PACIOLI, Luca
PACIOLI, Luca. – Nacque a Sansepolcro (allora Borgo Sansepolcro), presso Arezzo, attorno al 1446-48, da Bartolomeo, piccolo allevatore e coltivatore, e da Maddalena di Francesco di Matteo Nuti da Villa Fariccio.
Tradizionalmente riferita agli anni 1445-50, in base alle notizie autobiografiche disseminate nelle sue opere, la data di nascita di Pacioli è stata precisata solo di recente. Nuovi documenti, infatti, hanno consentito di circoscriverla tra l’ottobre 1446 e l’ottobre 1448 (Ulivi, 2009).
«Fu de la famiglia de Paciuoli ignobile per quanto mi credo e di poco splendore» scrive Bernardino Baldi tra le prime righe della biografia di Pacioli (Boncompagni, 1879, p. 421). Nuovi documenti, aggiunti ai pochi noti, hanno fatto luce anche sulla famiglia (Ulivi, 2009). Il nonno, Paciolo di Bartolo, era vivente nel 1412. Il padre, Bartolomeo (fine sec. XIV-1459), ebbe quattro fratelli (Antonio, Simone, Ciolo e Francesca) e sposò Maddalena Nuti nel 1427. Dall’unione nacquero quattro figli; prima di Luca, Antonio (morto giovane), Ginepro e Ambrogio. Questi ultimi vestirono l’abito francescano, al pari di Luca: un semplice frate Ambrogio, e maestro in teologia, invece, Ginepro, che fu anche guardiano del convento di S. Francesco a Borgo Sansepolcro tra il 1472 e il 1473. Francescani del convento di Borgo Sansepolcro furono anche Ambrogio e Ginepro figli di Pietro di Ulivo di Simone Pacioli. Niccolò, figlio dello zio Simone Pacioli, fu monaco camaldolese e priore prima della chiesa di S. Stefano di Farneto, quindi di S. Lucia di Ancona. Furono parenti di Luca gli uomini d’arme Benedetto, detto Baiardo, e Francesco Pacioli, ambedue morti a Ragusa (Dalmazia), come lo stesso Pacioli afferma (Divina proportione, Trattato dell’architettura, c. 23v).
Dopo la morte del padre (1459) Luca fu affidato alla famiglia di Folco di Giovanni di Canti Bofolci e dei figli Piergentile e Conte. La famiglia Bofolci viene rammentata nei tre testamenti di Pacioli, redatti rispettivamente a Venezia il primo (9 novembre 1508, Archivio di Stato di Venezia, Testamenti, busta 786, ins. 201) e a Borgo Sansepolcro gli altri due (2 febbraio 1510, Archivio di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 17712, ins. 231; 21 novembre 1511, ibid., 6938, cc. 130r-131r). Folco di Conte Bofolci vi è nominato esecutore testamentario.
Trasferitosi a Venezia alla metà degli anni Sessanta, Pacioli entrò al servizio di Antonio Rompiasi, mercante alla Giudecca, occupandosi anche dell’educazione dei di lui figli: Bartolomeo, Francesco e Paolo. A essi, nel 1470, dedicò un perduto trattatello di algebra e aritmetica. Luca, infatti, aveva approfondito nel frattempo lo studio della matematica alla celebre Scuola di Rialto, seguendo l’insegnamento di Domenico Bragadin (circa 1447 - post 1500). Durante un primo soggiorno a Roma, tra gli anni 1470 e 1471, entrò in rapporto con Leon Battista Alberti.
Con Alberti – «nostro co(m)patriota […] con lo quale più e più mesi ne l’alma Roma, al te(m)po del pontifice Paulo Barbo da Vinegia, in p(ro)prio domicilio con lui a sue spesi sempre ben tractato, homo certamente de grandissima perspicacità e doctrina i(n) humanità e rethorica, comme apare pel suo alto dire ne la sua op(er)a de architectura […]» (Divina proportione, Trattato dell’architettura, c. 29v) – Pacioli dovette trovarsi in particolare sintonia per i comuni interessi nei confronti della geometria e dei ‘ludi’ matematici. Era stato attraverso lo studio della geometria, infatti, che Alberti si era avvicinato all’architettura, diventando tra i maggiori architetti del Quattrocento, e la geometria e le proporzioni avrebbero condotto Pacioli a scrivere di architettura.
