Luce
Dal latino lux, affine all'aggettivo greco λευκός, "brillante, bianco", il termine definisce la regione dello spettro elettromagnetico di lunghezza d'onda compresa tra 380 e 750 nm, in grado di suscitare sensazioni visive sulla retina dell'occhio. La luce, attraversando un mezzo dispersivo, per es. un prisma, può essere scomposta nelle componenti monocromatiche, ciascuna delle quali rappresenta una radiazione di differente lunghezza d'onda e il cui insieme costituisce il cosiddetto spettro; questo, per la luce bianca, si suole suddividere in sette bande, corrispondenti ai sette colori dell'iride, con la luce violetta e la luce rossa a costituire, rispettivamente, gli estremi inferiore e superiore dello spettro.
La natura della luce ha attirato fin dai tempi più antichi l'attenzione di chi si è dedicato a indagare i fenomeni fisici, ma la sua piena comprensione si è raggiunta solo a partire dagli inizi del 20° secolo. Le prime osservazioni indussero a considerare i raggi luminosi come il percorso di corpuscoli molto piccoli e veloci, capaci di muoversi in linea retta, di rimbalzare sugli specchi e di cambiare direzione nell'attraversare una superficie rifrangente: questa teoria corpuscolare, già esposta nella sua essenzialità nel De rerum natura di Lucrezio, fu sostenuta all'inizio del 18° secolo anche da I. Newton, al quale si deve la dimostrazione che la luce bianca è in realtà composta di vari colori. Nel 19° secolo, grazie a J.C. Maxwell, si arrivò a stabilire che la luce visibile è un insieme di radiazioni elettromagnetiche di determinata lunghezza d'onda e rappresenta solamente una piccola parte dello spettro delle radiazioni stesse. Lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche si estende, infatti, dalle onde corte delle radiazioni cosmiche a quelle lunghe, utilizzate per le trasmissioni radio. Tuttavia, la banda di sensibilità degli esseri viventi corrisponde a quella delle radiazioni solari: lo spettro del visibile, compreso tra 380 nm (violetto) e 750 nm (rosso), non include le radiazioni nella zona dell'ultravioletto e dell'infrarosso, che pure appartengono allo spettro luminoso. L'organismo della quasi totalità dei viventi reagisce allo stesso campo di radiazioni e questo avviene essenzialmente per due motivi: anzitutto perché radiazioni con frequenza, e quindi energia, superiore romperebbero i deboli legami idrogeno di cui sono ricche le principali molecole biologiche, mentre radiazioni con energia più bassa non riuscirebbero a innescare le necessarie reazioni biochimiche; inoltre perché la banda dello spettro 'scelta' dagli esseri viventi è quella maggiormente disponibile. Infatti, le lunghezze d'onda minori sono schermate dall'ozono atmosferico, mentre quelle a lunghezza maggiore sono trattenute dal vapore acqueo e dall'anidride carbonica prima di raggiungere la superficie terrestre. L'energia luminosa si propaga in 'pacchetti', detti fotoni, il cui contenuto di energia dipende dalla lunghezza d'onda: minore è la lunghezza d'onda, maggiore è il contenuto di energia. Un fotone non può dividersi in pacchetti più piccoli, e quindi una molecola che assorbe la luce deve assorbire un intero fotone. Le uniche molecole capaci di ciò sono i pigmenti; questi, quando assorbono i fotoni, acquistano energia e passano così a uno stato eccitato, con contenuto energetico maggiore. Quando un raggio di luce bianca colpisce un pigmento, questo assorbe solo alcune specifiche componenti di lunghezza d'onda ben determinata, mentre tutte le altre vengono riflesse oppure trasmesse. È per questo motivo che il pigmento appare colorato: se per es., come nel caso della clorofilla, viene assorbita luce blu e rossa, ciò che percepiamo è la luce residua, cioè il verde. La presenza di pigmenti accessori, accanto a quello principale, permette di assorbire fotoni di diversa lunghezza d'onda: in questo modo gli organismi possono assumere energia da gran parte dello spettro del visibile, aumentando lo spettro di luce disponibile per le loro funzioni. Nelle alghe e nelle piante, per es., i pigmenti accessori consentono di assorbire fotoni di lunghezza d'onda intermedia tra il rosso e il blu, trasferendoli alla clorofilla e aumentando così la luce disponibile per la fotosintesi.
