DAL CAMPO, Luchino
Di lui sappiamo solo che venne assunto da Nicolò III d'Este come cancelliere per affidargli la stesura del diario del pellegrinaggio in Terrasanta che il marchese di Ferrara compì nel 1413.
Nicolò III, che aveva fatto il voto di andare in pellegrinaggio, nel 1413 decise di intraprendere il viaggio. Partito da Ferrara il 6 aprile, con una folta compagnia, si recò dapprima a Francolino; qui si imbarcò per raggiungere Loreo, dove lo attendeva il capitano veneziano Pietro Contarini, padrone della galea che lo doveva condurre in Palestina. Da Loreo il marchese raggiunse Venezia, dove sbarcò il 7 aprile. Dopo una sosta forzata di nove giorni per il tempo contrario, Nicolò III poté finalmente partire il 15 aprile. Dopo poco più di un mese, durante il quale fece numerose soste (Pola, Zara, Corfú, Modone, Rodi, Cipro, per citare le più importanti), il 14 maggio giunse al porto di Giaffa. In soli dieci giorni visitò Rama, Gerusalemme e i dintorni, Betlemme: il 24 maggio infatti si era già imbarcato per il ritorno. Sostò nuovamente a Cipro, a Rodi, a Corfù, a Ragusa, a Zara e in altre località minori. Infine il 5 luglio entrò in Venezia e il giorno dopo giunse a Ferrara, dove venne accolto festosamente dal popolo. Il suo viaggio era stato assai breve: soltanto ottantaquattro giorni. Ma la sua fretta era giustificata: la situazione dello Stato estense era troppo fluida perché egli potesse rischiare, con una lunga assenza, di perdere quel potere che aveva saputo conquistarsi usando accortamente i contrasti che opponevano tra di loro le più cospicue famiglie ferraresi. Era perciò inevitabile che Nicolò III, demandato al fido Uguccione Contrari il governo di Ferrara, portasse con sé in viaggio alcuni rappresentanti di quelle famiglie, collo scopo di evitare possibili rivolte. Assieme a questi nobili, il marchese assunse personale adatto a coprire alcuni servizi essenziali, indispensabili per lo svolgimento del viaggio. Così egli si circondò di una corte che era la riproduzione in scala ridotta di quella ferrarese. In tutto una cinquantina circa di persone, tra le quali svolse un ruolo fondamentale il Dal Campo. A questo "è affidato il compito di far risaltarp, sulla micro-corte strutturata a vari livelli, la figura del principe, secondo una tecnica scrittoria paradigmatica. Proprio come in un qualsiasi quadro del tempo il protagonista aveva dimensioni maggiori dei comprimari, così nel diario del cancelliere l'immagine del principe assume il valore di exemplum cui tutti devono riferirsi" (G. Nori, p. 237).
Ne consegue che il D., il quale ha delle nuove realtà con cui viene a contatto una propria visione, la deve filtrare attraverso la volontà dominante del suo signore, che gli impone così la propria percezione di quella stessa realtà. Al D. non resta altro che ridurre lo spazio geografico a uno scarno elenco di nomi, accompagnati da brevi notizie "turistiche", frammiste a volte di elementi fantastici. Il soggetto del diario non è il pellegrinaggio o la Terrasanta: è il principe che, grazie al suo volere, alla sua discrezione, dà vita alla corte. Tuttavia questa esaltazione di Nicolò III non avviene in termini religiosi, bensì in termini cortesi e cavallereschi. Una conferma a ciò viene dall'analisi della struttura del testo. C'è una parte, piuttosto ampia (pp. 105-116, 130-148), in cui viene descritto il viaggio, e una parte, molto più breve (pp. 116-130), dedicata al soggiorno in Terrasanta. Questa cesura è sottolineata stilisticamente dall'uso pressoché totale, nella parte del testo riguardante la Terrasanta, "della prima persona plurale (Luchino e la corte) a scapito della terza persona singolare (generalmente individuante il signore di Ferrara), che è invece prevalente nella parte del testo dedicata al viaggio ... Il Campo ... nasconde il percorso che porta il suo signore alla purificazione nelle pieghe di una cerimonia tipicamente cavalleresca" (G. Nori, pp. 240 s.): è l'investitura