PORZIO, Lucantonio
PORZIO, Lucantonio. – Nacque a Positano il 20 maggio del 1639.
Figlio del notaio Francescantonio e di Livia Spasiano, rimase orfano in tenera età e fu cresciuto dallo zio. Con il fratello Silvestro partì alla volta di Napoli nel 1652, entrambi destinati alla carriera civile: Lucantonio studiò al Collegio massimo dei padri gesuiti e, poi, diritto e medicina.
Nel 1654, insoddisfatto delle lezioni universitarie e dei docenti dello Studio, lasciò Napoli per un breve periodo e, approfonditi da autodidatta gli studi matematici, si avvicinò a Tommaso Cornelio, allora lettore di matematica e artefice della penetrazione delle tesi galileiane, ma anche cartesiane e gassendiste, a Napoli. Tramite Cornelio entrò in contatto con il primo nucleo investigante (Marco Aurelio Severino, Francesco d’Andrea, Leonardo di Capua tra gli altri) e conobbe alcuni dei testi scientifici più rivoluzionari dell’epoca che contribuirono a fare di lui uno dei protagonisti della stagione di rinnovamento culturale della seconda metà del XVII secolo.
Fatto ritorno a Napoli e iniziato il praticantato presso l’ospedale S. Giacomo, Porzio si addottorò nel 1658 e si ritirò a Positano fino al 1664, quando fece ritorno a Napoli e iniziò a frequentare l’Accademia degli Investiganti. Nel 1667 venne pubblicata la sua prima opera: un discorso pronunciato all’Accademia Del sorgimento de’ licori nelle fistole. Tale opera era stata molto influenzata da Niccolò Aggiunti, secondo il quale la ‘capillarità’ derivava da cause fisiche che risiedevano in un continuo movimento delle parti del fluido. Nello stesso anno conobbe Giovanni Alfonso Borelli che ripeteva nelle sale dell’Accademia gli esperimenti svolti al Cimento. I due ebbero una corrispondenza e un’amicizia nonostante le divergenze sul piano scientifico, soprattutto sul tema del corpuscolarismo: Borelli restò fedele all’approccio galileiano, mentre Porzio abbracciò la teoria corpuscolare della materia di Cartesio e il corpuscolarismo della chimica boyliana.
Porzio fu sempre molto interessato alla chimica e alla definizione del modello ideale di medico: partecipò al dibattito tra ‘novatori’ e ‘galenisti’ sull’utilità dell’insegnamento della disciplina per l’esercizio della professione medica e dell’impiego di farmaci chimici nella cura delle malattie. Quando, nel 1670, l’Accademia si sciolse infiacchita dai pesanti attacchi che travalicarono l’ambito medico-scientifico e sconfinarono nell’accusa di empietà basata sull’adesione al meccanicismo cartesiano, Porzio aveva già lasciato Napoli e intrapreso un lungo soggiorno romano che durò fino al 1683.
A Roma, ospite di Flavio Chigi, entrò in contatto con intellettuali e scienziati del circolo del cardinale e insegnò medicina e anatomia alla Sapienza: era riuscito, grazie al suo promotore Michelangelo Ricci e a Filippo Nerli, a ottenere la cattedra ‘straordinaria e soprannumeraria’. Nell’esercizio dell’incarico, si distinse per essere il nemico giurato dei salassi e si fece non pochi nemici tra i colleghi per la formulazione di audaci analogie tra Ippocrate e Democrito e di riflessioni moderne e antiaristoteliche, seppure spesso non in linea con le tesi galileiane.
Fece parte dell’Accademia degli Sfaccendati e poi, insieme a Borelli e a Stefano Grandi, dell’Accademia fisico-matematica. In quegli anni partecipò inoltre alla redazione del Giornale de’ Letterati. Nel 1674, a casa del cardinale Chigi fece alcuni esperimenti nel vuoto e nel 1679 costruì una fonte intermittente al fine di confutare la teoria di Plinio sull’intermittenza delle acque, tema assai dibattuto a Roma in quegli anni. Frequentò, insieme a Borelli ma in qualità di letterato e non di medico, anche il salotto di Cristina di Svezia, cui dedicò il suo Erasistratus sive de sanguinis missione del 1682.