La luce è la fonte primaria di energia dell'ecosistema. Alcuni batteri, le alghe e le piante assorbono luce e trasformano, mediante la fotosintesi, l'energia luminosa in energia chimica, sotto forma di glucosio; il glucosio viene, a sua volta, utilizzato da tutti gli organismi produttori e anche dagli animali che consumano piante, o altri animali, come fonte di energia per i processi biologici. L'assorbimento della luce attraverso i pigmenti è quindi il primo passo nella formazione di prodotti organici e il Sole è la sorgente ultima di questa energia, che consente la vita degli organismi. A volte, l'energia ottenuta con la degradazione delle sostanze può essere utilizzata da alcune specie animali per la produzione di energia luminosa. Questo fenomeno, detto bioluminescenza, è diffuso fra gli esseri che vivono nelle profondità marine, prive di luce; è anche frequente negli animali che sulla Terra vagano di notte: l'esempio più noto è quello della lucciola. Negli animali bioluminescenti, la luce, che comprende principalmente radiazioni nella gamma verde-azzurra dello spettro, può essere diffusa da tutto il corpo o solo da particolari organi e serve ad attirare la preda, oppure come mezzo di difesa o di comunicazione fra i sessi. La luce esercita una forte influenza anche sulla distribuzione della vita nelle acque marine, dalle quali viene assorbita facilmente: meno del 40% della luce solare raggiunge la profondità di 1 m e meno dell'1% penetra oltre i 50 m. Le lunghezze d'onda della luce rossa, arancione e gialla sono assorbite per prime, per cui solo le lunghezze d'onda più corte, il verde e l'azzurro, penetrano in profondità. Di conseguenza, a profondità superiori a pochi metri crescono solo quegli organismi capaci di utilizzare le lunghezze d'onda più corte. Se si considera che il mare ha una profondità media di oltre 3 km, si deve concludere che, tranne una frazione superficiale relativamente piccola, negli abissi la sola illuminazione è quella minima prodotta da batteri e animali bioluminescenti. Per questo motivo la presenza di organismi fotosintetici è limitata agli strati più superficiali, mentre le profondità sono abitate solo da batteri e animali capaci di nutrirsi esclusivamente con i resti di organismi che vivono a livelli superiori. La conseguenza immediata della scarsità dell'illuminazione negli abissi è l'adattamento degli occhi, che possono essere ridotti oppure, all'opposto, molto grandi e telescopici, capaci di raccogliere la scarsa luce presente.
