GRIMALDI, Lucchetto
Nacque presumibilmente verso il 1210 da Grimaldo di Oberto e da Orietta da Castello, di antica famiglia viscontile, che, probabilmente dopo di lui, ebbero anche Sorleone, Lanfranco e Antonio.
Il padre era stato uno fra i più importanti protagonisti della vita genovese della prima metà del Duecento. Nel 1219, nel corso della quinta crociata, aveva condotto 10 galee genovesi in sostegno dell'assedio cristiano a Damietta, città fortificata alla foce del Nilo. In seguito aveva rivestito più volte importanti cariche nel governo del Comune e, nel 1244, aveva ospitato nel suo palazzo papa Innocenzo IV, in viaggio verso Lione; morì dopo il 1257.
Le prime notizie sul G. risalgono al 1237 quando, ormai adulto, fu membro del Collegio degli otto nobili che affiancava a Genova il podestà forestiero; occorre comunque precisare che l'esistenza, più o meno negli stessi anni, di almeno un paio di omonimi, tra cui Luca di Ingone, come il G. importante personaggio della Genova dell'epoca, rende estremamente difficile distinguere le vicende dell'uno da quelle dell'altro. Sembra però, sulla base del Federici e di altri, che sia stato proprio il G. a essere scelto, nel 1242, come podestà di Milano, in un momento particolarmente delicato per la città ambrosiana, dopo la morte, l'anno precedente, di Pagano Della Torre, capo della cosiddetta Credenza di S. Ambrogio e della fazione antimperiale.
La nomina del G. a podestà rispondeva in pieno al desiderio di proseguire nella politica antifedericiana di Pagano, in quanto i Grimaldi erano già da tempo annoverati fra i capi della fazione detta dei "rampini", in seguito conosciuti anche a Genova come guelfi. Il governo podestarile del G. fu segnato da una fortunata guerra contro Como che in passato aveva abbandonato l'alleanza di Milano per schierarsi con Federico II; la spedizione, condotta personalmente dal G., mise a sacco il territorio comasco fino alle porte della città rivale e, ottenuta la dedizione dei castelli di Mendrisio e Lugano, aprì la via ai Milanesi verso Bellinzona.
Dopo questa esperienza, che contribuì certo ad accrescere il prestigio del G., non abbiamo più notizie su di lui fino al 1256, ma a questo periodo, seppure con molta approssimazione, genealogisti come il Federici e il Venasque collocano l'acquisizione, da parte sua, della signoria su Stella, nell'entroterra di Savona, e su Prelà (o Pietralata), nell'estrema Riviera di Ponente. Se nel primo caso la veridicità della cosa appare dubbia, trattandosi probabilmente di una confusione con il già citato Luca di Ingone, per Prelà vi sono invece fondate ragioni per credere che egli abbia realmente rilevato dai conti di Ventimiglia, suoi antichi signori, almeno la metà di quella signoria. Questo feudo, sia pure di modeste dimensioni, svolse un ruolo di notevole importanza nelle sue successive vicende personali, fornendogli gli uomini per perseguire, nel territorio intemelio, una propria politica di supremazia.
Nel 1261 il suo nome è ricordato fra i consiglieri del Comune chiamati a ratificare il trattato di Ninfeo con l'allora imperatore di Nicea, Michele Paleologo.
Alla guerra contro Venezia, seguita alla riconquista bizantina di Costantinopoli, i Grimaldi parteciparono con posizioni di comando fin dal 1263, quando Pietro (probabilmente figlio dello stesso G.) aveva condotto in Egeo, unitamente a Paschetto Mallone, una squadra di 25 galee in soccorso della flotta che già vi stazionava. Si trattò di una spedizione sfortunata perché quest'ultima si era fatta ignominiosamente battere dai Veneziani all'isola dei Settepozzi, vicino a Malvasia, sulle coste orientali del Peloponneso, così che l'imperatore, sdegnato per lo scarso impegno dei Genovesi, aveva licenziato bruscamente sia Pietro sia il Mallone, rimandandoli indietro. Questo fatto aveva preceduto di poco la fine dell'alleanza tra Genova e Impero bizantino, ma la guerra con Venezia era continuata anche se, soprattutto per le difficoltà finanziarie delle due rivali, si era trascinata abbastanza stancamente, senza grandi operazioni.
Del resto, la vita politica genovese aveva conosciuto in quegli anni forti sconvolgimenti, per i tentativi di Simone Grillo nel 1263 e di Oberto Spinola nell'ottobre del 1265 di farsi proclamare signori di Genova con il sostegno popolare. Entrambi avevano fallito per l'opposizione degli altri nobili ghibellini a riconoscere la superiorità di una sola famiglia, ma i Grimaldi, come capi del partito guelfo, avevano dovuto ritirarsi prudentemente nel loro castello di Stella, facendo ritorno in città solo dopo che la vittoria di Carlo d'Angiò a Benevento (febbraio 1266) aveva segnato il trionfo in tutta Italia della loro fazione. Essi, che avevano da tempo stretto legami con il sovrano angioino e con la Provenza, vennero ad assumere, nel governo e nella diplomazia del Comune, una posizione di primo piano.
