PAOLO EMILIO, Lucio (L. Aemilius M. f. M. n. Paullus)
Console romano nel 219 e nel 216 a. C. Nel suo primo consolato insieme con il collega M. Livio Salinatore fu incaricato della seconda guerra illirica provocata dalla defezione di Demetrio di Faro cui i Romani avevano assegnato una parte della regione con l'isola di Faro (Lesina) dopo la prima guerra. I due consoli ebbero facilmente ragione della resistenza della città di Dimale e di quella dell'isola di Faro donde Demetrio, vinto dai Romani, riparò presso Filippo di Macedonia. Essi, però, non vollero spingere a fondo la guerra nella terraferma illirica credendo forse che non giovava a Roma impegnarsi troppo colá, mentre incombeva il pericolo cartaginese. Tornati in Italia, entrambi i consoli ebbero il trionfo. Sul principio del successivo anno consolare 218, P. fece parte della famosa ambasceria capitanata da M. Fabio Buteone che recò a Cartagine l'ultimatum del senato romano. Fu poi processato insieme con il collega per la campagna illirica. L'accusa fu, sembra, di peculato; motivo reale fu forse il malcontento popolare provocato dalle notizie dell'Illiria dove la condotta di Scerdilaide mostrava chiaramente che la campagna romana non era stata risolutiva. Livio fu condannato, P. ottenne non senza difficoltà l'assoluzione. Non molto dopo, nel 216, fu eletto console insieme con C. Terenzio Varrone per fronteggiare Annibale, che aveva già riportato le due vittorie della Trebbia e del Trasimeno. Prima che i nuovi consoli raggiungessero l'esercito romano, Annibale mosse verso l'Aufido, s'impadronì di Canne dove i Romani avevano un loro deposito di viveri e s'accampò nella regione piana presso il basso corso di quel fiume. Qui i consoli lo seguirono e posero due accampamenti, uno maggiore e uno minore, uno sulla destra, l'altro sulla sinistra dell'Aufido. La decisiva battaglia di Canne (v.) ebbe luogo il 2 agosto 216 secondo il calendario romano. Sebbene di questa battaglia abbiamo un racconto diffuso in Polibio, si discute vivacemente tra i moderni intorno al campo di battaglia, al numero dei Romani che vi partecipavano e anche intorno allo svolgimento tattico della pugna. Del terribile insuccesso gli antichi dànno concordemente la colpa al console plebeo Varrone che avrebbe voluto impegnare battaglia contro il consiglio di Emilio. E certo la battaglia fu combattuta in un giorno in cui aveva il comando Varrone, il quale ha quindi la responsabilità sia della scelta del momento sia dell'ordine di battaglia romano. Ma è quasi certo, dato il numero delle truppe e la posizione occupata dai Romani presso il basso Ofanto in territorio pianeggiante, che proposito di entrambi i consoli era quello di venire a giornata campale rompendola con la strategia del logoramento voluta da Fabio (Cunctator) e che contavano sulla superiorità del numero e del valore della fanteria romana per vincere. Nella battaglia P. aveva comandato la cavalleria dell'ala destra e poi quando la cavalleria fu travolta aveva preso posto tra la fanteria delle legioni. Egli rimase sul campo. Livio racconta come nel momento della disfatta, ferito, rifiutò di salvarsi con la fuga. Dei suoi figli ci sono menzionati L. Emilio Paolo il vincitore di Pidna ed Emilia Terzia consorte del maggiore Africano.
Bibl.: G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, i, Torino 1917, p. 325 segg.; III, ii, p. 56 segg.; E. Pais, Storia di Roma durante le guerre puniche, I, Roma 1927, p. 392 segg.; F. Cornelius, Cannae, in Klio, supplemento XXVI, Lipsia 1932.