Oltre a essere una fonte di energia alla base della vita, la luce svolge una grande varietà di ruoli nel mondo vivente, tra i quali, particolarmente importante, è quello relativo al processo della visione. La sensibilità alla luce rappresenta un fenomeno estremamente diffuso e anche organismi semplici possiedono strutture più o meno complesse che sono in grado di assorbire gli stimoli luminosi, mostrando una reazione che si manifesta a volte con un avvicinamento alla fonte luminosa, altre volte con un allontanamento. È ciò che avviene, per es., in alcuni animali, come le planarie, che rifuggono la luce, probabilmente allo scopo precipuo di rendersi meno visibili ai predatori. Anche nelle piante la luce può stimolare il movimento: è ben noto che molte di esse si curvano gradualmente verso la sorgente di luce, con un fenomeno che viene denominato fototropismo. Sotto l'influenza della luce, infatti, un ormone vegetale migra dalle cellule del lato illuminato a quelle del lato oscuro; queste ultime si allungano così più rapidamente delle altre, determinando la curvatura della pianta verso la luce. Negli animali più evoluti la luce assicura una visione dettagliata dell'ambiente esterno, attraverso la percezione delle modifiche che la luce stessa subisce interagendo con gli oggetti. Gli animali pluricellulari a elevata organizzazione hanno strutture sensibili alla luce che si fanno via via più complesse, fino a diventare occhi; queste strutture sono sempre sviluppate in conformità all'ambiente al quale l'animale è adattato. Nella struttura dell'occhio, il vero organo della visione è la retina, costituita da fotorecettori in grado di ricevere l'energia luminosa e di trasformarla in impulsi nervosi che, convogliati attraverso il nervo ottico, giungono al cervello, dove diventano percezione visiva. I fotorecettori sono di due tipi, coni e bastoncelli, e contengono pigmenti fotosensibili. I bastoncelli, dotati di un solo tipo di pigmento, sono i più sensibili alla luce e sono responsabili della visione in bianco e nero; i coni, invece, distinti in tre tipi contenenti ciascuno un pigmento diverso, consentono la visione tricromatica costituita dai tre colori fondamentali: il rosso, il verde e l'azzurro. Di notte, quindi, non distinguiamo i colori, perché la luce debole non riesce a stimolare i coni. L'elevata sensibilità dei bastoncelli si può apprezzare quando si entra in una stanza buia provenendo dalla luce. Inizialmente si è pressoché ciechi perché sono in funzione i coni, e i pigmenti dei bastoncelli sono ancora inattivati dalla luce intensa; dopo qualche momento di permanenza al buio, i pigmenti dei bastoncelli si riattivano e l'occhio si adatta alla scarsa illuminazione. L'adattamento all'oscurità è favorito anche dalla dilatazione della pupilla, che lascia arrivare più luce sulla retina, così come l'adattamento alla luminosità avviene anche con la costrizione della pupilla, che riduce a 1/30 la quantità di luce che entra nell'occhio.
Come già accennato, per l'uomo lo spettro del visibile va dalla luce violetta, con la lunghezza d'onda più bassa, alla luce rossa, con la lunghezza d'onda più alta. Se fossimo in grado di percepire lo spettro dell'infrarosso, vedremmo gli oggetti attraverso un bagliore infrarosso emesso dal nostro stesso corpo; l'invisibilità di queste bande dipende solo dalle lunghezze d'onda assorbite dai pigmenti visivi. I fotorecettori umani sono tuttavia sensibili all'ultravioletto, le cui onde vengono solitamente filtrate dal pigmento giallo del cristallino; infatti chi ha subito la rimozione della cataratta è in grado di leggere con la luce ultravioletta. Se le onde elettromagnetiche percepite dall'uomo sono quelle del ridotto spettro del visibile, taluni organismi diversi possono captare altre bande. Per es., molti insetti impollinatori sono in grado di vedere le caratteristiche cromatiche all'ultravioletto di certi fiori, e i serpenti a sonagli, attraverso appositi organi 'a fossetta' sono sensibili a bande dell'infrarosso e possono così dirigersi verso prede a sangue caldo anche se sono in condizioni di assoluta oscurità, guidati esclusivamente dal calore che emanano i corpi. Una proprietà della luce a cui l'uomo non è sensibile è la polarizzazione, che può offrire informazioni non contenute nella luce non polarizzata. Il piano di polarizzazione è quello che contiene la direzione del raggio e il vettore del campo magnetico della radiazione. La luce del Sole non è polarizzata, ma lo diventa quando viene diffusa dalle particelle dell'atmosfera e in modo dipendente dalla direzione di provenienza: indirettamente, quindi, la luce blu del cielo offre informazioni sulla posizione del Sole, anche quando questo non è visibile. L'informazione data dalla polarizzazione della luce è fondamentale nell'orientamento e nella migrazione degli animali. Le api, per es., sfruttano proprio questa proprietà della luce per orientarsi in cerca di cibo, anche in assenza di Sole visibile.
