MASSARI, Lucio
– Figlio di Bartolomeo e di una tale Celidonia, nacque a Bologna nel 1569 (Malvasia, 1678, III, p. 552) e fu battezzato il 22 gennaio nella cattedrale di S. Pietro (Cellini, n. 1, p. 225). Compiuti gli studi in grammatica, entrò come allievo nella bottega di B. Passerotti, dove rimase forse fino alla morte del maestro (1592). Nel 1589 risulta implicato con Tiberio Menganti, figlio dello scultore Alessandro, in una causa legale di riappacificamento con Benedetto Pimazzini, vittima di percosse e ferite da parte dei due giovani (Gualandi, IV, p. 159).
Fece parte dell’Accademia degli Incamminati, mostrando una perfetta sintonia con i precetti fondamentali della scuola carraccesca, che auspicava il ritorno a un naturalismo e a un classicismo di raffaelliana memoria, ma anche con i canoni stilistici postconciliari tendenti all’utilizzazione di una maniera pittorica chiara e fortemente comunicativa, alla maniera di P. Tibaldi o di B. Cesi.
Scarse le notizie sugli esordi della sua carriera pittorica, a esclusione dei brevi cenni di Malvasia. L’unica testimonianza artistica rimasta sulla sua prima formazione può considerarsi il disegno conservato presso il Cooper-Hewitt National Design Museum di New York (1931-64-190) raffigurante nudi classicheggianti, inquadrati dal basso verso l’alto, a cavallo di una balaustra sullo sfondo di un cielo aperto: inequivocabile il rimando al soffitto dipinto da Tibaldi per palazzo Poggi (Cazort - Johnston).
Nel 1599 il M. fu eletto consigliere della appena nata compagnia dei pittori a seguito della separazione dall’arte dei bombaseri (Malaguzzi Valeri); all’interno della stessa avrebbe ricoperto la carica di massaro nel 1605, 1609, 1618, 1619, 1627, 1631 (Cellini, n. 20, p. 227). Nel 1603, come scrive B. Morello che lo definisce «huomo di valore singolare» e «tra i principali della pittura», realizzò in occasione dei funerali di Agostino Carracci una scultura raffigurante la Poesia e un dipinto in cui ritrasse lo stesso Agostino insieme con le Parche (in Bellori, pp. 136 s., 143).
La sua prima opera pittorica nota risale al 1600. Si tratta della Crocifissione a fresco dell’oratorio di S. Colombano a Bologna, alla cui decorazione prese parte accanto ai giovani allievi della scuola carraccesca, G. Reni, F. Brizio, F. Albani, L. Garbieri, D. Zampieri detto il Domenichino (Arcangeli, p. 240).
L’opera, che si distingue per la misurata e calibrata composizione grafica e cromatica, capace di illustrare in maniera esaustiva una tecnica già formata, dovette molto probabilmente essere preceduta da altri lavori (circa 1598) realizzati nella chiesetta sottostante l’oratorio, intitolata alla Madonna dell’Orazione (Arcangeli, pp. 237 s.).
Seguono, sulla stessa linea stilistica e cronologica della Crocifissione, ancora opere felsinee come la pala con la Madonna fra i ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista della chiesa di S. Maria dei Poveri, databile intorno al 1604 (Masini, pp. 99 s., 121) e di cui rimane un disegno preparatorio (Funghini), e gli affreschi a olio su muro con Storie di s. Benedetto nel chiostro ottagono di S. Michele in Bosco del 1604-05.
Rimangono ancora leggibili del M. Il miracolo dei sacchi di grano e Le monache morte che escono dalla sepoltura, mentre del S. Mauro che cammina sulle acque e del S. Benedetto che ritrova la mannaia esistono le incisioni settecentesche di G. Fabbri (Campanini).
