VISCONTI, Luchino
– Nacque nel 1292, quartogenito di Matteo I, già capitano del Popolo di Milano, e della milanese Bonacossa Borri (Violante, per Pietro Azario).
Nel 1310 seguì il padre nel suo rientro a Milano dopo la parentesi del dominio dei Della Torre, e negli anni successivi, con alcuni dei fratelli, fu al comando delle milizie milanesi. Capeggiò tra l’altro un nucleo di armati inviati in aiuto a Uguccione della Faggiuola nel 1315, e partecipò alla battaglia di Montecatini del 29 agosto, restando ferito. In seguito fu a fianco del fratello Marco (v. la voce in questo Dizionario), valoroso capitano, in varie operazioni militari condotte in Piemonte contro coalizioni di guelfi e di seguaci di Roberto d’Angiò, re di Sicilia-Napoli. Fu vicario imperiale a Novara, e poi podestà visconteo di Pavia dal 1315 al 1319, carica che consentiva ai Visconti un controllo di fatto sulla città, mentre altri fratelli controllavano altri centri, come Galeazzo (v. la voce in questo Dizionario) che signoreggiava a Piacenza prima di succedere al padre Matteo nel 1322. Luchino fu poi rettore visconteo a Novara e a Vigevano.
L’attività di Visconti come capitano di milizie ed esponente di quella che era ormai una delle più potenti e ramificate agnazioni signorili dell’Italia settentrionale si svolse in anni politicamente e militarmente molto movimentati.
Le vicende dei signori milanesi videro l’alternanza di affermazioni e arretramenti (nel 1322 i Visconti furono sconfitti da nemici interni e scacciati da Milano), mentre arrivavano d’Oltralpe re e imperatori con progetti ambiziosi, ma spesso velleitari (l’iniziativa di Ludovico IV il Bavaro, le conquiste lombarde di Giovanni di Lussemburgo-Boemia nel 1330), e mentre la dinastia francese degli Angiò, oltre che nel Sud, stabiliva il suo dominio su varie città del Piemonte e dell’Italia settentrionale, con l’appoggio papale. Per molti anni i Visconti dovettero inoltre difendersi dalle iniziative militari e politiche del papato avignonese. Giovanni XXII, eletto papa nel 1316, li accusava principalmente di eresia, ma anche di avere sottratto terre e beni alla proprietà ecclesiastica, e di avere distratto a beneficio delle proprie finanze le decime destinate al clero e alla crociata. A Luchino Visconti, in particolare, il papa imputava varie spoliazioni a danno di enti pavesi.
Nel contesto delle iniziative militari guelfo-papali contro Milano, Visconti partecipò al fatto d’arme di Trecella dell’aprile del 1323 e probabilmente fu presente anche alle successive azioni militari comandate dal più bellicoso dei suoi fratelli, Marco, iniziative che riuscirono infine a vanificare la ‘crociata’ papale contro Milano. Nel 1337 fu imposto dal nipote Azzone (v. la voce in questo Dizionario) a capo di una vasta lega formata contro Mastino II Della Scala, di cui facevano parte anche Firenze e Venezia: ma Visconti tenne un atteggiamento ambiguo, e ritirò le sue truppe prima dello scontro. Tra le sue imprese militari, la più famosa fu la battaglia di Parabiago del 21 febbraio 1339.
A capo di un contingente militare, contrastò il cugino Lodrisio Visconti (v. la voce in questo Dizionario), foraggiato dagli Scaligeri e assistito da molti mercenari, che tentava di impadronirsi del dominio milanese. Luchino stava soccombendo ed era stato catturato dai nemici, quando sopraggiunsero gli aiuti alleati e la battaglia volse a favore dei viscontei: l’episodio fu celebrato come momento chiave dell’affermazione della dinastia milanese, quantunque Lodrisio fosse un Visconti.
Non fu il solo episodio di rivalità interna alla dinastia: oltre a Lodrisio anche Marco, personalità inquieta e ambiziosa, tentò di emergere con colpi di mano a danno dei parenti.
