LAMA, Luciano
Nacque a Gambettola, in Romagna, il 14 ott. 1921 da Domenico, ferroviere e militante del Partito popolare italiano (PPI), e da Noemi Paganelli. A Bologna, dove il padre era divenuto capostazione, il L. frequentò il liceo e, nel 1939, si iscrisse alla facoltà di scienze politiche dell'Università di Firenze. Nel 1940 fu chiamato alle armi e poi inviato come sottufficiale di fanteria in Croazia. Rientrato in Italia nel 1943, conseguì la laurea e, dopo l'armistizio dell'8 settembre, insieme con il fratello Lelio (che fu fucilato dai nazisti nell'aprile 1944) si unì ai partigiani dell'VIII brigata "Garibaldi" che operava in Romagna. Divenne quindi capo di stato maggiore della XXIX brigata GAP (Gruppi di azione patriottica) "Gastone Sozzi", partecipando, il 9 nov. 1944, alla liberazione di Forlì. Benché non avesse alcuna esperienza sindacale, fu nominato dal locale Comitato di liberazione nazionale (CLN) segretario della Camera del lavoro provinciale di Forlì. Iscritto al Partito socialista italiano (PSI), decise di abbandonarlo dopo il XXIV congresso (Firenze, 11-17 apr. 1946) e di aderire al Partito comunista italiano (PCI). Nel giugno 1947 si trasferì a Roma, essendo tra i sei vicesegretari chiamati ad affiancare il segretario responsabile G. Di Vittorio e i tre segretari generali R. Bitossi, F. Santi e G. Pastore al vertice della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL). Al II congresso della CGIL (Genova, 4-9 ott. 1949), gli fu affidata una delle due relazioni dedicate ai problemi organizzativi.
Per far fronte ai nuovi e impegnativi compiti che lo attendevano dopo la scissione sindacale, la CGIL doveva puntare, secondo il L., sulla formazione dei quadri e su una presenza capillare nelle fabbriche attraverso la costituzione di comitati di attivisti. Una tale presenza non avrebbe comunque dato luogo a un'istanza organizzativa nuova, essendo la CGIL contraria all'istituzione dei sindacati di azienda e alla contrattazione aziendale, considerata un pericolo per la compattezza della classe lavoratrice.
Confermato vicesegretario confederale, il L. venne affermandosi come uno dei più autorevoli giovani dirigenti, per i quali la guida di una grande categoria rappresentava un passaggio quasi obbligato in vista dell'assunzione di nuove responsabilità ai vertici della confederazione: fu così eletto segretario generale della Federazione italiana lavoratori chimici (FILC) dal IV congresso di questa organizzazione (Milano, 9-12 ott. 1952).
Sotto la guida del L. la FILC si caratterizzò per una qualificazione della linea strategica di lotta al monopolio e per il tentativo di impostare l'azione contrattuale in modo meno verticistico, promuovendo, nel 1953, con una procedura inedita per il sindacato italiano, un referendum tra tutti i lavoratori sulla piattaforma da presentare alla controparte.
Nel 1957 l'improvvisa morte di Di Vittorio determinò una serie di cambiamenti ai vertici della CGIL. Nuovo segretario generale fu eletto A. Novella, che lasciò al L. la guida della Federazione impiegati operai metallurgici (FIOM).
Come leader della più importante categoria industriale, il L. dovette confrontarsi con le profonde trasformazioni che negli anni del cosiddetto miracolo economico stavano cambiando il volto della società italiana a partire dai luoghi di lavoro. Dal suo osservatorio egli poteva, più di altri, avvertire inadeguatezze e ritardi nell'attuazione della svolta strategica decisa dalla CGIL dopo la sconfitta alla FIAT nel 1955. "La nostra politica rivendicativa - disse dalla tribuna del V congresso confederale (Milano, 2-7 apr. 1960) - è passata spesso al di sopra di una realtà che stava modificandosi senza riuscire a recepirne gli aspetti più originali e nascosti" (Piccioni, p. 82). Occorreva pertanto definire una politica contrattuale modulata sulle differenti condizioni oggettive del rapporto di lavoro tra le singole fabbriche, i settori, i gruppi, le realtà regionali.