Non a caso fu proprio il G. a essere nominato, nella primavera del 1267, ammiraglio di una flotta di 25 galee destinata alla Siria. Obiettivo della spedizione era la conquista di Acri, allora alleata dei Veneziani, da compiersi con l'auspicato aiuto di Filippo di Montfort, signore di Tiro e vecchio amico dei Genovesi. Il G., che aveva come consiglieri l'esperto Paschetto Mallone e Ottolino Di Negro, lasciò Genova verso la fine di giugno, dirigendosi verso la Siria seguendo la rotta più breve. Contrariamente al solito, lungo la via non vi furono divagazioni di carattere piratesco, tranne la cattura di due navigli di proprietà di mercanti lombardi di Negroponte. Così, già il 16 agosto la flotta genovese comparve davanti ad Acri, cogliendo di sorpresa tutti. Il G. si lanciò subito all'assalto della cosiddetta torre delle Mosche, che controllava l'imboccatura del porto, e, conquistatala, vi fece issare lo stendardo di s. Giorgio. Non procedette però all'attacco della città, ma pose le sue galee in modo da sbarrare l'entrata e l'uscita delle navi dal porto, così da prenderla per fame, contando sul fatto che i dintorni erano stati orrendamente devastati mesi prima dai mamelucchi del sultano d'Egitto Baibars.
Sentendosi abbastanza sicuro, dopo una dozzina di giorni il G. decise di trasferirsi con una dozzina di galee a Tiro, per concordare con Filippo di Montfort la conquista della città. Ad Acri rimase a proseguire l'assedio il Mallone con il resto della flotta e qui fu sorpreso, il 29 agosto, dall'improvvisa comparsa di 20 galee veneziane. Il Mallone riuscì a fuggire, passando attraverso le linee veneziane, ma 5 galee andarono perdute. Egli poté comunque raggiungere Tiro dove si ricongiunse al G., il quale aveva inutilmente tentato di convincere il Montfort a unirsi ai Genovesi. Insieme decisero di allontanarsi dalla Siria, evitando il combattimento con i Veneziani, resi numericamente più forti dopo quanto accaduto ad Acri.
La spedizione si era rivelata, fino a quel momento, un vero insuccesso, così il G. pensò di rifarsi con qualche bella preda. Avuta notizia che nel porto di Curco, sulle coste dell'Armenia minore, si trovava una nave veneziana carica di mercanzie, vi si diresse per catturarla e, nonostante parte del carico gli sfuggisse, riuscì comunque a impossessarsi di merci per un valore di 50.000 lire, senza fare troppa distinzione se i proprietari fossero o meno nemici di Genova.
Soddisfatto per il bottino, il G. fece vela verso casa, ma giunto in settembre a Messina trovò una situazione estremamente tesa. La città era infatti in effervescenza per l'annunziato arrivo di Corradino di Svevia, e per lo sbarco a Sciacca, in armi, di due suoi emissari, Corrado Capece e Federico di Castiglia, i quali erano riusciti nel giro di poche settimane a sottrarre agli Angioini gran parte dell'isola. Senza porsi il problema se la cosa giovasse o meno al Comune di Genova, il G. fece prevalere su ogni altra considerazione la sua appartenenza al partito guelfo, per cui decise di mettersi al servizio di Carlo d'Angiò con tutta la sua squadra. La comparsa delle galee genovesi davanti a Palermo e Siracusa valse a impedire la sollevazione dei locali partigiani di Corradino, ma una volta tornate a Messina esse vennero coinvolte in violenti disordini, nel corso dei quali il Mallone, intervenuto per calmare gli animi, finì ucciso con altri genovesi, per mano degli stessi soldati angioini. Mesto fu quindi il ritorno a Genova della flotta, per giunta ridotta da fughe e diserzioni, ma a nessuno venne in mente di contestare al G. il suo operato.
