GERLA (Gerli, De Gerlis), Luchino
Nacque a Pavia, da Giovanni, in una data non precisata, collocabile con tutta probabilità nella prima metà del secolo XV. Il nome della madre non è pervenuto. Anche se non si ha alcuna testimonianza probante, è probabile che il G. compisse gli studi a Pavia, conseguendo la laurea in medicina e nelle arti presumibilmente prima del 1469, dal momento che in quell'anno egli fu incaricato "ad lecturam logicae et sophistariae" presso lo stesso Studio di Pavia. Il G. mantenne tale insegnamento fino al 1472. Ai contatti con l'ambiente medico pavese, allora dominato dalla figura di Giovanni Matteo Ferrari da Grado, che tenne a Pavia la lettura di medicina de mane dal 1443 fino alla morte (avvenuta nel 1472), rimanda una testimonianza ricavabile dall'inventario della biblioteca del Ferrari. In tale inventario il nome del G. ricorre una volta, in riferimento all'acquisto, dietro compenso di una lira e 4 soldi, di un "antidotarium in carta" facente parte della biblioteca del Ferrari. La presenza del G. a Siena risulta da una deliberazione dei Savi dello Studio della città databile fra il 1470 e il 1472: "mag. Luchinus de Papia in filosophia ordinaria aut in med. extraordinaria: 150" (Minnucci - Košuta, p. 109). Alla fine del 1473 il G. aveva già "lecto a Sena, Ferrara et Pavia" (Verde, II, p. 564). Nel 1473 soggiornò a Bologna, in compagnia del medico Pietro della Trinità, che aveva appena concluso a Pisa la condotta per la lettura ordinaria di medicina pratica e stava per trasferirsi allo Studio padovano. Il G. passò quindi a Pisa, presso la facoltà di medicina, dove insegnò quasi ininterrottamente dal 1474 fino al 1497. La carriera accademica del G. presso lo Studio pisano ci è nota nei dettagli: nel 1474 ottenne l'incarico per la lettura straordinaria di medicina teorica e pratica. In quel primo anno le sue lezioni, come riferisce il "bidello" Bartolomeo Pasquino in una lettera del 24 nov. 1474 indirizzata ai "signori ufficiali" pisani, erano frequentate da circa 26-28 scolari. Il G. ricoprì questo l'incarico fino al 1478, con una retribuzione che passò dai 140 ai 200 fiorini. Nel 1479 sostituì Alessandro Sermoneta nella lettura ordinaria di medicina teorica e raggiunse, a partire dal 1482, un compenso annuo di 425 fiorini. Nel 1484 passò alla lettura de sero di medicina pratica, che mantenne fino al 1497, salvo alcune interruzioni, nel 1487 e nel triennio 1494-96 in cui risulta totalmente assente dalla documentazione d'archivio. In quegli anni arrivò a percepire la somma di 700 fiorini. Sulla scorta delle ricerche di A.F. Verde si dovranno ritenere prive di fondamento le notizie di un affidamento della lettura di logica per il 1473 e di un incarico per una lettura straordinaria di astrologia per il 1490.
La permanenza a Pisa e l'esercizio dell'insegnamento furono costellati da diversi episodi di tensione nei rapporti sia con i colleghi, sia con le autorità cittadine. Il primo conflitto scoppiò con Giovanni dall'Aquila, lettore di medicina teorica, nel 1479, e si concluse con la partenza di Giovanni alla volta di Padova. I motivi specifici che scatenarono questo scontro non ci sono noti, ma andranno almeno in parte ricondotti al difficile carattere del G., le cui intemperanze suscitarono più di una volta interventi ufficiali dei gimnasiarchi. Il 2 dic. 1478 il G. venne richiamato affinché "memoria teneat qua conditione sibi permissum sit Almansoris ordinariam legere". In una lettera successiva, datata 7 luglio 1480, vi è addirittura un solenne richiamo alla normativa che regola la condotta a memoria di chi - come il G. evidentemente dava a intendere - volesse "discessum et fidem Reipublicae frangere". Alla presenza del G. sembra si debba inoltre imputare, almeno in parte, la rinuncia da parte del già citato Sermoneta della lettura ordinaria teorica o pratica de mane o de sero che lo Studio pisano gli voleva affidare negli anni 1480 e 1481.
Nonostante i rapporti non fossero improntati ad armonia e serenità, le autorità pisane rinnovarono costantemente al G. la condotta. La spiegazione di questo riposa nel fatto che il G. sapeva compensare le intemperanze di uno spirito indipendente e sregolato con un impegno irreprensibile verso i malati, accompagnato da un'estrema diligenza e sostenuto da un'accurata preparazione, per cui sovente egli ebbe in cura diversi esponenti della nobiltà locale.
Nel 1497 il G. smise di insegnare nello Studio ma continuò a esercitare la professione di medico a Firenze. Il 4 ag. 1500 chiese di essere immatricolato nel Collegio dei medici e speziali. Ebbe un figlio, Giovanni, anch'egli medico, il quale ebbe l'immatricolazione nello stesso giorno del padre e che aveva ottenuto l'anno precedente la condotta per l'insegnamento di logica a Pisa. Nel 1491 il G., come riferisce un lettera del procuratore Luigi Venturi, attese alla stesura dell'unica opera che ci è pervenuta, ovvero le Recepte supra primum fen quarti canonis Avicenne.