Il 25 maggio 1958 il L. fu eletto deputato nelle liste del PCI nella circoscrizione di Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì, dove sarà confermato nelle successive elezioni del 1963 e del 1968. Un momento significativo della sua esperienza parlamentare fu senza dubbio il voto di astensione, espresso da lui e dagli altri deputati della CGIL, sul piano di sviluppo economico presentato nel 1965 dal governo di centrosinistra.
Come ebbe a sottolineare lo stesso L., "fu quella l'unica grande questione su cui il movimento sindacale di sinistra si espresse in sede parlamentare come forza a sé stante e non confusa con i rispettivi partiti" (Intervista sul sindacato, p. 48).
Nel gennaio 1962 lasciò la guida della FIOM per entrare nella segreteria nazionale della CGIL con l'incarico di seguire il settore contratti e vertenze.
La crescita di influenza politica del L. trovava puntuale riscontro nello spessore e nel rilievo dei suoi interventi nel dibattito interno della confederazione. Al VI congresso (Bologna, 31 marzo - 5 apr. 1965) affrontò la complessa questione del ruolo del sindacato nella società democratica e del rapporto tra rivendicazioni e riforme.
Secondo il L. l'autonomia e il potere del sindacato, che pure nascevano nella fabbrica, non dovevano restare confinati dentro i suoi cancelli. Il sindacato che si fosse occupato "soltanto di salari, di cottimi, di organici, di trasporti, di case, di sicurezza sociale" era destinato a restare subalterno, mentre doveva ambire a essere una "autorevole e impegnata forza, che interviene per una modificazione più profonda delle strutture economiche e sociali" (Piccioni, p. 101). Al VII congresso (Livorno, 16-21 giugno 1969), nel pieno delle lotte studentesche e operaie e alla vigilia della grande tornata di rinnovi contrattuali dell'autunno, il L. volle mettere in guardia il sindacato dal fare proprie certe parole d'ordine in auge nel movimento di contestazione. Si soffermò in particolare sulle "suggestioni ugualitarie", per respingerle con decisione, in quanto non avrebbero avuto alcuna "possibilità di successo" e, prima o poi, invece di unire la compagine dei lavoratori avrebbero finito per "inserire nel suo seno un conflitto insanabile" (ibid., p. 108).
In quella fase di grandi fermenti la CGIL avvertiva maggiormente il limite di una dialettica interna condizionata dai partiti di riferimento, il PCI e il PSI, uno all'opposizione e l'altro al governo, e quindi l'urgenza e la necessità di sciogliere il nodo dell'autonomia della confederazione, anche in una prospettiva di unità sindacale. Come primo passo fu sancita, dal congresso di Livorno, l'incompatibilità tra cariche sindacali, mandati elettivi nelle istituzioni e uffici politici dei partiti e, in ossequio a tale decisione, il L. si dimise da deputato e da membro della direzione e del comitato centrale del PCI. Novella fece la scelta opposta, dimettendosi il 18 marzo 1970 da segretario generale della CGIL, carica alla quale il 24 seguente venne eletto il Lama.
Il L. giunse al vertice della CGIL in un momento in cui il potere sindacale risultava enormemente accresciuto sull'onda delle lotte e delle conquiste dell'anno precedente e del consolidamento dei rapporti unitari tra CGIL, CISL (Confederazione italiana sindacati lavoratori) e UIL (Unione italiana del lavoro). Nel maggio del 1970 fu inoltre approvato lo "Statuto dei lavoratori", che recepiva in una legge dello Stato gran parte delle rivendicazioni contrattuali degli ultimi anni.