Il Comune aveva assunto, nei confronti della spedizione di Corradino, un atteggiamento di cauta attesa, nel timore di compromettere, con una scelta avventata, i proficui rapporti commerciali con Carlo d'Angiò. Così, almeno ufficialmente, i Genovesi si mantennero neutrali nel conflitto tra l'erede svevo e il sovrano angioino, ma dopo pochi mesi dagli avvenimenti di Messina la sconfitta di Corradino a Tagliacozzo (23 ag. 1268) segnò la piena affermazione, anche a Genova, del partito guelfo. Soprattutto furono i Grimaldi ad avvantaggiarsi, grazie alla fedeltà sempre manifestata alla casa d'Angiò; non fu un caso quindi che, dovendosi chiedere l'aiuto genovese per trasportare oltremare la nuova crociata che stava progettando Luigi IX di Francia, fu al G. (e a Lanfranchino Malocelli) che si rivolse papa Clemente IV, per fare opera di convincimento sulle autorità del Comune. Il G. svolse anche un ruolo di primo piano nel preparare il terreno al trattato di alleanza con Carlo d'Angiò che, firmato nel giugno 1269, doveva porre Genova nell'area d'influenza angioina, garantendole una situazione di particolare privilegio nei commerci con l'Italia meridionale.
Forte dell'amicizia del re, il G. fece di tutto per ottenere, nel 1270, l'ufficio di podestà di Ventimiglia, città che si trovava in una posizione chiave per gli interessi dei Grimaldi, a cavallo com'era fra territorio genovese e provenzale.
Qui esisteva da lungo tempo una feroce rivalità tra le due famiglie dei Curlo, ghibellini, e dei Giudice, guelfi, che si acuiva in occasione dell'elezione del podestà, la cui nomina, secondo le convenzioni con Genova, spettava agli stessi Ventimigliesi (seppure con l'obbligo di scegliere sempre un cittadino genovese).
Nei primi mesi del 1270 i guelfi, cui toccava l'elezione, diedero l'ufficio proprio al G., affiancato dal figlio Filippino quale luogotenente; ma la scelta venne duramente contestata dai Curlo che, designato a loro volta Simone Zaccaria, si appellarono al podestà di Genova Rolando de Putagio. La questione, d'accordo tra le parti, fu rimessa al Collegio dei dottori di Cremona, il quale pronunciò una sentenza che dichiarava valida l'elezione del Grimaldi. Egli si era nel frattempo trasferito a Ventimiglia, senza attendere l'esito del procedimento, assumendo la podestaria il 1° maggio, secondo il costume. I Curlo però non avevano voluto prestargli il dovuto giuramento di fedeltà e quando si conobbe il parere dei giuristi cremonesi preferirono allontanarsi dalla città.
A Genova quanto accaduto a Ventimiglia provocò immediate reazioni da parte dei ghibellini che organizzarono una spedizione punitiva. Essi, guidati da Ansaldo Balbi di Castello, Ughetto Doria e Guglielmo Della Torre, assommavano ad appena una settantina di uomini, in gran parte originari di Rapallo e Chiavari; sbarcarono da una galea a poca distanza da Ventimiglia, ma furono quasi subito affrontati dal G. e costretti a rifugiarsi su una collina, dove per due giorni sostennero con valore gli attacchi dei partigiani del Grimaldi. Alla fine, stanchi e affamati, scesero a patti, ottenendo la promessa di poter rientrare indisturbati a Genova, ma non appena lasciata la forte posizione dove si erano trincerati furono disarmati e rinchiusi nel castello di Ventimiglia. Solo ad Ansaldo Balbi e a Ughetto Doria, per riguardo al loro rango, fu concessa la libertà. Al loro ritorno a Genova la notizia di quanto accaduto e, soprattutto, della malafede del G. scatenò le furibonde proteste del partito ghibellino; i suoi capi si rivolsero ai capi della casata Grimaldi chiedendo il loro intervento per ottenere la liberazione dei prigionieri, ma essi si limitarono a fare vaghe promesse.
Il forte malumore che covava da tempo tra i ghibellini davanti al progressivo aumento di potere di Grimaldi e Fieschi sfociò infine, il 28 ott. 1270, in una sollevazione popolare che, in breve tempo, ebbe ragione dei guelfi; Oberto Spinola e Oberto Doria furono proclamati capitani del Popolo e, se non vi furono immediate espulsioni, i loro avversari dovettero rinunciare a ogni carica pubblica. Anche il G. fu costretto a piegarsi e, dopo avere rilasciato i prigionieri, fu convocato a Genova per sottomettersi ai nuovi reggitori del Comune. Non tornò più a Ventimiglia e, nel 1271, fu costretto al confino per alcuni mesi, per ordine dei capitani; l'anno successivo partecipò alla nuova rivolta dei Grimaldi, a seguito della quale ebbe i suoi beni confiscati.
Morì probabilmente poco dopo, forse prima del 1274, perché a tale data il suo nome non compare più negli elenchi dei cittadini guelfi i cui beni erano soggetti ad amministrazione coatta da parte delle autorità ghibelline.
Non è noto con chi si sia sposato, ma ebbe numerosa prole, tra cui Filippo, Pietro e Barnaba, da cui sarebbe discesa la linea dei signori di Boglio (Beuil) nella Contea di Nizza.
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