L’anno seguente decise di abbandonare Roma per via delle tensioni interne all’Accademia e, soprattutto, per l’ostilità con Giovanni Giustino Ciampini nonché per via dei problemi legati al suo stipendio in Sapienza: era dieci volte inferiore a quello percepito dai medici del papa e della regina di Svezia. In settembre, dopo che si era concluso, con scarso successo, un tentativo di entrare allo Studio di Padova, giunse a Venezia dove, presso l’Accademia fisico-matematica di Paolo Sarotti, condusse altri esperimenti nel vuoto e pronunciò due discorsi sul tema della respirazione che vennero pubblicati nel 1697. Porzio considerava la respirazione un fatto meccanico, la digestione un fenomeno di fermentazione e separazione, la febbre l’alterazione del movimento del cuore e del sangue, i tumori un impedimento al flusso del sangue o di altre sostanze liquide: riteneva l’azione del medico una mera opera di ripristino delle strutture e dei rapporti fisici alterati dell’organismo vivente.
Nell’aprile del 1684 intraprese un viaggio verso l’Impero alla ricerca di un’occupazione stabile che Venezia non sembrava potergli garantire. Dopo una lunga tappa a Innsbruck raggiunse Vienna, dove visse tra il 1685 e il 1689: a quest’epoca risale l’opera De militis in castris sanitate tuenda (1685). Tornò definitivamente a Napoli nel 1688 e insegnò per un anno nel seminario dell’arcivescovado.
Nel 1694 partecipò con esito negativo a un concorso per la cattedra primaria di medicina vacante in seguito alla morte di Carlo Pignataro; conseguì poco dopo, senza concorso, la cattedra di anatomia, che tenne dal 1696 – anno in cui da supplente vi fu nominato ordinario dal viceré Medinacoeli – al 1715. Nel 1698 prese parte alla solenne inaugurazione dell’Accademia Palatina, voluta dal duca di Medinacoeli: Porzio e Antonio Monforte rappresentavano la linea di continuità con la tradizione investigante e fino al 1701 partecipò all’Accademia insieme a Giambattista Vico, Pietro Giannone, Giuseppe Valletta e Domenico Cirillo e ad altri intellettuali partenopei.
Porzio fu un’autorità indiscussa per la nuova generazione di intellettuali napoletani; poco dopo la sua morte, Vico lo definì «l’ultimo filosofo italiano della scuola di Galileo» (Vita di Giovambattista Vico scritta da se medesimo 1725-28, in Opere, a cura di P. Rossi, Milano 1959, p. 37), ma secondo Maurizio Torrini, Nicola Badaloni ed Ettore Lojacono, in Porzio il riferimento a Cartesio è evidente. Tra le sue ultime opere: le Lettere e discorsi accademici diretti a Marzio Pacheco Carafa Colonna (Napoli 1701) e il De motu corporum nonnulla (1704), opera che contiene gli elementi più significativi della gnoseologia investigante, ma soprattutto un serrato confronto con la meccanica di Galileo e di Cartesio. Oltre a Vico, furono suoi discepoli Agostino Ariani, Gregorio Caloprese e Tommaso Donzelli.
Morì a Napoli nel 1724.
Opere. Del sorgimento de’ licori nelle fistole aperte d’ambidue gli estremi, ed intorno a molti corpi che tocchino la lor superficie, Venezia [Napoli] 1667; In Hippocratis librum De veteri medicina paraphrasis, Roma 1681; Erasistratus sive de sanguinis missione, Roma 1682; Dissertationes variae, Venezia 1684; De militis in castris sanitate tuenda,Vienna 1685; Discorsi accademici intorno alla respirazione, in A. Bulifon, Lettere memorabili istoriche, politiche, ed erudite, II, Napoli 1697, pp. 178-215; Lettera a D. Diego Vincenzo de Vidania, ibid., IV, Napoli 1698, pp. 193-205; Lettere e discorsi accademici, Napoli 1701; Opuscula et fragmenta varia, Napoli 1701; De motu corporum nonnulla et de nonnullis fontibus naturalibus, Napoli 1704; Lettere e discorsi accademici, Napoli 1711; Lettere al Sig. Nicola Cacciapuoto, in P.M. Doria, Giunta al suo libro Del moto e della meccanica, Augusta 1712, pp. 49-51; Opera omnia medica, philosophica et mathematica, I-II, Napoli 1736.
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