Mentre, tra l'ottobre 1970 e il novembre 1971, si svolgevano le riunioni congiunte dei consigli generali delle tre confederazioni per definire tempi e modi di attuazione dell'unità organica, cominciarono a manifestarsi, in controtendenza con le aspettative del movimento sindacale, segni di spostamento a destra dell'asse politico. In seguito alle elezioni del 7 maggio 1972 e alla formazione del governo Andreotti-Malagodi si determinò un clima politico nel quale l'unità sindacale venne rappresentata come un'operazione strumentale del PCI. Al tempo stesso la grave situazione economica rendeva più difficile l'iniziativa del sindacato sia sul piano delle rivendicazioni articolate sia su quello della strategia generale per l'occupazione, le riforme e il Mezzogiorno. A tali difficoltà fece riferimento il L. nella sua prima relazione da segretario generale davanti all'VIII congresso della CGIL (Bari, 2-7 luglio 1973).
"Abbiamo ancora una volta la dimostrazione - disse - che non basta cambiare il rapporto di forza in fabbrica, né basta estendere questo rapporto dalla fabbrica alla società, se non investiamo contemporaneamente le strutture statali, le regioni, gli enti locali e quindi le forze politiche […]. Il contesto politico decide, anche di noi e delle nostre lotte, così come le nostre lotte influiscono sul contesto politico" (Piccioni, p. 121). Il L. affermò esplicitamente che il processo unitario si era inceppato per "una reazione di rigetto verificatasi nel quadro politico" e che la decisione, per la quale si era molto battuto, di dar vita alla Federazione unitaria con CISL e UIL rappresentava una soluzione realistica che lasciava aperta la prospettiva dell'unità sindacale organica.
Costituita formalmente il 15 luglio 1972, la Federazione sindacale unitaria riuscì, tuttavia, ad assolvere i compiti di tutela dei lavoratori in un periodo tra i più travagliati della storia repubblicana. Seppe fronteggiare i tentativi di compressione salariale e l'offensiva del terrorismo, svolgendo un ruolo fondamentale nella difesa della democrazia e nel superamento della grave crisi economica. La strategia sindacale era altresì rivolta alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo, dai contorni non ben definiti, ma che avrebbe comunque comportato un prezzo da pagare per il sindacato stesso.
Il L. era stato fra i primi ad avvertire l'ineludibilità di questo passaggio, ma le sue sollecitazioni all'assunzione di responsabilità si erano scontrate con le diffuse resistenze e perplessità all'interno della CGIL e dell'intero movimento sindacale. Nel febbraio 1973, dicendosi convinto che settori importanti del mondo imprenditoriale erano interessati a un mutamento del modello di sviluppo, accennò alla possibilità che i sindacati decidessero unilateralmente di escludere la materia salariale dalla contrattazione integrativa. Ma pochi giorni dopo, il Consiglio generale della CGIL approvò le tesi precongressuali nelle quali veniva respinto "l'invito all'alleanza di natura corporativa sollecitata dai gruppi capitalistici cosiddetti avanzati, che - sotto la veste di volere contribuire a liquidare la rendita (come del resto è necessario, ma non sufficiente) - vorrebbero in realtà subordinare la classe operaia alle scelte che essi programmano e impongono" (Turone, 1992, p. 483). Il L. avvertiva i rischi di una chiusura ideologica e nella relazione all'VIII congresso volle ribadire che la realizzazione di un programma di sviluppo e di trasformazione della società non poteva essere affidata soltanto all'iniziativa della classe operaia, ma richiedeva la ricerca di alleanze, anche per un obiettivo limitato e un tempo determinato.