Intorno al 1605 fu coinvolto con L. Spada e Brizio nella decorazione dell’oratorio della Ss. Trinità a Pieve di Cento (D’Amico) e negli affreschi di argomento storico-mitologico di palazzo Bonfilioli, ora Rossi (Cellini, p. 221), a Bologna. Non menzionati dalle fonti, ma attribuiti dalla critica al M. per ragioni stilistiche, sono gli episodi di storia romana eseguiti in palazzo Dall’Armi-Marescalchi (ibid.). Al 1607 si colloca la Visitazione nella chiesa di S. Cristina, la cui esecuzione si è voluta talora anticipare (Volpe, p. 8).
Incerta rimane la data del suo viaggio a Roma, a proposito del quale G. Mancini (p. 244), ripreso da G.P. Bellori (p. 94), scrive: «Questo, nel tempo che Aniballe operava per l’illustrissimo Farnese, era in Roma al servitio dell’illustrissimo Facchinetti e facendo profession di scolar de’ Carracci, praticava familiarmente con Aniballe». Fu Malvasia a introdurre la versione secondo cui il M. giunse a Roma subito dopo la morte di Annibale (1678, III, p. 553) in compagnia di Spada (Benati, p. 224). A Roma, impegnato soprattutto in commissioni private, il M. si dedicò anche «a disegnare per sua memoria su duo’ piccioli libretti – che poi restarono a’ Signori Conti Areosti – tutte le più belle statue di Roma» (Malvasia, 1678, III, p. 553). I presunti libretti sono andati dispersi, ma forte risulta nelle opere del M. del secondo decennio del Seicento l’eco dell’arte classica, come mostrano le opere della Galleria Pallavicini a Roma (il Trionfo di David, Rinaldo e Armida, che Malvasia ricorda dipinti per Ludovico Mastri, ma anche Loth e le figlie e la Pietà: Zeri), oltre al notevole S. Matteo nella chiesa dei Cappuccini (Volpe, p. 11).
Con riguardo alle opere collegate al M., ancora problematica rimane la questione relativa alla S. Margherita di Annibale Carracci commissionata nel 1597 circa da Gabriele Bombasi per la cappella nella chiesa di S. Caterina dei Funari (Ginzburg). La critica, antica e contemporanea, si divide tra quanti vi riconoscono la partecipazione del M. e quanti la escludono. Stando a G.D. Ottonelli, seguito da Malvasia (1678, III, p. 553), Bellori (p. 105), F. Titi e G. Campori (p. 128 n. 4), il dipinto sarebbe stato cominciato dal M. che avrebbe copiato la figura della santa dalla Madonna di s. Luca di Annibale Carracci nel duomo di Reggio (oggi al Louvre); quindi il quadro sarebbe stato ritoccato direttamente dal maestro a Roma (Ottonelli). Mancini (p. 219) e Baglione non accennano ad alcuna collaborazione tra Annibale e il M. e ritengono l’opera eseguita a Bologna esclusivamente dal primo. Nel 1971 Posner ribadiva la presenza del M. in più parti del drappeggio e della figura della santa. Nel 1986, invece, A. Ottani Cavina ha riconfermato la totale autografia carraccesca; ed è questo il parere che ha prevalso anche in seguito (Dempsey).
Oscure rimangono le sorti del M. dopo il suo soggiorno romano; ma l’attribuzione da parte di Malvasia (1678, III, p. 557) e M. Oretti (in Cellini, n. 39, p. 229) di un’Immacolata Concezione eseguita per Malta, ora dispersa, ha indotto a pensare che il M. avesse potuto seguire Spada, chiamato da Alof de Vignacourt a decorare il palazzo magistrale di Valletta (Macioce, pp. 56 s.).
Intorno al 1612 il M. risulta attivo a Firenze, chiamato a terminare i lavori per la cappella delle reliquie nella certosa del Galluzzo, per la quale realizzò anche la pala con il Martirio di s. Eulalia.