La luce regola anche altre attività dei viventi. Molti organismi sono, per es., sensibili alla lunghezza del giorno - quindi alla disponibilità di luce - e al suo alternarsi con precisione e regolarità alla notte. Già negli anni Trenta del 20° secolo era stato dimostrato che in molte piante la fioritura è regolata dal fotoperiodo, cioè dalle variazioni stagionali della durata del giorno rispetto alla notte. Infatti vi sono piante, come lo spinacio, che fioriscono dopo essere state esposte a giorni sempre più lunghi e altre, come i crisantemi, che fioriscono solo dopo essere state esposte a giorni progressivamente sempre più brevi. I risultati di diversi studi hanno permesso di individuare nelle foglie le strutture capaci di sorvegliare il fotoperiodo per mezzo del fitocromo, un pigmento blu-verde esistente in due forme reversibilmente convertibili l'una nell'altra in risposta alla luce. Le conversioni alternative tra le due forme, dovute al tipo di luce che viene assorbita, consentono alla pianta di misurare la durata del giorno e della notte. Probabilmente il fitocromo regola le attività degli ormoni vegetali che costituiscono il segnale di fioritura, il quale si trasmette dalle foglie al fusto, inducendo le gemme ascellari a passare dall'accrescimento vegetativo allo sviluppo dei fiori. La scoperta del fotoperiodismo ha permesso di spiegare anche la diversa distribuzione geografica di alcune piante comuni; gli spinaci, per es., non possono produrre semi ai tropici perché hanno bisogno per fiorire di 14 ore di luce al giorno, per un periodo di almeno due settimane, e ai tropici le giornate non sono mai così lunghe.
La risposta alla lunghezza del periodo luminoso diurno è stata rilevata anche negli animali. Negli Insetti, per es., è stata studiata attentamente l'insorgenza della diapausa, uno stato quiescente che si verifica in diversi stadi di accrescimento, dalla schiusa dell'uovo alla maturità.
Per molto tempo si è creduto che negli animali la percezione fotoperiodica fosse correlata con la visione. È stato poi dimostrato, che per alcuni Insetti lo stimolo fotoperiodico è percepito dalle cellule cerebrali; nei Mammiferi, nei Rettili e negli Anfibi la struttura fotosensibile è stata invece individuata nell'epifisi (v.), la ghiandola pineale che secerne l'ormone melatonina. Nell'uomo, per es., la concentrazione di melatonina nel sangue è massima durante la notte e minima durante il giorno e queste variazioni possono, a loro volta, regolare un'ampia varietà di ritmi giornalieri, come il sonno, l'attività motoria e le onde cerebrali. Sembrerebbe che anche i disturbi connessi al cambiamento di fuso orario (jet lag) possano essere dovuti all'intervallo di tempo necessario per azzerare l'orologio pineale e ristabilire il ritmo normale della melatonina. Si ritiene inoltre che la diminuzione della luce, con il conseguente aumento di melatonina, possa essere la causa dell'insorgenza di una depressione stagionale, che si verifica con l'avvicinarsi dell'inverno e l'accorciarsi del giorno. Questa forma di depressione, definita sindrome da disturbi affettivi stagionali, si manifesta con l'insorgenza di stanchezza e tristezza e può essere curata con l'esposizione delle persone affette a periodi di illuminazione intensa, che fa diminuire la produzione di melatonina da parte dell'epifisi. La sensibilità alle variazioni nella lunghezza del giorno consente alle piante di indurre la fioritura nei momenti in cui sono particolarmente attivi gli impollinatori, di iniziare la quiescenza quando le condizioni ambientali diventano gradualmente meno favorevoli, di correlare la germinazione dei semi con i periodi propizi all'accrescimento delle piantine. In molti Mammiferi l'aumento primaverile del fotoperiodo stimola modificazioni ormonali che provocano l'insorgenza dell'estro, il periodo di recettività sessuale. La disponibilità all'accoppiamento solamente in determinati periodi assicura che la riproduzione avvenga nel momento di massima disponibilità di entrambi i gameti oppure in quelli più adatti alla sopravvivenza della prole.