A metà degli anni Settanta il sindacato, che di fronte all'incedere della crisi economica aveva privilegiato la difesa dell'occupazione, si trovò a fronteggiare il disagio e il malessere dei lavoratori per la perdita del potere d'acquisto delle retribuzioni causato da un fortissimo rialzo dei prezzi, cui si tentò di porre rimedio con l'accordo del 25 genn. 1975 sul punto unico di contingenza. Quell'accordo resta legato soprattutto ai nomi del L. e del presidente di Confindustria G. Agnelli, che sembrava aver trovato nel leader della CGIL l'interlocutore più affidabile e interessato a realizzare il cosiddetto "patto dei produttori" tra capitale e lavoro contro le rendite parassitarie. Il vertice confindustriale guardava con interesse anche alla strategia del compromesso storico e alla linea di prudenza e di moderazione adottata dal PCI (rafforzato dall'esito delle elezioni del 1975-76), che finì per condizionare le scelte del movimento sindacale e in particolare della CGIL. Settori di opinione pubblica ne trassero la convinzione che la "strategia dei sacrifici" fosse la contropartita per il mantenimento di determinati equilibri politici, mentre una nuova protesta giovanile e studentesca si rivolgeva contro lo stesso sindacato, accusato di difendere gli interessi dei cosiddetti "garantiti". Nel tentativo di ricucire la frattura tra masse giovanili e mondo del lavoro il L. volle impegnarsi in prima persona, decidendo di tenere, il 17 febbr. 1977, un comizio all'interno dell'Università La Sapienza di Roma.
In quell'occasione fu vittima della contestazione violenta degli estremisti, che assalirono il palco impedendogli di parlare. All'indomani dell'aggressione il L. non ricevette quegli attestati di solidarietà che sarebbe stato lecito attendersi dal mondo politico e sindacale, ma fu anzi oggetto di critiche da parte di chi giudicò il suo comizio un'inopportuna e strumentale iniziativa del PCI. Nella circostanza il L. avvertì anche una sottovalutazione del livello di pericolosità dell'estremismo violento, che, come egli temeva, si sarebbe poi rivelato terreno di coltura del terrorismo.
Egli reagì alle contestazioni, e anche alle sollecitazioni "corporative" di settori importanti del mondo del lavoro, insistendo sulla linea della responsabilità che rifiutava di assumere tutte le rivendicazioni al di fuori di un quadro di coerenza e di una scala di priorità. Al IX congresso confederale (Rimini, 6-11 giugno 1977) ribadì che la scelta prioritaria era quella degli investimenti e dell'occupazione e che ogni altra rivendicazione, pur legittima, doveva essere a questa scelta nettamente subordinata. Si andava delineando la strategia sindacale - imperniata sulla moderazione salariale e su un programma di investimenti idoneo a fronteggiare la crescente disoccupazione - che fu poi definita nel documento proposto all'approvazione dell'assemblea dei delegati CGIL, CISL, UIL (Roma [Eur], 13-14 febbr. 1978) e i cui contenuti vennero anticipati dal L. in una clamorosa intervista rilasciata a E. Scalfari nella Repubblica (24 genn. 1978).
Per quanto le proposte dei vertici della Federazione unitaria fossero state approvate da una schiacciante maggioranza di delegati, fu soprattutto il L. a esporsi manifestando una "fiducia incondizionata ed appassionata nella strategia dell'Eur" (Turone, 1992, p. 505). Mentre il sindacato si attestava sulla linea del contenimento rivendicativo, la definizione di un programma d'investimenti era demandata agli accordi tra i partiti per la formazione di un nuovo governo fondato su un'ampia maggioranza comprendente il PCI.
Fu proprio l'atteggiamento "responsabile" del L. e della componente sindacale comunista uno degli argomenti adoperati da A. Moro per convincere i settori democristiani riluttanti a un'intesa con il PCI. Il sequestro e l'assassinio di Moro aprirono una fase drammatica, durante la quale il L. rivolse ripetuti appelli alla vigilanza nei luoghi di lavoro al fine di smascherare zone di omertà e complicità con il terrorismo.
