SATURNINO, Lucio Apuleio (L. Apuleius Saturninus)
Demagogo romano della fine del sec. II a. C. Iniziò la sua vita politica come questore nel 104. Inviato ad Ostia per sorvegliare il commercio delle granaglie e curare l'approvvigionamento della città, fu poco dopo sostituito in questo incarico da L. Emilio Scauro, uno dei capi dell'oligarchia senatoria. Fino dal suo primo tribunato della plebe, che fu nell'anno successivo 103, S. riprese i tentativi di Ti. e C. Gracco, adoperando con risolutezza mezzi che i Gracchi avevano in massima sdegnati. Gli facilitava la via il discredito in cui il partito senatorio era caduto per effetto della guerra giugurtina e per i disastri con cui s'era iniziata la guerra contro i Cimbri e i Teutoni. In questo primo tribunato S. favorì l'elezione di Mario, che stava preparando le difese contro i barbari, al suo quarto consolato per il 102 e propose una legge agraria che prometteva ai soldati di lui 100 iugeri di terreno. A questo tribunato si ascrivono pure di solito due altre leggi, una frumentaria che riduceva il prezzo del grano distribuito alla plebe da 6 assi e 1/3 il modio a 5/6 di asse, e una legge de maiestate che colpiva ogni attentato contro la dignità della repubblica: legge indeterminata e terribile che poi fu brandita come arma nelle lotte civili non solo dal partito democratico, ma anche dal partito senatorio. Frattanto S. cercò altresì di farsi un alleato in un giovane che affermava di essere Gaio, il figlio di Tiberio Gracco. La tradizione è unanime nell'asserire che si trattava di un'impostura, ma il popolo lo nominò poi tribuno della plebe per il 99 sotto il nome di C. Sempronio Gracco.
Mario, sebbene, finita la guerra, venisse meno la ragione che lo aveva fatto rieleggere senza intervalli al consolato, pose di nuovo la sua candidatura e fu eletto console la sesta volta per il 100. Quell'anno fu nominato pretore C. Servilio Glaucia, anch' egli demagogo e strettamente legato a S., che riuscì tribuno della plebe per la seconda volta. S. si era persuaso ormai che, stante la violenza dell'opposizione senatoria, e i mezzi costituzionali di cui essa disponeva, leggi a favore del popolo non potevano essere approvate che per vim, cioè superando con la violenza i ripari costituzionali. Ma si correva allora il pericolo che fossero successivamente appunto per questa ragione invalidate. S. escogitò quindi il rimedio di farle giurare sotto gravi minacce a tutti i senatori o almeno a tutti i magistrati. La nuova legge agraria che propose a favore dei veterani non era che un atto di giustizia, ma non riuscì a votarla se non in modo affatto rivoluzionario. Nondimeno i senatori non osarono rifiutare il giuramento, con la eccezione del solo Metello Numidico che fu costretto ad andare in esilio. Essi svalutarono peraltro il proprio giuramento con la riserva, non però espressa, a quel che pare, dinnanzi al popolo radunato, di giurare la legge si lex est. Un'altra legge proposta in quest'anno da S. è probabilmente la lex piratica fornita anch'essa della clausola del giuramento, la quale mostra che a S. non mancava larghezza e chiarezza di vedute in materia di politica estera.
Le leggi di S. e il suo procedere rivoluzionario avevano alienato da lui e dal suo amico Glaucia le simpatie della classe dei cavalieri e quelle di Mario: i cavalieri perché non trovavano il loro conto nelle distribuzioni di terreni nelle provincie che volevano riservare al proprio esclusivo sfruttamento, Mario perché né la legge agraria né la legge piratica gli assicuravano la conservazione di quell'autorità quasi di princeps che per più anni aveva tenuto nello stato. Per salvaguardare e continuare le sue riforme democratiche S. chiese ed ottenne il terzo tribunato per l'anno 99. Per lo stesso anno si presentò come candidato al consolato Glaucia che era allora pretore. La sua candidatura era pertanto incostituzionale e l'incostituzionalità di essa fu affermata da C. Memmio, il tribuno della plebe del 111 che, spalleggiato dai cavalieri, aveva presentato contro di lui la propria candidatura. Ciò diede occasione, mentre si votava, ad un tumulto violentissimo, in cui Memmio rimase ucciso. Naturalmente si pretese che S. avesse ordinato di ucciderlo e quando poi alla mattina seguente egli occupò con i suoi armati il Campidoglio per imporre la ripresa della votazione interrotta, il senato, raccolto dai consoli, diede ai consoli poteri dittatoriali per reprimere la rivoluzione. Assediati nel Campidoglio da Mario, S. e i suoi furono costretti alla resa. Quantunque Mario si fosse impegnato che sarebbero stati sottoposti a regolare procedura, essi furono uccisi. Perirono S., il vero o preteso C. Gracco, il pretore Glaucia, il questore Saufeio, e molti loro seguaci, e questo fu il segnale dell'abrogazione delle leggi rivoluzionarie di S.
Così finì il terzo tentativo di rinnovamento democratico di Roma, fatto senza l'aiuto degli eserciti. L'errore di S. e di Glaucia fu di non avere avvertito che dopo la formazione degli eserciti proletarî questi costituivano ormai la sola forza capace di risolvere le contese civili, e che senza il loro aiuto non era possibile rovesciare l'oligarchia senatoria. Il vano tentativo di Druso dimostrò poco dopo che non era possibile indurla per mezzo d'un riformismo costituzionale alla necessaria trasformazione dello stato. E l'effetto fu l'inizio delle guerre civili. Quanto a S. le fonti, tutte impregnate della tradizione aristocratica, affermano la sua audacia e violenza, ma non ne mettono in dubbio la personale integrità. Il tentativo di Metello Numidico, censore nel 102, per escluderlo dal senato con la nota censoria, non può essere attribuito se non a passione politica.
Bibl.: Di opere generali basti citare Th. Mommsen, Röm. Geschichte, II, 8ª ed., Berlino 1889, p. 199 segg. e Cambridge Ancient History, IX, Cambridge 1932, p. 164 segg. Di studî monografici v.: E. Klebs, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, col. 261 segg.; G. Niccolini, L. Apuleio Saturnino e le sue leggi, in Studi italiani di filologia classica, V (1897), p. 441 segg.; F. Von der Mühll, De L. Appuleio Saturnino tribuno plebis, Basilea 1906; F. Walter Robinson, Marius, Saturninus und Glaucia, Bonn 1912; A. Passerini, Caio Mario come uomo politico, in Athenaeum, n. s., XII (1934), p. 109 segg. e 257 segg. - Per questioni collaterali: H. Stuart Jones, A Roman law concerning piracy, in The journal of Roman Studies, XVI (1926), p. 155 segg.; J. Carcopino, Autour des Gracques, Parigi 1928, p. 205 segg.; J. Lengle, Die Verurteilung der röm. Feldherrn von Arausio, in Hermes, LXVI (1931), p. 302 segg. - Cfr. inoltre G. Niccolini, I fatti dei tribuni d. plebe, Milano 1934, p. 192 segg.