LUCIANO di Samosata (Λουκιανός)
Scrittore greco, nato verso il 120 d. C. a Samosata di Siria (Commagene), da modesta famiglia.
Affidato alle cure di uno zio scultore, perché imparasse il mestiere, se ne allontanò per dedicarsi agli studi di retorica, prima in Siria, poi nella Ionia. Divenuto maestro di retorica, anziché esercitare l'avvocatura, si dedicò allo studio della sofistica e della filosofia, tenendo conferenze in varie città della Grecia, della Macedonia, dell'Italia - particolarmente a Roma, ove si trattenne per qualche tempo prendendo contatto con i filosofi contemporanei; poi in una città della Gallia meridionale, dove insegnò retorica. Ritornato verso il 160 a Samosata, se ne partì di lì a poco, per stabilirsi ad Atene (165 circa). Dopo alcuni anni dovette ottenere da Marco Aurelio un impiego burocratico in Egitto, ove trascorse il resto della sua vita, morendovi verso il 180 circa. Scrisse moltissime opere, tutte piuttosto brevi e per lo più in forma di dialogo, o di pamphlet, o di discorso d'apparato, come usava ai suoi tempi. La tradizione gli ha attribuito 82 composizioni letterarie, ma circa una trentina paiono spurie. Pur essendo legato alla retorica del suo tempo, L. se ne distacca nettamente per una sua certa indipendenza di giudizio, per la sua spregiudicatezza morale, per quell'humour che sparge a piene mani nelle sue opere, per la fecondità dell'invenzione fantastica, per lo stile classico del più puro atticismo. In lui è sempre presente l'esteta ellenistico, aperto ad ogni manifestazione del bello espresso in forma d'arte. Non è un filosofo, né mai si perita di teorizzare, se non incidentalmente, su l'arte (cfr. la definizione dell'arte come "somma di percezioni concomitanti esercitate contemporaneamente in vista di un fine utile alla vita": De paras., 4); ammira l'opera plastica o pittorica sinceramente e descrive con calore ciò che ha visto o ciò di cui ha sentito parlare, sforzandosi talvolta di intenderne il significato non solo superficiale o esteriore, ma anche intimo o più recondito, cioè l'intenzione morale o didattica. Egli sa distinguere quanto vi è di artistico e quanto di artificioso in un'opera e sa apprezzare al suo giusto valore anche le espressioni dell'arte orientale. Il suo amore per l'arte, che è certo da ricercare come primo impulso nel periodo di apprendistato come scultore, è testimoniato non solo dalle descrizioni di quadri o di statue, ma soprattutto dai frequenti paragoni che prendono ispirazione dall'arte. Quando ad esempio chiama in causa l'arte di Apelle, di Parrasio, di Aetion e di Euphranor perché uno possa rappresentarsi più vivamente la pittura simbolica ch'egli traccia della vita umana (De mercede conductis, 42); quando, ad indicare la bellezza degli scanni delle divinità olimpiche, cita Fidia, Alkamenes, Mirone ecc. (Iuppiter tragoed., 7), senza alcun dubbio ci troviamo di fronte all'esteta. Ma quando, per descrivere la bellezza di una certa Pantea, amante di Lucio Vero, richiama i particolari più significativi dell'arte di Fidia, di Alkamenes, di Prassitele, di Kalamis, di Polignoto, di Euphranor, di Apelle e di Aetion, con squisita sensibilità artistica (Imagin., 1-7); ovvero quando assomiglia ad un adulatore quell'artista che, per compiacere la richiesta delle sue clienti, falsa la realtà rappresentandole più belle o prive di difetti (Pro imagin., 6); o quando infine esprime in un giudizio sintetico e definitivo l'arte di Kritios e di Nesiotes (Rhet. praecept., 9), certamente ci troviamo di fronte non solo all'esteta, ma anche al critico d'arte. In questo senso si può dire che L. sia molto moderno e meritevole di più attento studio da parte degli specialisti di arte antica.
Pittura. - Senza dubbio L. è una tra le fonti più importanti per la storia della pittura antica; basterebbero le descrizioni dei quadri di Aetion (Le nozze di Alessandro e di Rossana, Herodot., 4-6), di Apelle (La delazione, De calumnia, 1-5), di Zeusi (La donna del Centauro, Zeuxis, 1-4), di Pauson (Cavallo che corre, Demosth. encom., 24-25), o l'elenco dei quadri di una casa ellenistica (Perseo che libera Andromeda; Pilade e Oreste che uccidono Egisto; Branco che trattiene una lepre e gioca col cane; Perseo che taglia il capo di Medusa; Atena inseguita da Vulcano; Ulisse che si rifiuta di partecipare alla guerra degli Atridi; Medea che medita di uccidersi mentre i figlioletti giocano ignari, De oeco, 22, 31), per attribuirgli un posto di primo piano. E descrizioni come quelle delle Nozze di Alessandro o della Delazione sono particolareggiate a tal punto che furono ricostruite dai grandi maestri italiani del ‛400 e del ‛500 (cfr. ad esempio Le nozze di Alessandro del Sodoma alla Farnesina e la Calunnia del Botticelli agli Uffizî). Di Apelle è citato pure un altro quadro, la Pacata (Imagin., 7); di Euphranor la Hera dal colore meraviglioso dei capelli e la Cassandra di Delfi (Imagin., 7).