Alla morte senza discendenti del nipote Azzone, il 16 agosto 1339, Luchino – insieme al fratello, l’arcivescovo Giovanni (v. la voce in questo Dizionario) – fu proclamato signore dal Consiglio dei Novecento di Milano. Giovanni stabilì la propria autorità a Novara, dove occupava la cattedra vescovile, mentre la signoria di Luchino fu riconosciuta dalle città del restante dominio. Nel decennio della sua dominazione, gli scenari dell’età precedente, nati dai progetti egemonici degli Angiò, dei Lussemburgo e soprattutto degli Scaligeri, si stavano esaurendo, per lasciare il posto a un contesto più frammentato di signorie, di potentati e di città indipendenti che costituiva un mosaico vivace di attori e di conflitti. All’inizio del 1339 fu stipulata a Venezia una pace che chiudeva il breve periodo delle conquiste scaligere (ormai a Mastino della Scala restavano solo Verona, Vicenza e Parma), ma Visconti non poté subito approfittarne perché fu costretto ad affrontare una pericolosa congiura maturata nell’ambiente di corte nel 1340, probabilmente nell’entourage nobiliare che era stato potente ai tempi di Azzone e che vedeva con ostilità il nuovo signore. Il tentativo di Francescolo della Pusterla, sostenuto da molti notabili milanesi e probabilmente anche dai nipoti di Luchino (i figli del defunto Stefano: Matteo II, Galeazzo II e Bernabò, v. le voci in questo Dizionario), fu scoperto e duramente represso, e Pusterla, che si era rifugiato ad Avignone, fu richiamato in Italia con un pretesto, catturato con la complicità dei pisani a Porto Pisano e fatto uccidere.
I conflitti degli anni successivi furono almeno in parte l’epilogo delle guerre scatenate dalle ambizioni degli Scaligeri. Nel 1341 Visconti aiutò i pisani ad assediare Lucca, ma il tentativo fallì perché i fiorentini riuscirono a ottenere la città da Mastino II della Scala, seppure in modo precario: l’aspirazione al controllo su Lucca continuò ad alimentare un focolaio di conflitti nello scenario italiano, ma ora gli schieramenti non erano più delineati dall’antica contrapposizione guelfi versus ghibellini o papali versus imperiali, ma costituiti da due coalizioni eterogenee e del tutto nuove. I Visconti erano alleati con Pisa, i Gonzaga, i da Correggio e i Carraresi nuovi signori di Padova, mentre la coalizione avversa radunava Firenze, gli Scaligeri, il signore di Bologna Taddeo Pepoli e il re angioino (che però rimase di fatto neutrale). Infine, Lucca fu sottomessa dai pisani, che la dominarono per parecchi anni, mentre i fiorentini dovettero accettare la signoria di Gualtieri di Brienne, duca di Atene, e ridimensionare le ambizioni territoriali.
Un altro focolaio di conflitti, per vari anni, fu Parma, contesa tra i Correggesi, i Rossi, gli Estensi e Visconti, finché nel 1346 Obizzo d’Este si adattò alla legge del più forte e cedette la città ai Visconti dietro pagamento di 70.000 fiorini. Assestata l’egemonia territoriale in Emilia, Luchino poté dirigere le sue imprese verso il Piemonte, dove la precedente coordinazione angioina era in declino. Già stabilita la dominazione viscontea su Novara e Vercelli, la nuova signoria su Asti iniziò nel 1342; dal 1347 Visconti riuscì ad assoggettare le città precedentemente sottoposte ai franco-provenzali, in particolare Alessandria e Tortona, ricevendo aiuti dai marchesi di Monferrato e Saluzzo, e poi allargò la sua influenza verso Mondovì, Cherasco, Bra, Cuneo, con conquiste più o meno durature.
Nel complesso, Visconti riuscì a mantenere le dieci città su cui già Azzone signoreggiava, e a incrementarle – oltre a quelle già citate – con altre conquiste realizzate nei primi anni del suo dominio: Bellinzona e Locarno nella regione del Ticino (1340-41), Pontremoli (1339), Bobbio nell’Appennino pavese (1341); in questo stesso anno fu inoltre stabilita la dominazione su Pavia, seppur mediata, perché la città conservava formalmente gli ordinamenti comunali e obbediva ai Beccaria.
In genere le città, una volta acquistate o conquistate, accettavano Visconti come dominus generalis senza cancellare le istituzioni comunali.
Egli vi nominava un proprio luogotenente e le ‘pacificava’ più o meno efficacemente, ma spesso favorendo la fazione che lo sosteneva. In molti casi fece riformare gli statuti, prendendo a modello le revisioni di Azzone del 1330, e non di rado fece costruire o rimaneggiare rocche e cittadelle dal forte impatto sull’impianto urbano. La politica di Luchino fu complessivamente prudente: per acquistare nuove città e territori preferì lasciare maturare gli eventi (ad esempio per la conquista di Parma), o accettare qualche compromesso (per esempio rinunciando a Lucca), o attendere il logorio degli avversari, approfittando del declino del progetto angioino e delle rivalità locali nella zona piemontese.