Il testo manoscritto è stato tramandato da un unico testimone, il Magl. XV.24 della Bibl. naz. di Firenze, che da c. 1r a c. 55v, presenta diversi fogli bianchi e appunti che rimandano alla stesura di una Practica, molto probabilmente non opera del G., in cui vengono descritti i sintomi di alcune malattie e forniti alcuni rimedi. L'opera del G. si trova alle cc. 64r-84v. Si tratta di una trascrizione non autografa del testo, da quanto si deduce dall'explicit a c. 84v, dove si legge che la trascrizione è stata compiuta da un certo "Laurentium s. Junctinii filium" a Firenze il 7 maggio 1506. Il trattato è diviso in capitoli, con titolatura rubricata: c. 67r: De cura tertiane continue; c. 78r: De cura febris quartane; c. 81r: De cura febris ethyce; c. 81v: De cura februm pestilentialium; c. 82r: De cura variolarum. Il Fabroni ricorda che presso la Biblioteca Magliabechiana erano conservati solo i Remedia scripta anno 1506 a Iunctinio quodam, che, nonostante la differente titolatura, per la concordanza con il nome e l'anno della trascrizione andranno senza dubbio identificati con le Recepte a noi note. Più controversa è invece la testimonianza del Frabbruccio, il quale afferma essere due le opere manoscritte del G. conservate presso la Biblioteca Magliabechiana, indicate come Recepte e Remedia. Il modo in cui però Frabbruccio presenta la questione lascia chiaramente intendere che egli è incappato in un equivoco: infatti alle Recepte egli si riferisce fornendo in forma completa ed esatta l'incipit, quale si legge a c. 64r, ma attribuisce ai Remedia l'explicit precedentemente riportato dalla c. 84v. Comunque, questa seconda opera del G., qualora sia mai effettivamente esistita, non risulta schedata nell'Indice alfabetico dei manoscritti del fondo Magliabechiano in consultazione presso la Bibl. naz. di Firenze, che nel secondo volume, a c. 58r, riporta sotto il nome del G. solo il ms. delle Recepte.
L'opera è costituita da una raccolta di ricette atte a curare la variegata tipologia delle malattie febbrili. Le ricette predisposte riflettono appieno lo statuto della farmacopea dell'epoca, ancora incisivamente caratterizzata da una mentalità magica (in proposito lo stesso Fabroni scrive che da questi Remedia si nota "quam facile temeritas vel nimia credulitas cum sapientia commiscerentur et quamsaepe casus ad consilium admitteretur").
Se, come è probabile, la trascrizione è stata eseguita per il G., egli visse fino al 1506, e la data, in mancanza di testimonianze seriori, andrà considerata come terminus post quem per il decesso.
Fonti e Bibl.: S.F. Frabbruccio, Elogia clarissimorum virorum qui… usque ad 1378 Pisanae Academiae lucem universae litterariae reipublicae decus addiderunt, in Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, XL, Venezia 1749, pp. 93-96; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, I, Pisis 1791, pp. 327, 345-348; Memorie e documenti per la storia dell'Università di Pavia e degli uomini più illustri che vi insegnarono, I, Pavia 1877, p. 118; A. D'Ancona, Documenti sulla Università di Pisa nel secolo XV, Pisa 1897, p. 8; Autografi e codici di lettori dell'ateneo pisano esposti in occasione dell'XI Congresso di medicina interna, a cura di U. Morini - L. Ferrari, Pisa 1902, pp. 1 s., 60; A. Pellizzeri, Il quadrivio nel Rinascimento, Città di Castello 1924, p. 29; G.B. Picotti, Lo Studio di Pisa dalle origini a Cosimo duca, in Bollettino storico pisano, XI-XIII (1942-55), p. 51; T. Gasparrini Leporace, Due biblioteche mediche del Quattrocento, in La Bibliofilia, LII (1950), p. 209; A.F. Verde, Lo Studio fiorentino, 1473-1503.Ricerche e documenti, I, Firenze 1973, pp. 300-304, 307, 311, 314, 317, 320, 323, 329, 335, 338, 341, 344, 347, 350, 365; II, ibid. 1973, pp. 468-475, 564; IV, 2, ibid. 1985, pp. 931 s.; IV, 3, ibid. 1985, pp. 1383 s.; P. Innocenti, La Toscana seicentesca fra erudizione e vita nazionale: la dispersione della biblioteca Berti a Firenze, in Studi di filologia italiana, XXXV (1977), p. 133; Id., Il bosco e gli alberi. Storia di libri, storia di biblioteche, storia di idee, Firenze 1984, I, p. 236; T. Pesenti, Professori e promotori di medicina nello Studio di Padova dal 1405 al 1509. Repertorio bio-bibliografico, Trieste 1984, pp. 120, 197; G. Minnucci - L. Košuta, Lo Studio di Siena nei secoli XIV-XVI. Documenti e notizie biografiche, Milano 1989, pp. 109, 282; P.O. Kristeller, Iter Italicum. A cumulative index to volumes I-VI, p. 232.