Un altro fenomeno che si riscontra in tutti gli esseri viventi è l'alternanza di ritmi regolari giorno/notte, detti ritmi circadiani (dal latino circa, "intorno", e dies, "giorno"). Alcune piante aprono i loro fiori al mattino e li chiudono alla sera; altre piante aprono le loro foglie al mattino e le ripiegano sul gambo al tramonto; nell'uomo, la respirazione, la frequenza cardiaca e l'escrezione di potassio, calcio e sodio, così come la secrezione di certi ormoni, variano a seconda del momento della giornata, seguendo ritmi circadiani. Non prendere in considerazione le fluttuazioni circadiane potrebbe, secondo alcuni ricercatori, portare addirittura a errori nella diagnosi o nella terapia, dal momento che la pressione sanguigna può variare anche del 20% nel corso della giornata o che il numero dei globuli bianchi può cambiare anche del 50%, rendendo, per es., una stessa terapia immunodepressiva inefficace in un'ora e addirittura eccessiva in un'altra. Sebbene attualmente si sia convinti che questi ritmi siano regolati da un meccanismo interno, detto orologio biologico, essi possono essere modificati da fattori esterni, come la luce: è ormai evidente che molti organismi hanno sviluppato un sistema per sincronizzare i loro ritmi endogeni con il ciclo giornaliero luce/buio. Gli orologi biologici hanno una notevole importanza per la fisiologia vegetale e animale, in quanto riescono a sincronizzare gli eventi di un organismo con quelli dell'ambiente.
Non sempre le radiazioni luminose sono utili e vantaggiose per gli esseri viventi: quelle verdi, blu, violette e specialmente ultraviolette hanno, per es., potere battericida, e ai raggi violetti e ultravioletti è molto sensibile anche l'occhio umano, che può esserne danneggiato come accade nella cosiddetta oftalmite dell'alpinista. Dosi eccessive di radiazioni luminose possono, inoltre, provocare alcune gravi lesioni cutanee, come eritemi e ustioni e, nei casi particolarmente gravi, tumori, come il melanoma. La luce solare costituisce un grave pericolo in presenza di xeroderma pigmentoso, una rara patologia genetica di tipo recessivo. Le persone che ne sono affette non rimuovono i segmenti di DNA danneggiati dalla radiazione ultravioletta e sono quindi costrette a vivere in ambienti costantemente bui, perché anche una breve esposizione alla luce può promuovere la formazione di tumori cutanei. La luce può causare, inoltre, malattie cutanee quando nell'organismo sono presenti sostanze fotodinamiche capaci di modificare la lunghezza d'onda dei raggi che colpiscono la pelle, danneggiandone le cellule. Queste sostanze fotodinamiche, in particolare le porfirine, sono utilizzate con azione antitumorale, in una terapia detta appunto fotodinamica. La terapia consiste nell'iniettare, direttamente in vena, o nella massa tumorale, delle sostanze che, modificate dalla luce, provocano il danneggiamento delle cellule cancerose nelle quali si concentrano in maggior quantità. Inoltre, in dosi misurate, le radiazioni luminose sono indispensabili per la produzione, nell'organismo, della vitamina D, la cui sintesi avviene nella pelle proprio per azione dei raggi ultravioletti sul colesterolo. Quasi tutti gli organismi che vivono sulla terraferma devono pertanto la vita allo strato di ozono che assorbe le radiazioni ultraviolette della luce solare: per questo motivo la vita si è estesa dall'acqua alla terra soltanto dopo che l'emissione di ossigeno molecolare, da parte dei primi organismi fotosintetici, ha permesso la formazione dell'ozono.
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