Convalidata nel tempo da titoli imperiali, papali e comunali, la dominazione viscontea sulle città dell’Italia del Nord si configurava più come un aggregato di centri urbani, con i relativi contadi, sottoposti a un unico signore, che non come una compiuta forma di statualità, estesa in modo uniforme sul territorio e sui sudditi.
Nel 1341 Visconti ottenne l’assoluzione del papa dalle censure spirituali scagliate sui Visconti e sulla città vent’anni prima, punizioni peraltro sospese e moderate in diverse occasioni, e, insieme al fratello Giovanni, accettò di riconoscere l’autorità del papa e fu nominato vicario imperiale (diritto che il papa si arrogava non riconoscendo la legittimità dell’elezione di Ludovico il Bavaro). Accettò di pagare un’ammenda e un censo annuale, e il perdono fu esteso alle singole città del dominio, cui furono imposte delle penitenze. Nonostante queste condizioni, la concessione dimostra che il tentativo di affermazione del Papato in Lombardia era definitivamente tramontato, e altrettanto lo erano i progetti sull’Italia della dinastia angioina e dei re tedeschi.
Dopo vari scontri militari, nel 1343 una tregua pose fine alla guerra della lega antiscaligera di cui facevano parte i Visconti, e fu poi consolidata da vari legami matrimoniali, tra cui lo sposalizio di Bernabò Visconti con Regina Della Scala: il fronte dei nemici si assottigliava e la potenza viscontea si ampliava. Luchino dovette anche affrontare vari problemi interni alla dinastia, già manifestatisi ai tempi di Marco e di Lodrisio e nei dissidi insorti tra i numerosi figli di Matteo. Nel 1347 allontanò da Milano i nipoti Matteo II, Galeazzo II e Bernabò, sospettandoli di avere partecipato alla congiura del 1340. I tre dovettero andarsene fino nel Nord Europa per sfuggire alla vendetta dello zio, il quale, verosimilmente, voleva escluderli dalla successione per favorire i propri figli.
Tra questi, si distinse per gli atteggiamenti arroganti e dispotici il figlio naturale Bruzio, cui il padre dette autorità su varie città e in particolare su Lodi. Qui il giovane Visconti – di cui Azario ricorda le qualità culturali e le capacità belliche, e Galvano Fiamma la devozione cristiana – principiò a tiranneggiare i cittadini e a suscitare un grande malcontento.
Luchino ebbe due, o secondo altri cronisti, tre mogli: dubbio è un primo presunto matrimonio con Violante di Saluzzo, più certo quello del 1317 con Caterina Spinola, nobildonna genovese; queste nozze furono contemporanee a quelle di Stefano con una Doria, con l’obiettivo di rinsaldare i rapporti tra i dinasti di Milano e le nobili famiglie in dissenso con la parte dominante in città. Nel 1332 sposò Isabella Fieschi di Lavagna, sorella di Giovanni, che poi morì nella battaglia di Parabiago tra le file dei sostenitori viscontei.
Isabella Fieschi si guadagnò una speciale fama per un viaggio particolarmente magnificente a Venezia in occasione della festa dell’Ascensione del 1347, dopo il quale fu peraltro accusata di avere sperperato ingenti somme di denaro e di avere folleggiato con le sue dame di corte in feste e festini.
Anche per questa cattiva reputazione che l’accompagnava, Fieschi fu sospettata di avere procurato la morte del marito, avvelenandolo perché ne temeva la vendetta – almeno questa è la versione di Azario.
Visconti morì a Milano attorno al 21 gennaio 1349, a 57 anni. La sua ultima impresa, interrotta dalla morte, puntava in alto: aveva fatto allestire e affidato a Bruzio un forte esercito per conquistare Genova, dove di recente la fazione popolare aveva eletto doge Simone Boccanegra. Le notizie sulla sepoltura sono discordanti: Azario sostiene che fu sepolto nella canonica di Crescenzago (Petri Azarii Liber gestorum, a cura di F. Cognasso, 1925-1939, p. 46), mentre secondo Bernardino Corio fu inumato nella chiesa milanese di S. Gottardo in Corte, dove già era collocata la tomba di Azzone. Forse il cronista novarese fece confusione con la sepoltura di Matteo I; comunque l’opinione di Corio fu seguita da Paolo Giovio e da altri autori.
