SCALETTI, Luca
– Nacque a Faenza, da Sebastiano (non si conosce, invece, il nome della madre), anch’egli pittore (su cui v. A. Tambini, Pittori faentini della prima metà del Cinquecento, in Storia delle arti figurative a Faenza, V, Il Cinquecento. Parte prima, a cura di A. Colombi Ferretti et al., Faenza 2015, pp. 153-170), in data imprecisata, ma forse non prima del 1510.
Non si hanno notizie di Scaletti in patria negli anni di gioventù e di formazione, che poté avvenire nella bottega del padre, e le prime informazioni ci giungono invece da Mantova, dove egli operò come collaboratore di Giulio Romano nei cantieri promossi da Federico II Gonzaga, duca di Mantova dal 1530. Il primo documento mantovano è del 5 gennaio 1531 (Giulio Romano, 1992, p. 350), e nel complesso la documentazione archivistica copre pochi anni: fino al 13 giugno 1538 (ibid., p. 777). Già nell'aprile del 1531 egli è ricordato con il soprannome di Figurino (ibid., p. 367), forse a ragione della sua abilità nel dipingere su scala minuta. Al principio degli anni Trenta diverse carte d’archivio attribuiscono l’esecuzione di gran parte delle grottesche realizzate nei cantieri di Giulio Romano ai pittori Luca da Faenza e Girolamo da Pontremoli, ai quali doveva spettare un ruolo, sostanzialmente subordinato, di decoratori (Belluzzi, 1998, p. 166). In pochi anni Scaletti risalì parecchi gradini nella gerarchia della bottega, affiancando già nel 1533 Benedetto Pagni e Rinaldo Mantovano nel dipingere figure grandi (ibid., pp. 195 s.); ignoriamo se Scaletti si sia cimentato anche nell’arte dello stucco, per quanto nel rilievo di Meribaal davanti a David, nella loggia di Davide in palazzo Te, compaia la scritta «LUCHA D F» (ibid., p. 420).
Figurino è largamente documentato nelle decorazioni di palazzo Te a Mantova, ma anche nei lavori in Castello, nell’ottobre del 1531 (ibid., pp. 449 s.); quanto a compensi, egli risulta tra gli artisti meglio pagati, nella squadra giuliesca. È in palazzo Te che documenti d’archivio gli riferiscono con precisione un ruolo e opere ancora esistenti, dalle quali possiamo desumere le sue capacità e il suo stile. Un documento del 7 ottobre 1534 asserisce che Luca dipinse «cinque quadri in frescho colorite in cinque fenestre finti nel cortillo», «la volta a otti facie d’un camarino apresso la camara de li Giganti», «un quadro de grotescha nel camarino facto in chrociera», «tri mezzi tondo, over gualandrini, sotto li archi de la logia granda, ne li quali sono dipinti dui figuri di Davit che amacia dui animali, e queli de mezzo è depinto como una arma come festoni e putini colorite in frescho» e ancora «una faciata del zardino sechreto, qualla è depinta d’una prospetiva de coloni lavorate de foliami e de varie giardini, arbori e paiesi e figuri e fondani»: Scaletti dipinse tutto ciò, oltre a dare un aiuto nei paesaggi della camera dei Giganti, dall’ottobre del 1533 al settembre del 1534 (ibid., p. 638).
Su questo documento s’appuntano i tentativi della critica di isolare gli interventi del pittore ed enuclearne lo stile (Carpi, 1918-1920 [1921]; Hartt, 1958, pp. 96, 150 nota 55, 152). Nel camerino delle grottesche e nelle ampie figurazioni della loggia di Davide, Scaletti dipinse graziose figurine o grandi figure caratterizzate da un uso sordo del colore e da un incarnato terroso, scarsamente o nulla incline a tonalismi e cangiantismi.
Un documento del 10 dicembre 1534 ricorda anche che Luca ricevette denaro per aver dipinto «in due sofiti che sono a dui camarini de la illustrissima signora duchessa in castelo, facti di novo, dove è il pogio grando de dicto castelo», nonché «per haver lavorato ad una persona nota a lo illustrissimo signor nostro» (Giulio Romano, 1992, p. 641). Luca potrebbe essere stato impegnato nelle pitture della palazzina realizzata e decorata per la duchessa Margherita Paleologina, a ridosso del castello di S. Giorgio.
