AFRANIO, Lucio. 1 (L. Afranius)
Fu il più grande scrittore latino di commedie togate. Nulla si sa della sua vita, ma pare che sia stato contemporaneo dei Gracchi. Delle sue togate ci restano quarantatré titoli e molti frammenti, per lo più d'un verso o due, che in tutto formano poco più di quattrocento versi.
Afranio rappresentò nei suoi varî aspetti la vita familiare e sociale del popolino del suo tempo. Molti titoli son tratti da scene e rapporti di famiglia (Consobrini, Divortium, Emancipatus, Libertus, Mariti, Materterae, Privignus, Repudiatus, Sorores, Virgo, Vopiscus), e gli altri in buona parte si riferiscono a circostanze e a fatti della vita quotidiana. Le donne compaiono spesso sulla scena, come si rileva dai frammenti. Ma gli argomenti erano trattati secondo la maniera di Menandro, da cui molto egli tolse, non solo per testimonianza di Cicerone, ma per confessione sua stessa (cfr. v. 25 segg.). Da Menandro derivano alcuni titoli: Thais, Consobrini, Depositum, Incendium. Vi sono etère e schiavi con nomi greci (Thais, Moschis, Nicasio); divinità greche parlano nei prologhi; anche l'amor dei fanciulli è una caratteristica greca: insomma la togata di Afranio presenta molti riflessi della vita e dell'arte ellenica.
La togata aveva la stessa struttura e gli stessi metri della palliata. In Afranio troviamo frammenti di prologhi secondo l'arte di Terenzio (v. 25 segg.) e di Plauto (v. 298 seg.). I cantica sono attestati da Cicerone (Sest., 118). I personaggi non sempre erano scarsi, né l'azione semplice, per quanto si desume dal Vopiscus, ch'è la commedia di cui ci restano più versi, circa cinquanta, senza che però se ne possa ricostruire con sicurezza l'intreccio. Afranio raffinò alquanto il latino volgare della togata: però vi son sempre numerose le peculiarità morfologiche e lessicali, e ad esse dobbiamo la salvezza di tanti frammenti. Egli aveva grandissima ammirazione per Terenzio (cfr. v. 29), e ne imitò il tono fine, pacato e sentenzioso.
Afranio fu molto lodato dagli antichi per il valore artistico delle sue togate. Cicerone lo chiamò perargutus e disertus, Velleio e Quintiliano gli diedero la palma nel suo genere, Ausonio lo disse facundus. I contemporanei d'Orazio lo mettevano alla pari con Menandro. Le sue commedie si ressero a lungo sulle scene (p. es., l'Incendium fu rappresentato anche al tempo di Nerone), e nell'età di Adriano ebbero anche un commentatore.
I frammenti di Afranio si leggono in Ribbeck, Com. Rom. Fragmenta, Lipsia 1898, pp. 19--266.
Bibl.: J. H. Neukirch, De fabula togata Romanorum, Lipsia 1833; W. S. Teuffel, Caecilius Statius, Pacuvius, Attius, Afranius, Tubinga 1858; M. Schanz, Geschichte der Röm. Literatur, I, 4ª ed., Monaco 1927, § 53 a.