Oltre a vari figli naturali (Azario non risparmia dettagli sulla sua smodata lussuria), Luchino ebbe da Fieschi una figlia e due gemelli maschi, nati nel 1346. Il sopravvissuto, Luchino, detto Novello (v. la voce in questo Dizionario), non poté succedere al padre, poiché si riteneva (fatto peraltro ammesso dalla stessa Fieschi) che fosse nato da una relazione adulterina della madre. Comunque l’arcivescovo Giovanni non diede spazio al giovane erede e preferì richiamare dall’esilio i nipoti Matteo II, Galeazzo II e Bernabò, figli di Stefano, in vista di una successione meno controversa.
Benché Luchino si presentasse come signore benevolo, attento alla legalità e al mantenimento dell’ordine pubblico, sensibile alle esigenze del mondo produttivo – un’immagine accreditata da molti cronisti del suo tempo –, non mancarono le opposizioni e le ribellioni al suo dominio, soprattutto per l’autoritarismo che comprimeva le ambizioni delle più potenti famiglie delle città dominate, in particolare di Milano dove si sviluppò la pericolosa congiura armata dei della Pusterla, seguiti da altri nobili casati. Il cronista fiorentino Giovanni Villani sottolineò la precarietà delle sue conquiste: Luchino arrivò a signoreggiare su «diciasette città colle loro castella e contadi», ma il suo dominio rischiava di dissolversi da un giorno all’altro, come era appena accaduto a quello di Mastino II della Scala (Cronica di Giovanni Villani, 1980, p. 183).
Tra i risultati duraturi della sua dominazione sono da ricordare varie iniziative edilizie, soprattutto di fortificazione e difesa delle città di nuova conquista. A Milano fece erigere un vasto complesso di edifici residenziali e fortificati attorno alla chiesa di S. Giovanni in Conca, collegati da un pontile al quartiere dei Visconti presso l’Arengo: il nucleo abitativo fu poi occupato e magnificamente ampliato da Bernabò Visconti. Fece restaurare e rafforzare la fortezza di Bergamo e ordinò degli imponenti espropri a Vigevano (dove aveva officiato come podestà), facendo costruire prima una forte rocca e poi una confortevole residenza unita al fortilizio da una strada coperta, con l’abbattimento della parte più antica del borgo. Vigevano era un luogo ameno, circondato da boschi e acque. Nonostante l’opinione di qualche denigratore, Visconti pagò in denaro contante i terreni espropriati, e le sue iniziative cambiarono completamente la struttura del centro abitato.
Fonti e Bibl.: P. Giovio, Vite dei dodici Visconti, traduzione di L. Domenichi, Milano 1853, pp. 161-168; Petri Azarii Liber gestorum in Lombardia, a cura di F. Cognasso, in RIS, XVI, 4, Bologna 1925-1939, ad ind.; Cartario di Vigevano e del suo comitato, a cura di A. Colombo, Torino 1933, ad ind.; Gualvanei de la Flamma Opusculum de rebus gestis ab Azone, Luchino et Johanne Vicecomitibus, a cura di C. Castiglioni, in RIS, XII, 4, Bologna 1938, ad ind.; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, Torino 1978, pp. 599, 626, 644, 688, 690, 710, 723, 740 s., 748-761; Cronica di Giovanni Villani, a miglior lezione ridotta coll’aiuto de’ testi a penna, Roma 1980 (ried. Firenze 1823), pp. 183 s.
G. Biscaro, Le relazioni dei Visconti con la Chiesa, in Archivio storico lombardo, XLVI-LIV, 1919-1927 (in partic. XLVII (1920), pp. 193-271, LIV (1927), pp. 44-95, 201-236); F. Cognasso, L’unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, Milano 1955, in partic. pp. 285-322; F. Somaini, Processi costitutivi, dinamiche politiche e strutture istituzionali dello stato visconteo-sforzesco, in Comuni e signorie nell’Italia settentrionale: la Lombardia, a cura di G. Andenna et al., in Storia d’Italia diretta da G. Galasso, VI, Torino 1998, pp. 698, 707, 715 s., 734, 736, passim; J. Black, Absolutism in Renaissance Milan. Plenitude of power under the Visconti and the Sforza, Oxford 2009, ad ind.; E. Rossetti, In «contrata de Vicecomitibus». Il problema dei palazzi viscontei nel Trecento, in Modernamente antichi. Modelli, identità, tradizione nella Lombardia del Tre e Quattrocento, a cura di P.N. Pagliara - S. Romano, Roma 2014, pp. 17 s., 20, 28, 31, 34; S. Buganza, I Visconti e l’aristocrazia milanese tra Tre e primo Quattrocento: gli spazi sacri, in Famiglie e spazi sacri nella Lombardia del Rinascimento, a cura di L. Arcangeli et al., Milano 2015, p. 141.