Iniziati da B. Poccetti nel 1597, gli affreschi erano rimasti incompiuti fino alla morte di questo nel 1612. Riprendendo la decorazione iniziale, limitata alla zona del soffitto e delle lunette, il M. completò il ciclo, affrescando tutte le pareti fino all’altezza dello zoccolo, oltre alle portelle del reliquiario con scene dei protomartiri (Chiarelli - Leoncini, p. 262).
Tornato a Bologna intorno al 1613, fu impegnato per i certosini di Bologna nella realizzazione della pala con la Chiamata di Giacomo e Giovanni (Bologna, Pinacoteca nazionale) nella chiesa di S. Girolamo (Brogi, p. 58) e per la cappella Fibbia nella chiesa dei Celestini con il Noli me tangere (Masini, p. 130), considerato uno dei suoi capolavori.
Nel 1614 firmava e datava il Ritorno del figliol prodigo (Bologna, Pinacoteca nazionale) commissionato dalla famiglia Fava per la cappella nell’oratorio della Morte (Volpe, pp. 14 s.), sopra il quale il M. e Albani, uniti da profonda amicizia, avevano studio (Malvasia, 1678, I, p. 390). Proprio tale dato potrebbe dar ragione della presunta decorazione da parte del M. dell’oratorio e del soffitto della chiesa della Morte, secondo quanto riporta Malvasia (1686, p. 244).
Nel 1619 ricevette dai padri serviti di Reggio Emilia la commissione per un’Orazione nell’orto, che non risulta ancora terminata nel 1620 (Cellini, p. 222), anno in cui eseguì la celebre pala con la Deposizione (Bologna, Pinacoteca nazionale) per l’oratorio dell’ormai distrutto monastero del Figatello, sulle colline della diocesi di Bologna. Per essa nel 1772 L. Crespi usava i termini «bellissima e diligentissima».
Negli stessi anni realizzava la Salita al Calvario per il capitolo della certosa di Bologna (Masini, p. 140), oltre a portare a termine, dopo la morte di L. Carracci nel 1619, la decorazione della cappella di S. Margherita nella chiesa di S. Maurizio a Mantova con due tele rappresentanti i supplizi della santa (Tellini Perina, pp. 91-93). Nel 1621 risulta con Albani proprio a Mantova, convocato dal duca Ferdinando Gonzaga, per decorare una parte della villa Favorita (Luzio).
I lavori si protrassero per un tempo superiore al previsto senza sortire esito positivo. Più di quattro mesi infatti furono impiegati per realizzare i cartoni preparatori «e un anno intero a principiar l’opera, che vi rimase ad ogni modo imperfetta» (Malvasia, 1678, III, p. 554). I cartoni vennero poi acquistati da un «dilettante francese» che li portò fuori d’Italia (ibid.).
Intorno agli stessi anni il M. fu impegnato ancora con Albani a Rimini, dove eseguì la Madonna della Ghiara coi ss. Agostino e Monica nella chiesa dei Servi e La Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Evangelista, Francesco e Maria Maddalena, ora dispersa, in quella dei Cappuccini (Cellini, p. 223).
Intorno al 1625 lavorò nella chiesa di S. Paolo Maggiore a Bologna alla cappella della famiglia Ariosti, cui era legato da un lungo rapporto di amicizia (Malvasia, 1678, III, pp. 554 s.), realizzando una delle sue imprese più importanti: le tele con l’Ultima comunione di s. Girolamo e l’Elemosina del beato Corradino Ariosti, di cui esiste un disegno preparatorio presso il Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi (Ragghianti Collobi), oltre al Beato Ludovico Ariosti davanti all’Ecce Homo e agli affreschi nella volta con scene della vita di s. Girolamo (Cellini, p. 223).
Intorno agli stessi anni bisogna collocare la Maddalena penitente della chiesa di S. Giovanni a Carpi (ora nel Museo civico) e il Padre Eterno e angeli con i simboli della Passione eseguito per la chiesa di S. Rocco a Imola, conservato a Milano nella Pinacoteca di Brera (ibid.).