Le pitture di epoca giuliesca della palazzina della Paleologa sono quasi tutte perdute (l’edificio fu demolito nel 1899), tranne quelle del camerino delle Stagioni, ma ci rimangono fortunatamente alcune fotografie del cosiddetto camerino delle Dee, e lo stile delle pitture sembra compatibile con quanto di Scaletti ci rimane in palazzo Te. L’artista scompare poi nuovamente dalle fonti mantovane per oltre tre anni, fino al maggio del 1538, ma le fonti stesse non coprono integralmente quel lasso di tempo. Scaletti trascorse probabilmente un periodo lontano dalla capitale del ducato gonzaghesco e tornò in patria, a Faenza, dove il 29 gennaio 1536 s’impegnò a dipingere per i camaldolesi di S. Giovanni Battista la pala dell’altar maggiore, il Battesimo di Cristo ora nella Pinacoteca comunale (Valgimigli, 1869; Casadei, 1991). Il dipinto risente fortemente dello stile di Giulio Romano, e i panneggi degli angeli sulla destra mostrano solide analogie con i perduti affreschi del camerino delle Dee. Il fatto che i camaldolesi allogassero la tavola a Sebastiano «pro et vice et nomine Luce eius filij», «sicut constare et apparere dicitur in quodam cartono per dicum Lucam ostenso», lascia pensare che Luca all’epoca fosse minorenne e che non avesse quindi compiuto i venticinque anni. Scaletti compare ancora a Faenza il 9 ottobre e il 15 dicembre 1536 (Grigioni, 1935, p. 711).
Nel 1538 Scaletti era a Mantova e in maggio era impegnato, con Fermo Ghisoni e Rinaldo Mantovano, nelle pitture della sala di Troia in palazzo ducale. È citato in relazione alla volta, in fase di completamento, ma anche a una «fazada, qual certo è belissima», e nuovamente al «cielo di la volta over all’altra testada, come parerà a messer Iulio»; infatti il 23 maggio «à datto principio a disignare il cartone di l’altra testada» (Giulio Romano, 1992, pp. 758-762).
Nonostante il lusinghiero commento («è belissima»), a firma del segretario ducale Aurelio Recordati, Scaletti portò a esasperazione Giulio Romano, il quale lamentò come il faentino «s’è del tutto partito da me, in modo ch’io non voglio mai più far allievo alcuno» (ibid., p. 766). Il 25 maggio Figurino cominciò «a depinger per testa verso le finestre che guarda sopra il giardino» (ibid., p. 767), e il 2 giugno era ancora al lavoro (p. 772), ma il 13 giugno risultava ammalato (p. 777).
Si suppone, a partire dagli studi di Piera Carpi (1918-1920 [1921], pp. 64 s.; ma anche Hartt, 1958, p. 180), che a Scaletti spettino la parete sud, con le storie di Paride, la parete est, con Aiace Oileo fulminato, nonché la volta e una parte del fregio di battaglia raffigurante il salvataggio di Enea, ma il documento del 25 maggio sembra riferirgli piuttosto la scena di Achille vestito delle armi, sulla parete ovest.
La ricostruzione del catalogo dell’artista parte dalle lunette della loggia di Davide e dal faentino Battesimo su tavola del 1536, caratterizzato da anatomie quasi gracili, affusolate e un po’ incerte, da incarnati terrosi e da colori opachi, anche nei panneggi. Queste specificità si ravvisano nelle figure dipinte in una tavola proveniente, con ogni probabilità, da uno dei camerini dell’appartamento di Troia (la camera delle Teste?): il Giove, Nettuno e Plutone si dividono a sorte le parti dell’universo, della Fondazione Romano Freddi, ora in palazzo ducale a Mantova (L’Occaso, 2012, p. 18).
