia); come pure la richiesta rivolta alla M. dall’editore B. Barezzi di comporre gli argomenti in versi e le allegorie in prosa per un’edizione de Le lagrime di s. Pietro di Luigi Tansillo (Venezia 1606).
La M. redasse una serie di brevi interpretazioni allegoriche dei canti del poemetto, che dimostrano come la componente filosofica di matrice ermetico-platonizzante fosse fortemente attiva nella sua cultura.
Accanto alle lodi e alle dichiarazioni di stima non mancarono le critiche e le maldicenze, riconducibili alle posizioni radicali assunte ne La nobiltà et l’eccellenza delle donne. Una prima eco di tali polemiche si coglie nell’avviso A’ lettori premesso dalla M. alla Vita di Maria Vergine imperatrice dell’universo descritta in prosa et in ottava rima (ibid. 1602 e 1610). L’avviso è una difesa dello stile ornato impiegato nelle parti in prosa dell’opera: la M. ritiene che lo stile «magnifico» sia d’obbligo per ragioni di convenientia, laddove si narrino «attioni, che hanno del grande, del magnifico, e del divino, e che trapassano le operationi humane» (c. a3r).
Del resto, la M. dimostrava di avere fiducia nel valore della propria opera, dato che ne inviò una copia a Virginia de’ Medici, moglie di Cesare d’Este duca di Modena e Reggio, come si ricava da una lettera in cui si ricorda anche l’incontro, avvenuto a Venezia nel 1602, con Orazio Vecchi, maestro di cappella nel duomo di Modena (in Tiraboschi, pp. 161 s.).
Gli attacchi, in ogni caso, dovettero continuare, se nel 1605, nell’avviso ai lettori premesso all’Arcadia felice della M., Ciotti la difese dall’accusa di alcuni «maligni» di non essere l’autrice della Vita di Maria Vergine imperatrice.
Con l’Arcadia felice la M. si misura su un terreno nuovo. Si tratta di un romanzo pastorale, in cui le tradizionali parti in versi sono ridotte al minimo. Dedicato a Eleonora de’ Medici duchessa di Mantova, narra la vicenda dell’abdicazione dell’imperatore Diocleziano ambientandola tra i pastori d’Arcadia. L’interpretazione dell’opera non è agevole: basandosi prevalentemente sulle Historie del mondo di Giovanni Tarcagnota (Venezia 1585), la M. non fa alcun riferimento alle persecuzioni dei cristiani operate da Diocleziano, che pure in quell’opera sono ampiamente trattate, e sembra invece volere «esaltare il dominio della ragione attraverso il personaggio dell’imperatore filosofo, che ha raggiunto grazie alla rinuncia al potere la tranquillità dell’anima» (Lavocat, Introduzione, p. XXXV).
Nel 1603 era uscito uno scarno volume di Rime sacre, che conteneva anche un poemetto in ottave sulla storia dell’immagine della Vergine conservata nel santuario di S. Luca presso Bologna, indizio forse di un possibile pellegrinaggio della M., che negli anni seguenti non sembra avere mai abbandonato Venezia.
Era stato il bolognese Ascanio Persio, curatore di un’antologia di rime (Componimenti poetici… di diversi sopra la sacra imagine della beata Vergine dipinta da s.Luca…, Bologna 1601), a chiedere alla M. di comporre il poemetto, da includere nella progettata riedizione del volume. La lettera contenente la richiesta è datata 12 nov. 1602 e vi si legge fra l’altro un giudizio molto positivo sulle qualità della M. come scrittrice religiosa.
Nel 1606 uscì a Firenze una Vita di s. Giustina in ottava rima. Negli anni successivi, come già detto, si assiste apparentemente a una stasi nell’attività letteraria della Marinelli. Solo nel 1617 apparve una nuova opera, sempre di argomento religioso: le Vite de’ dodici heroi di Christo e de’ quattro evangelisti, unitamente a una ristampa della Vita di Maria Vergine imperatrice (Venezia); nel 1624 è il volume De’ gesti heroici, e della vita meravigliosa della serafica s. Caterina da Siena (ibid.). Distante dalla tematica agiografica è L’Enrico, overo Bisantio acquistato (ibid. 1635, 1641), un «poema heroico» in ottave sulla quarta crociata che esalta come protagonista dell’impresa il doge Enrico Dandolo e fa della vicenda storica un pretesto per celebrare le glorie militari e politiche della Repubblica.
Per quanto la realtà storica nel poema non costituisca l’elemento fondamentale e prevalga la componente romanzesca, è dimostrata l’attenzione con cui la M. compulsò le fonti storiografiche, a esempio l’unica fonte greca contemporanea alla quarta crociata, la Historia di Niceta Coniate, disponibile in tre diversi volgarizzamenti apparsi a Venezia nel 1560, 1562 e 1569. Il poema dovette impegnare a lungo la M., che si misurò con una struttura narrativa più ampia e complessa rispetto a quella delle opere agiografiche.
L’Enrico non ebbe tuttavia particolare successo e le ultime opere della M. la vedono tornare ai campi a lei congeniali, la trattatistica sul comportamento, con l’Essortatione alle donne et a gli altri se a loro saranno a grado. Parte prima (Venezia 1645), e gli scritti religiosi, con Le vittorie di Francesco il Serafico. Li passi gloriosi della diva Chiara (Padova 1643, 1651) e l’Holocausto d’amore della vergine s. Giustina (Venezia 1648).
È soprattutto la prima di queste due opere a destare interesse, dato che si tratta, almeno a una prima lettura, di una decisa palinodia di quanto sostenuto nel giovanile La nobiltà et l’eccellenza delle donne, cui la M. fa puntuale riferimento in quattro occasioni, ritrattando sostanzialmente le tesi sostenute un tempo. La donna, sostiene ora la M., deve accettare di buon grado il ruolo subalterno e la reclusione cui l’uomo la costringe, perché è «volere e providenza della natura e di Dio» (p. 11). Particolarmente forte è l’invito a non intraprendere la carriera letteraria. Ma è proprio questo aspetto a rappresentare un elemento di forte ambiguità, come hanno rilevato gli interpreti moderni, che nel catalogo di exempla e auctoritates proposti a supporto della tesi di fondo, speculare a quello che caratterizza La nobiltà et l’eccellenza delle donne, hanno voluto vedere una latente contraddizione tra il messaggio dell’opera e il metodo utilizzato per sostenerla.
Al 1° maggio del 1645 risale la stesura del testamento autografo della M., che nominò erede universale il figlio Antonio; alla figlia Paolina destinò una coppa d’argento e al nipote Gianfrancesco Cantilena la somma di 30 ducati. In un’integrazione successiva, sempre autografa, datata 26 genn. 1648, la M. si ricordò della nipote Anzoleta, figlia di Paolina, cui lasciò 10 ducati «in segno di amore».
Nel fascicolo è inclusa anche una copia dell’atto di morte. La M. morì a Venezia il 9 ott. 1653 e fu sepolta nella chiesa di S. Pantaleone, dove si leggeva un’epigrafe, andata perduta nel rifacimento dell’edificio ma trascritta da Tiraboschi (p. 159).
In edizioni moderne si leggono L’Enrico ovvero Bisanzio acquistato, Venezia 1844; l’Arcadia felice, a cura di F. Lavocat, Firenze 1998; The nobility and excellence of women and the defects and vices of men, a cura e trad. di A. Dunhill, intr. di L. Panizza, Chicago 1999.
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