a cavalieri dei cortigiani, cerimonia che il marchese celebra nel Santo Sepolcro. Ciò che importa al D. è di celebrare Nicolò III quale splendido cavaliere, tutto dedito alla professione delle virtù simbolo del suo stato: prodezza, munificenza e cortesia. Questa cerimonia, che testimonia il "culto in cui erano tenute nell'ambiente ferrarese le costumanze cavalleresche", non ha più nulla della vitalità di quelle che si compiono nei poemi cavallereschi; si tratta piuttosto di una "stanca mimesi di un mondo artificioso e diverso" (M. Pastore Stocchi, p. 201). Infatti coll'affermarsi della borghesia (e del suo valore-chiave, la ricchezza), l'epica francese aveva dovuto cedere parte del suo fascino originario all'avventuroso e al romanzesco, che canterini e cantastorie avevano introdotto nelle sue leggende, ambientandole non più nella mitica Bretagna, ma in un Oriente favoloso non meglio definito. Ma il D. non ricorre solamente alla rievocazione favolosa dei luoghi via via attraversati per creare una ambientazione magica al viaggio del suo signore. Egli affolla pure nel breve spazio temporale di un giorno (o poco più) un'infinità di episodi, quasi si fosse dimenticato del tempo reale e volesse dilatare, con questo espediente, la brevità imposta da Nicolò III al pellegrinaggio. Così le feste, le cacce, i banchetti, le giostre, che scandiscono il percorso del marchese quale doveroso omaggio alla fama del signore di Ferrara ormai giunta nelle più remote contrade dell'Oriente, concorrono all'esaltazione della potenza della casa d'Este raggiunta attraverso il culto delle virtù cavalleresche, esaltazione che troverà la sua più compiuta realizzazione nel poema del Boiardo.
L'unica edizione a stampa del viaggio di Nicolò III, curata da G. Ghinassi, Viaggio a Gerusalemme di Nicolò da Este..., in Miscellanea di opuscoli inediti o rari dei secc. XIV e XV, I, Torino 1864, pp. 99-160, è stata condotta su un manoscritto, appartenuto allo stesso editore, oggi irreperibile. Si può ragionevolmente affermare che il testo curato dal Ghinassi non sia del tutto attendibile per i molti sospetti che fanno sorgere i criteri seguiti dallo studioso. Altre testimonianze sono il codice 1629 dell'Archivio di Stato di Modena, Arch. segreto estense, Casa e Stato, Genealogie, Storie di Casa d'Este, b. 63, ascrivibile all'inizio del sec. XVI (probabilmente una copia del manoscritto Ghinassi); una redazione di poco più breve di quella del ms. Ghinassi riportata da P. Prisciani nel terzo tomo delle Collectanea, conservata nella Biblioteca dell'Archivio di Stato di Modena, Manoscritti, ms. 137/3, cc. 197a-213b; una versione molto più breve data da Paolo da Legnago nella sua Cronica Estense, pure conservata nella Biblioteca dell'Archivio di Stato di Modena, Manoscritti, ms. 69, cc. 106b-108b, che riporta solo i nomi delle persone che accompagnarono il marchese. Inoltre, in fine al codice Italiano 249 della Biblioteca Estense di Modena è stata trascritta un'altra, brevissima redazione del viaggio di Nicolò III, composta da due elenchi: uno dei personaggi che seguirono il marchese, l'altro delle spese sostenute durante il viaggio, spese che nelle versioni maggiori sono sparse per il testo. Questa redazione venne pubblicata a cura di L. Simeoni nella nuova edizione dei Rerum Ital. Script., XX, 2, pp. 51 s.
Fonti e Bibl.: P. Amat di San Filippo, Biogr. dei viaggitori ital. colla bibl. delle loro opere, 2 ed., Roma 1882, p. 123; R. Ceserani, Ancora sugli "uccelletti cipriani" ("Decameron", giorn. VIII, nov. X), in Giorn. stor. della lett. ital., CXXX (1962), pp. 478-479; M. Pastore Stocchi, Note su alcuni itinerari in Terrasanta dei secoli XIV e XV, in Rivista di storia e letteratura religiosa, III (1967). pp. 185-202, soprattutto pp. 189-199 e passim; G. Nori, La corte itinerante. Il pellegrinaggio di Nicolò III in Terrasanta, in La corte e lo spazio: Ferrara estense, a cura di G. Papagno-A. Quondam, I, Roma, 1982, pp. 233-246.