Tra le decorazioni giuliesche dell’appartamento di Troia in palazzo ducale, è stata riferita a Scaletti la Caduta di Icaro dipinta su tela per il soffitto della camera dei Cavalli (Berzaghi, 1989, p. 394), ambiente nel quale si lavorava nell’autunno del 1536; il dipinto, databile quando Scaletti era probabilmente a Faenza, sembra piuttosto riferibile a Fermo Ghisoni, altro collaboratore di Giulio (L’Occaso, 2012).
È stato proposto a Giulio e Luca in collaborazione l’Ulisse e Nausicaa di collezione Cocchi a Milano, che farebbe parte della decorazione del camerino dei Falconi (Berzaghi, 1989, p. 440). È possibile spetti a Scaletti la Minerva e Cupido della Galleria nazionale d’arte antica di Roma, destinata al medesimo camerino (ibid., p. 396; L’Occaso, 2012, p. 18).
Non sembra spettare a Scaletti il Tarquinio e Lucrezia di collezione privata, passato in asta nel 1996 come opera della scuola di Giulio Romano (Tambini, 2008, p. 40), ma verosimilmente non anteriore alla metà del secolo.
Si ignora la data di morte dell’artista, e l’ultimo documento utile è del 13 giugno 1538, quando Giulio Romano scrisse che «Figurino è stato neccessario lassarlo medicare perché dice el suo medico non serria più al tempo, et fra doi dì cominzarà a ognersi et provare delli frutti de lo amore de tante belle donne» (Giulio Romano, 1992, p. 777); non si può escludere che egli sia in effetti morto in seguito a complicazioni della malattia (L’Occaso, 2012, p. 15). In ogni caso, Giorgio Vasari (1550, 1984, p. 81) afferma già nell’edizione Torrentiniana delle sue Vite che Luca morì prima di Giulio Romano (1546), e le informazioni confluite in quella edizione furono reperite per lo più durante il passaggio per Mantova avvenuto nel 1541.
Si è ipotizzato che Scaletti sia stato il maestro di Giovan Battista Armenini (Gorreri, 1988), ma ciò è poco probabile, poiché questi dovette nascere nel 1533; inoltre, nulla dello stile dell’uno sembra passato all’altro, e Armenini stesso tace di Scaletti.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite (1550), a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, V, Firenze 1984, pp. 81 s.; G.M. Valgimigli, Dei pittori e degli artisti faentini de’ secoli XV e XVI, Faenza 1869, pp. 78-80; P. Carpi, Giulio Romano ai servigi di Federico II Gonzaga, in Atti e memorie della Reale Accademia Virgiliana di Mantova, XI-XIII (1918-1920 [1921]), pp. 26, 28, 63-65; C. Grigioni, La pittura faentina dalle origini alla metà del Cinquecento, Faenza 1935, pp. 710-713; F. Hartt, Giulio Romano, New Haven 1958, ad ind.; M. Gorreri, Introduzione, in G.B. Armenini, De’ veri precetti della Pittura, a cura di M. Gorreri, Torino 1988, p. XIV; R. Berzaghi, in Giulio Romano (catal., Mantova), Milano 1989, pp. 394, 396, 440, 446; S. Casadei, Pinacoteca di Faenza, Bologna 1991, p. 7; Giulio Romano. Repertorio di fonti documentarie, a cura di D. Ferrari, Roma 1992, ad ind.; A. Belluzzi, Palazzo Te a Mantova, Modena 1998, ad ind.; A. Tambini, Modelli, repliche e inediti nella pittura di Luca, Francesco, Barbara Longhi, in Romagna arte e storia, XXVIII (2008), 82, pp. 15-40; S. L’Occaso, La Caduta di Icaro in Palazzo Ducale a Mantova: Luca da Faenza o Fermo Ghisoni? Note critiche dopo il restauro, Mantova 2012, p. 24; J. Koering, Le Prince en représentation. Histoire des décors du palais ducal de Mantoue au XVIe siècle, Paris 2013, passim; S. L’Occaso, Castello di San Giorgio. La Collezione Freddi (catal., Mantova), Milano 2015, p. 24.