Qualche volta L. non manca di mettere in ridicolo l'arte del suo tempo che si compiaceva di quadretti di maniera, di soggetto stereotipato come la Dafne che sta per tramutarsi in alloro (Hist. verae, I, 8) e il Nilo che giace circondato da tanti fanciulletti (Rhet. praecept., 6).
Scultura. - Se si eccettua la lunga descrizione dell'Afrodite di Cnido, opera di Prassitele (Amores, 11-16 [di attribuzione incerta]; Iuppiter tragoed., 1o; Anth. Plan., 4, 163 e 164), veramente importante per la ricostruzione dell'originale e sulla quale L. dà un giudizio degno di attenzione ("a tal punto è giunta l'arte plastica da riuscire ad adattare ad ogni membro una natura così dura e così rigida come la pietra", ibid.), per il resto l'autore si limita ad accennare di sfuggita le seguenti opere: il Discobolo di Mirone (Philops., 18); il Diadoùmenos di Policleto (ibid.); l'Armodio ed Aristogitone di Kritios e Nesiotes (ibid.; importante giudizio in Rhet. praecept., 9); il Pellico, comandante corinzio, di Demetrios (ibid.; descrizione); la statua di Kombabos a Hierapolis di Hermokles di Rodi (De Syria dea, 26); il Posidone bronzeo di Lisippo (Iuppiter tragoed., 9); lo Zeus, l'Atena Lemnìa e l'Amazzone appoggiata alla lancia di Fidia (Somnium, 8 e 9; De morte peregr., 6; Imagin., 6); l'Afrodite, posta nei giardini di Atene, opera di Alkamenes (Imagin., 6), la Sosandra di Kalamis sull'Acropoli (Imagin., 4 e 6). A queste statue classiche debbono esser aggiunte le statue del tempio di Hera a Hierapolis (De Syria dea, 40), la stessa Hera in aspetto multiforme (ibid., 32) e le divinità egiziane (Vitarum auctio, 11).
Architettura. - L. ci ha lasciato una lunga descrizione di terme costruite dall'architetto Hippias, suo contemporaneo, ma ha dimenticato di dirci dove si trovassero (Hippias, 4-8); cita la torre di Faro ed il portico di Cnido, opere di Sostratos, cnidio (Quomodo hist. conscrib., 62; Icaromenipp., 12; Amores, I i); ricorda l'Accademia, il Ceramico, il Portico Pecile e l'Olympieion d'Atene (Piscator, 13; luppiter tragoed., 16; Icaromenipp., 24); il Colosso di Rodi (Iuppiter tragoed., ii; Icaromenipp., 12); il Kràneion di Corinto (Dial. mort., i, i; Quomodo hist. conscrib., 3); il mausoleo di Alicarnasso (Dial. mort., 24, i); il tempio di Apollo a Calcedone (Alex., 10), il tempio di Afrodite a Biblo (De Syria dea, 6) ecc.
Bibl.: Ediz. G. Dindorf, Parigi 1842; C. Jacobitz, Lipsia 1871-1874; N. Nilen, Lipsia 1907 ss.; J. Sommerbrodt, Berlino 1886-1899; W. Christ, W. Schmid, Q. Staehlin, Gesch. der griech. Litt., II 2, Monaco 1924, pp. 710-745; C. Gallavotti, Luciano nella sua evoluzione artistica e spirituale, Lanciano 1932; R. Helm, in Pauly-Wissowa, XIII 2, 1926, col. 1725 ss. (part. 1766 ss.; bibl.), s. v. Lukianos; J. Overbeck, Schriftquellen (sotto i nomi dei singoli artisti); H. Werner, Lukianos von Samosata und die bildende Kunst, I, Jena 1923 (cfr. Arch. Anz, 1924, p. 36); Y. K. Svoboda, Les idées esthétiques de Lucien, in Listy Filologicke, 1926, p. 193-207; A. Le Morvan, La description artistique chez Lucien, in Rev. Études Grecques, 1932, pp. 380-390; P. Gabrieli, l'encomio di una favorita imperiale in due opuscoli lucianei, in Rend. Accad. Lincei, 1934, pp. 29-101; E. Curtius, Olympia, Berlino 1935 (con testi di L.); H. Stocks, Studien zu Lukianos ‛De Syria dea', in Berytus, IV, 1937, p. 1-40 (tempio di Hierapolis); C. Clemen, Tempel und Kult in Hierapolis, in Pisciculi, Studien zur Religion und Kultur des Altert. F. J. Doelger zum 60. Geburtstag dargeboten, Monaco 1939, pp. 66-69; I. Delz, Lukians Kenntnis der Athenischen Antiquitäten, Friburgo 1950.