Nel 1626 ottenne per intercessione di Albani l’incarico di decorare per una somma di 400 scudi la cappella Albicini nella chiesa bolognese di S. Domenico, dove realizzò Il transito di s. Giuseppe (Pinacoteca di Brera) e lo Sposalizio della Vergine, perduto (Giudici).
Seguono il S. Carlo in meditazione della chiesa del Baraccano di Bologna, una Madonna in gloria con i ss. Andrea, Antonio Abate e il beato Lorenzo Giustiniani della chiesa dei Ss. Gregorio e Siro e la Madonna col Bambino e i ss. Francesco e Giuliana Banci della chiesa dei cappuccini di Castel San Pietro (Biagi).
Nel 1629 portò a termine il grande affresco con la Disputa di s. Cirillo per la libreria di S. Martino, opera in cui collaborò con il pittore Girolamo Curti detto il Dentone (Malvasia, 1678, III, p. 554). L’anno successivo eseguì per Ludovica Lupari la pala con il S. Gaetano (chiesa di S. Bartolomeo) e per la basilica di Loreto la Sacra Famiglia in gloria (Cellini, p. 225).
Nel 1631 fu chiamato da Curti a sostituire Michele Colonna, ammalatosi, nella decorazione di una cappella nel palazzo ducale di Modena. La nota lentezza del M. e l’età ormai avanzata furono all’origine delle critiche mosse dal duca Francesco I d’Este per il suo lavoro, molto ritoccato dallo stesso Colonna, una volta tornato in salute (Campori, pp. 308 s.). Sempre nella stessa città e ancora a fianco del Dentone nel 1632 affrescò parte della cupola dell’oratorio di S. Marco, demolita nel 1782 (Soli).
Il M. morì a Bologna il 4 ott. 1633 e fu seppellito nella chiesa di S. Benedetto (Malvasia, 1678, III, p. 557).
Una grande passione per la caccia e una certa indolenza caratteriale avevano fortemente limitato la sua attività di pittore. Prese moglie all’età di circa trent’anni, sposando Ippolita Macinatori da cui ebbe sei figlie femmine e un maschio, Bartolomeo (ibid., p. 558). Questi desideroso di intraprendere la carriera pittorica, ne fu distolto dal padre, anche se rimane un suo S. Martino e il povero nella sagrestia di S. Martino. Divenne un famoso medico di cui le fonti dell’epoca hanno lasciato diverse testimonianze (ibid., p. 559).
Fonti e Bibl.: B. Morello, Il funerale d’Agostin Carraccio (1603), in G.P. Bellori, Vite de’ pittori, scultori et architetti moderni (1672), a cura di E. Borea, Torino 1976, pp. 136 s., 143; G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1621 circa), a cura di A. Marucchi - L. Salerno, I, Roma 1956, pp. 219, 244; G. Baglione, Vite de’ pittori scultori et architetti dal 1572 al 1642 (1642), Napoli 1733, pp. 100 s.; G.D. Ottonelli, Trattato della pittura e scultura: uso et abuso loro (1652), a cura di V. Casale, Treviso 1973, pp. 26 s.; A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1666, pp. 99 s., 121, 130, 140; G.P. Bellori, Vite de’ pittori, scultori et architetti moderni (1672), a cura di E. Borea, Torino 1976, ad ind.; C.C. Malvasia, Felsina pittrice, Bologna 1678, I, p. 390; III, pp. 551-559; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), III, Firenze 1846, pp. 310, 312, 316, 335, 356; IV, ibid. 1846, pp. 17, 646; VI, a cura di P. Barocchi, ibid. 1975, pp. 143, 145, 194, 468; C.C. Malvasia, Le pitture di Bologna, Bologna 1686, pp. 