Con l'esaurimento dell'esperienza dell'unità nazionale e il ritorno del PCI all'opposizione poteva dirsi concluso il lungo ciclo dell'ascesa e dell'affermazione del sindacato come soggetto politico, quando "la figura imponente, il piglio sensato e la pugnace loquela di Luciano Lama impersonavano al meglio il sindacato come "gigante buono"" (Accornero, p. 14). Il L. si trovava ora a gestire una situazione difficile, caratterizzata da una vivace dialettica in seno al movimento sindacale, prodotta anche dalla divaricazione crescente tra i due principali partiti della sinistra. La tenace ricerca di una mediazione lo pose non poche volte in contrasto con il suo stesso partito, che aveva assunto una posizione di rottura e che era determinato a intervenire direttamente nel conflitto sociale.
Ciò risultò evidente in occasione della vertenza alla FIAT, esplosa nell'autunno del 1980 e conclusasi con una dura sconfitta del sindacato. Quella vicenda rivelò che erano in atto processi di ampiezza e intensità tali da sconvolgere il tradizionale assetto industriale italiano e che intanto - disse il L. nella relazione al X congresso della CGIL (Roma, 16-21 nov. 1981) - era "lo stesso potere sindacale, in fabbrica e nella società, a esserne scosso sin dalle fondamenta" (Piccioni, p. 150).
Diviso e costretto alla difensiva, il sindacato dovette far fronte all'inasprimento dello scontro sociale, provocato dalla disdetta, nel giugno 1982, dell'accordo sulla "scala mobile" da parte della Confindustria. Una ricomposizione fu trovata con l'accordo del 22 genn. 1983 fra governo e parti sociali, che stabilì una minore indicizzazione della contingenza, affidando la difesa del salario reale alla contrattazione e alla leva fiscale. L'anno successivo, il governo Craxi ritenne tuttavia necessario depotenziare ulteriormente, per decreto, il meccanismo di scala mobile: tale misura incontrò l'approvazione della CISL, della UIL e della minoranza socialista della CGIL, mentre la maggioranza comunista si espresse contro.
La fine della Federazione sindacale unitaria lasciò il campo a una durissima polemica tra le tre confederazioni, che il L. visse con disagio, stretto nel doppio ruolo di massimo garante di una organizzazione lacerata al proprio interno e di leader della componente comunista.
Il 24 marzo 1984 prese la parola al termine della grande manifestazione contro il decreto, promossa a Roma dalla maggioranza della CGIL, che si mobilitò poi per l'abrogazione di quel provvedimento con il referendum promosso da Democrazia proletaria e fatto proprio dal PCI. L'esito della consultazione (9 giugno 1985) fu favorevole alla decisione governativa e il L., per quanti dubbi potesse aver nutrito sull'opportunità del ricorso alle urne, si assunse in pieno il peso dell'inattesa sconfitta.
Da allora la preoccupazione principale del L., deciso a concludere la sua esperienza sindacale, fu quella di ricucire i rapporti all'interno della CGIL e con le altre due confederazioni. Il ristabilimento di un clima migliore confortò il suo commiato, davanti all'XI congresso della CGIL (Roma, 28 febbraio - 4 marzo 1986), dall'organizzazione nella quale aveva militato per quarant'anni.
Nel ripensare alla propria esperienza sindacale il L. non si risparmiò autocritiche, definendo, per esempio, "una fesseria" la formula del "salario variabile indipendente" (Intervista sul mio partito, p. 26).
Alle elezioni del 14 giugno 1987 il L. fu candidato per il PCI sia alla Camera dei deputati - nella circoscrizione Verona, Padova, Vicenza, Rovigo - sia al Senato nel collegio di Castelnovo ne' Monti-Sassuolo, risultando eletto in entrambi i rami del Parlamento e optando per il Senato di cui divenne vicepresidente.
Fece parte della commissione Lavoro e Previdenza sociale e presiedette la commissione d'inchiesta sulle condizioni di lavoro nelle aziende, istituita il 7 luglio 1988 e la cui relazione conclusiva fu presentata il 4 ag. 1989.
