Lucilio (Lucillo) il Giovane
Amico e confidente di L. Anneo Seneca, che gli dedicò le Naturales Quaestiones in sette libri, il De Providentia e una vasta raccolta epistolare, le centoventiquattro Epistulae morales ad Lucilium, in 20 libri, composte dal 61 al 65 d. C. nella solitudine del ritiro - soprattutto quando, dopo la morte di Burro avvenuta nel 62, il filosofo si ridusse a vita privata - e a noi giunte in una tradizione risalente al IX secolo e forse anche più indietro, divise in due parti (una comprendente le epistole I-LXXXVIII, l'altra il resto).
L., più giovane di Seneca di circa dieci anni, nato da umile famiglia in una città della Campania, secondo alcuni a Napoli o a Pompei, raggiunse il grado di cavaliere e ricoprì importanti cariche. Rivolgendosi a lui Seneca dice: " In medium te protulit ingenii vigor, scriptorum elegantia, clarae et nobiles amicitiae " (Epist. XIX 3): tra le " nobiles amicitiae " va ricordata quella col console Cornelio Lentulo Getulico. Gli si attribuiscono dei componimenti poetici; alcuni moderni gli hanno attribuito il poemetto pseudovirgiliano Aetna, partendo da Seneca Epist. LXXIX 5 ss. Sappiamo anche di un greco Lucillio - vissuto a Roma intorno al 60 sotto Nerone, autore di due libri di epigrammi di vario contenuto, passati attraverso l'Anthologion di Diogeniano nell'Antologia Palatina - da alcuni identificato, a torto, con l'amico di Seneca.
D. ricorda L. nel corso della sua argomentazione intesa a provare come le divizie sono vili, e come disgiunte sono e lontane da nobilitade (Cv IV XI 1). E perché più testimonianza, a ciò ridurre per pruova, si conviene, lascisi stare... quanto contra esse Seneca, massimamente a Lucillo scrivendo; quanto Orazio, quanto luvenale e, brievemente, quanto ogni scrittore, ogni poeta; e quanto la verace Scrittura divina chiama contra queste false meretrici, piene di tutti defetti (XII 8), e si ponga mente, per avere oculata fede, ai pericoli, alle distruzioni di città, alla rovina di popoli e di singoli provocata dal crescente desiderio di ricchezze. Ciò costituisce una prova inoppugnabile della loro imperfezione e spiega perché esse siano unanimamente esecrate dagli scrittori sacri e profani.
La lezione tradita, Lucillo, invece di Lucilìo, può spiegarsi come un errore di D. oppure del codice da cui deriva tutta la tradizione del Convivio. Poiché non risulta che nei codici di Seneca Lucilius si trovi corrotto in Lucillus, né d'altra parte la forma Lucillo sembra essere stata corrente nell'onomastica italiana, forse è preferibile attribuire l'errore al copista, supponendo, ad esempio, un tutt'altro che improbabile errore paleografico (per l'errore contrario cfr. Poliziano Miscellaneorum Centuria prima, Firenze 1489, c. LXVIII. " ex Lucilio Tarrhaeo ", invece di " ex Lucillo Tarrhaeo ").
Il Moore indica alcuni dei passi delle Epistole che D. avrebbe ricordato in modo particolare: " Neminem pecunia dìvitem fecit, immo contra nulli non maiorem sui cupiditatem incussit. Quaeris, quae sit huius rei causa? plus incipit habere posse, qui plus habet " (CXIX 9); " Multis parasse divitias non finis miseriarum fuit, sed mutatio " (XVII 11); " Multum est non corrumpi divitiarum contubernio " (XX 10). Ma occorre osservare col Debenedetti che la condanna delle ricchezze è un tema assai frequente nelle Epistole a Lucilio. Il Proto rimanda anche a Epist. II 5, IV 8, XIV 15-16, XV 8, XVI 7, LXXIII 2-3, LXXX 6 ss., LXXXVII, XCIV 43 ss, CVIII 9 ss., CXV 10-18, CXXIII 12 ss., Inoltre, occorre tener presente tutta l'argomentazione di Cv IV X-XII e cercare ivi, com'è stato fatto dal Proto e nel commento di Busnelli e Vandelli, le tracce di una possibile influenza delle Epistole senechiane, senza escludere (come suggerire il Mazzucchelli) che D. si sia potuto ricordare anche del De Providentia (c. 5) e del De Vita Beata (c. 24). Secondo il Renucci, invece, l'espressione massimamente a Lucillo scrivendo non si può considerare come prova di una conoscenza diretta delle Epistole a Lucilio. D. avrebbe potuto attingere da una delle numerose raccolte di detti morali correnti ai suoi tempi, dove le sentenze di Seneca, con la relativa indicazione della fonte, abbondavano (v. SENECA).
Bibl. - Toynbee, Dictionary, sub v.; E. Moore, Studies in D., I, Oxford 1896, 289; E. Proto, Note al Convivio dantesco. Le ricchezze e la scienza. Convivio III XV; IV X-XIII, in " Giorn. stor. " LXV (1915) 218 ss.; S. Debenedetti, D. e Seneca filosofo, in " Studi d. " VI (1923) 18; P. Renucci, D. disciple et juge du monde grécolatin, Parigi 1954, 160-161.