60, 96 s., 109 s., 112 s., 134-136, 145, 147, 152, 175, 178, 181 s., 193, 199, 229, 244, 246, 254, 264, 266, 295, 305, 314, 323 s., 332-335, 343; F. Titi, Descrizione delle pitture, sculture e architetture esposte al pubblico in Roma…, Roma 1763, p. 85; L. Crespi, La certosa di Bologna descritta nelle sue pitture, Bologna 1772, pp. 54 s.; M. Gualandi, Memorie originali riguardanti le belle arti, I, Bologna 1840, p. 112 n. 10; IV, ibid. 1843, pp. 159, 164; VI, ibid. 1845, pp. 197 s.; L. Biagi, in Le chiese parrocchiali della diocesi di Bologna, I, Bologna 1844, p. 62; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi, Modena 1855, pp. 128 n. 4, 161, 163, 308 s., 399; F. Malaguzzi Valeri, L’arte dei pittori a Bologna, in Arch. stor. dell’arte, II (1897), p. 312; A. Luzio, La galleria dei Gonzaga venduta all’Inghilterra nel 1627-1628, Milano 1913, pp. 295 s.; C. Volpe, L. M., in Paragone, VI (1955), 71, pp. 3-18; F. Arcangeli, Una «gloriosa gara», in Arte antica e moderna, I (1958), 3-4, pp. 236-254; F. Zeri, La Galleria Pallavicini in Roma, Firenze 1959, pp. 176-179; L. Ragghianti Collobi, Disegni della Fondazione Horne..., Firenze 1963, p. 25, n. 72; D. Posner, Annibale Carracci. A study in the Reform of Italian painting around 1590, London 1971, pp. 46 s.; G. Soli, Le chiese di Modena, Modena 1974, pp. 224, 230; M. Cazort - C. Johnston, Bolognese drawings in North American collections, 1500-1800 (catal.), Ottawa 1982, pp. 84 s., n. 44; C. Chiarelli - G. Leoncini, La certosa del Galluzzo, Milano 1982, pp. 30, 262-264, 274; C. Tellini Perina, in S. Maurizio in Mantova. Due secoli di vita religiosa e di cultura artistica, Brescia 1982, pp. 88-93; M.C. Funghini, Disegni italiani (catal.), Firenze 1983, n. 11, pp. n.n.; A. Ottani Cavina, in Nell’età di Correggio e dei Carracci (catal.), Bologna 1986, pp. 289 s.; A. Colombi Ferretti, in L’arte degli Estensi (catal.), Modena 1986, pp. 175 s.; D. Benati, La pittura nella prima metà del Seicento in Emilia e in Romagna, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, I, p. 224 e ad ind.; II, pp. 807 s.; C. Giudici, in Pinacoteca di Brera. Scuola emiliana, Milano 1991, pp. 226-229; R. D’Amico, in Restauri a Pieve di Cento, Bologna 1993, pp. 49-64; M.S. Campanini, Il chiostro dei Carracci a S. Michele in Bosco, Bologna 1994, pp. 33, 45, 126-128, 130; F. Frisoni, Francesco Brizio, in La scuola dei Carracci. Dall’Accademia alla bottega di Ludovico, a cura di E. Negro - M. Pirondini, Modena 1994, p. 68; S. Macioce, Lionello Spada a Malta: nuovi documenti, in Storia dell’arte, 1994, n. 80, pp. 54-58; M. Pirondini, Annibale e compagni, in La scuola dei Carracci. I seguaci di Annibale e Agostino, a cura di E. Negro - M. Pirondini, Modena 1995, pp. 9-14; G. Milantoni, Francesco Albani, ibid., p. 45; M. Cellini, L. M., ibid., pp. 217-250; A. Brogi, Dall’età dei Carracci all’arrivo dei Francesi, in La certosa di Bologna, Bologna 1998, pp. 57-71; C. Dempsey, in L’idea del Bello (catal.), II, Roma 2000, pp. 206 s.; S. Ginzburg, in Annibale Carracci (catal., Bologna-Roma), Milano 2006, pp. 286 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 217 s.; The Dictionary of art, XX, p. 586.