FOTI, Luciano
Sono poche le notizie sulle vicende biografiche e sulle opere di questo pittore nato a Messina nel 1694, seguace di Placido Celi. Sia le fonti antiche sia gli studi recenti lo ricordano più che per le sue doti di pittore come restauratore di quadri antichi o ancor meglio falsario: "conobbe tutte le vernici e i segreti dell'arte, delle opere de' buoni pittori sommo conoscitore, senza stile suo proprio…" annota Grosso Cacopardo (1821). Da Lanzi (1792) viene definito "copista egregio di qualsivoglia mano" e soprattutto imitatore di Polidoro Caldara da Caravaggio, al punto che molte sue opere furono vendute come originali di questo, e ancora come singolare figura di antiquario e collezionista di quadri, disegni e manoscritti.
Della ricca produzione pittorica del F. rimangono una pala d'altare con S.Francesco Regis in agonia cui appare la Madonna col Bambino nella chiesa dei gesuiti di Catania (Policastro, 1950), esemplata su modelli classicisti di derivazione marattesca e assai vicina ai modi di Filippo Tancredi, e due tavole, di recente restituite al suo catalogo, raffiguranti S.Placido e S.Alberto carmelitano, conservate nei depositi del Museo regionale di Messina, ma provenienti dal Museo civico peloritano, dove risultano menzionate da La Corte Cailler (1901).
Si tratta di due dipinti eseguiti dal F. "alla maniera di Polidoro", nei quali il linguaggio violentemente espressionistico dell'ultimo Polidoro viene riproposto con diligenza, soprattutto nella tecnica sommaria e abbreviata e nel gigantismo delle figure, pur restando privo della forza visionaria che lo caratterizza. Tradiscono invece una fattura settecentesca la preparazione magra, il ductus pittorico più morbido e i vaporosi puttini che reggono gli attributi iconografici dei santi effigiati. Per il resto non deve meravigliare che opere come queste potessero essere scambiate, ai tempi del F., per originali di Polidoro.
Per le puntuali concordanze di ordine stilistico e morfologico, si può riferire agevolmente al F. un'altra tavola molto rovinata raffigurante Un santo domenicano con i simboli della Passione, di provenienza ignota, anch'essa nei depositi del Museo regionale di Messina (inv. 1238).
Scampato alla peste del 1743, che decimò un'intera generazione di artisti messinesi, il F. sfruttò appieno, nei decenni successivi, le sue doti di restauratore raccogliendo "quanti quadri di buone mani poté capitare, quali lavati, ripuliti, ritoccati e raggiustati a suo modo, vendeva con riputazione" (Grosso Cacopardo, 1821). E in qualità di esperto, sia come pittore sia come antiquario, venne chiamato a redigere, nel maggio 1747, una perizia - pubblicata da La Corte Cailler (1903) - della collezione di dipinti di proprietà dei baroni Arenaprimo di Montechiaro, divisa fra il palazzo di città e la "casina" extraurbana in contrada Gazzi, purtroppo dispersa già dal 1783.
Si ha notizia inoltre di una donazione del F. al Senato messinese, che lo aveva nominato "pubblico antiquario", di due antiche mazze di ferro con sopra incise alcune lettere, sulle cui interpretazioni si esercitarono gli eruditi del tempo, pubblicate in un volume in folio stampato in prima edizione a Venezia nel 1740 (Spiegazione di due antiche mazze di ferro ritrovate in Messina nell'anno MDCCXXXIII scritte dal Naufragante e dall'Ardito Accademico della Peloritana Accademia de' Pericolanti…), nella cui prefazione il F. viene definito "dipintore e dilettante d'antichità".
Era famosa soprattutto la sua ricchissima collezione di manoscritti e disegni originali "di tutti quasi i pittori, che ebbe campo di raccogliere dopo il fatale contagio, quale a pezzi fu venduta" (Grosso Cacopardo, 1821). Fra l'altro sappiamo con certezza che fra le carte del F., ereditate dopo la sua morte dal figlio Gregorio, era conservato anche il manoscritto delle Vite de' pittori messinesi (1724) di F. Susinno, venduto in seguito ad A. Ryhiner, un viaggiatore amico di J.J. Winckelmann, passato poi al Kunstmuseum di Basilea e dato alle stampe solo nel 1960 a cura di V. Martinelli, che è senza dubbio la fonte più preziosa e attendibile per la storia della pittura a Messina dal Quattrocento fino al primo Settecento.
Il F. morì a Messina nel 1779.
Fonti e Bibl.: L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1792), a cura di M. Capucci, II, Firenze 1968, p. 484; F. Hackert - G. Grano, Mem. de' pittori messinesi (1792), a cura di S. Bottari, Messina 1932, pp. 37 s.; G. Grosso Cacopardo, Mem. de' pittori messinesi e degli esteri che a Messina fiorirono dal sec. XII sino al sec. XIX, Messina 1821, pp. 228 s.; Palermo, Bibl. centrale della Regione siciliana: A. Gallo, Notizie di pittori e mosaicisti siciliani e esteri… in Sicilia (ms., sec. XIX), f. 674; G. La Corte Cailler, Il Museo civico di Messina (1901), a cura di N. Falcone, Marina di Patti 1981, p. 81; Id., Pitture già in casa Arenaprimo, in Arch. stor. messinese, III (1903), p. 205; G. Policastro, Catania nel Settecento, Catania 1950, p. 312; V. Martinelli, Introduzione, in F. Susinno, Le vite de' pittori messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. XV, XVIII, L s.; O. Moschella, Il collezionismo a Messina nel sec. XVII, Messina 1977, pp. 29, 38; C. Siracusano, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma 1986, pp. 52, 56, 113, 241; G. Molonia, "Antiquari" a Messina tra Settecento ed Ottocento: L. F., A. Gallo, G. Grosso Cacopardo, in Moant. II mostra nazionale dell'antiquariato, Messina 1989, pp. 51-53; T. Pugliatti, Antiquariato e collezionismo, fonte di recupero di un patrimonio disperso, ibid., pp. 20 s.; Id., Collezionismo e antiquariato a Messina dal Cinquecento al Novecento, in Aspetti del collezionismo in Italia. Da Federico II al primo Novecento, Trapani 1993, pp. 105, 111; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, p. 244; L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani. Pittura, Palermo 1993, p. 210.