Confermato nelle elezioni del 5-6 apr. 1992 nel collegio senatoriale di Orvieto e vicepresidente del Senato, fece parte della commissione Esteri. Il L. non si ripresentò alle successive del 27 marzo 1994 e decise di trasferirsi ad Amelia, una cittadina umbra, di cui fu sindaco dal 17 luglio 1989 al 1° apr. 1996, allorché si dimise per il peggioramento delle proprie condizioni di salute.
Il L. morì a Roma il 31 maggio 1996.
Opere: L. Lama - B. Manghi, Il sindacato di classe ieri e oggi, Roma 1974; Intervista sul sindacato, a cura di M. Riva, Roma-Bari 1976; Il sindacato nella crisi italiana, Roma 1977; La CGIL di Di Vittorio 1944-1957, a cura di F. D'Agostini, Bari 1977; Il potere del sindacato, intervista di F. D'Agostini, Roma 1978; Intervista sul mio partito, a cura di G. Pansa, Roma-Bari 1987; L. Lama - P. Spriano - A. Schiavone, Il partito nuovo, Bari 1990; Il sindacato italiano nel secondo dopoguerra, Milano 1991; Sinistra con vista: conversazione con Luciano Lama, a cura di W. Verini, Città di Castello 1995; Cari compagni, a cura di P. Cascella, Roma 1996.
Fonti e Bibl.: Roma, Biblioteca Luciano Lama - Arch. stor. CGIL, Fondo Luciano Lama, 1968-86; Segreteria generale, 1970-86; per gli interventi del L., in particolare le relazioni svolte da segretario generale, si vedano i vari volumi della serie I congressi della CGIL, Roma 1970-93; S. Turone, Sindacato e classi sociali. Fra autunno caldo e compromesso storico, Roma-Bari 1976, ad ind.; U. Romagnoli - T. Treu, I sindacati in Italia dal '45 a oggi: storia di una strategia, Bologna 1981, pp. 214, 305-308, 314 ss.; G. Bocca, I signori dello sciopero, Milano 1982, pp. 103, 152 ss., 168; G. Bianchi, Storia dei sindacati in Italia dal 1944 a oggi, Roma 1984, pp. 162, 183, 186 s., 210 ss., 217, 221, 225 s., 240, 244, 247, 249, 252, 254, 269 s.; G. Chiaromonte, Quattro anni difficili. Il PCI e i sindacati 1979-1983, Roma 1984, passim; Annali dell'economia italiana, 14/1, 1971-1977, Milano 1985, ad ind.; M. Guarino, L. L.: il signor CGIL, Milano 1985; A. Piccioni, La CGIL nei suoi congressi, Roma 1986, passim; O. Cilona - M.L. Righi, Cent'anni di storia dei lavoratori chimici…, Roma 1986, passim; G. Pallotta, Cronache dell'Italia repubblicana, Roma 1987, ad ind.; G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro-sinistra, Milano 1990, ad ind.; S. Turone, Storia del sindacato in Italia. Dal 1943 al crollo del comunismo, Roma-Bari 1992, ad ind.; A. Accornero, La parabola del sindacato: ascesa e declino di una cultura, Bologna 1992, pp. 14, 80, 146, 149, 193 s.; P. Boni, FIOM. 100 anni di un sindacato industriale, Roma 1993, ad ind.; M. Guarino, Caro L., Viareggio 1996; E. Santarelli, Storia critica della Repubblica. L'Italia dal 1945 al 1994, Milano 1996, ad ind.; P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, Torino 1996, ad ind.; Id., L. L. segretario generale della CGIL, in Id., La democrazia incompiuta. Figure del '900 italiano, Venezia 2002, pp. 261-280 e ad ind.; Confederazione generale italiana del lavoro, Inventario dell'Archivio storico (1944-1957), a cura di T. Corridori, Roma 2002, ad ind.; G. Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Roma 2003, ad indicem.