Dopo aver vestito l’abito francescano e successivamente a un non documentato soggiorno urbinate, Pacioli fu chiamato allo Studio di Perugia, città dove stette dall’ottobre 1477 (iniziando l’insegnamento in novembre) al giugno 1480. Durante questo primo soggiorno (sarebbe tornato a insegnare nella città umbra dal maggio 1487 all’aprile 1488, nel 1500 e, forse, nel 1510) compose un trattato di aritmetica e algebra dedicato «Suis carissimis discip(u)lis, egregiis clarisq(ue) juvenibus perusinis nec no(n) cet(er)is quibuscu(m)q(ue) auditoribus dig(n)issimis eiusde(m) civitatis auguste» e conservato dal cod. Vat. lat. 3129 della Biblioteca apostolica Vaticana (Boncompagni, 1879, pp. 428-430; Calzoni - Cavazzoni, in L. P., 1998).
Ricordato nella Summa (Distinctio V, Tractatus I, f. 67rv) come compilato nel 1476, il codice vaticano informa, invece, di essere stato iniziato il 12 dicembre (verosimilmente del 1477) e concluso il 29 aprile 1478 (f. 2r). Con molta probabilità la stesura è proceduta almeno sino al 1480 (Derenzini, in L. P., 1998). In gran parte autografo e in volgare – i fogli risultano vergati in caratteri mercanteschi – il manoscritto ha perduto i fascicoli relativi all’algebra e consta, attualmente, di 367 fogli. L’opera si compone di 17 parti con 800 questioni alle quali sono aggiunte una descrizione di «molte e diverse monete» e una rassegna sulle tariffe mercantili. Nel complesso il trattato, che si inserisce nella tradizione abachistica quattrocentesca, comporta l’applicazione della matematica all’arte della mercatura.
Lasciata Perugia, Pacioli si trasferì a Zara dove, nel 1481, compilò un’ulteriore opera matematica non pervenutaci e, dopo un nuovo soggiorno perugino (dal 1486) e un incarico «nel degno gimnasio de Napoli» tra il 1488 e il 1489 (Mancini, 1916) – nella città partenopea conobbe Giangiacomo Trivulzio, Pier Vettori e Giovanni Pontano (Summa, Epistola dedicatoria, c. 2v; Divina proportione, Trattato dell’architettura, c. 24v) – nel 1489 trascorse un secondo periodo di insegnamento a Roma (vi avrebbe fatto ritorno nel 1508 e nel 1514-15). Qui ebbe modo di frequentare l’ambiente dei Della Rovere. Nel palazzo di Giuliano, cardinale di S. Pietro in Vincoli e futuro papa Giulio II, «nostro p(ro)tectore», Fra Luca mostrò a Guidubaldo da Montefeltro alcuni modelli («le forme materiali») dei cinque poliedri regolari (o platonici, in quanto descritti nel Timeo): tetraedro, esaedro, ottaedro, icosaedro e dodecaedro, «con asai adornezze […]. E insiemi con q(ue)lli vi foron molti altri da ditti regulari depe(n)denti, quali fabricai p(er) lo Revere(n)do mo(n)segnor meser Piero de Valetarii de Genoa, dignissimo vescovo de Carpe(n)tras […]» (Summa, Parte seconda, De corporibus regularibus, c. 68v).
Dallo stesso Pacioli (Divina proportione, Trattato dell’architettura, c. 28v) sappiamo che realizzò altre tre serie di poliedri: per Ludovico Sforza, Galeazzo Sanseverino e Pier Soderini. Il suo interesse per i poliedri fu costante nel corso degli anni ed è ben manifestato dall’intera sua produzione scientifica, prendendo le mosse, a evidenza, sia dallo studio del XIII libro degli Elementa di Euclide – trattato che commentò durante i soggiorni napoletano e veneziano (1508), tradusse (la traduzione non è stata sinora rintracciata, per quanto excerpta si trovino nella Summa: Folkerts, in L. P., 1998) e pubblicò nel 1509 – sia dai tempi del verosimile alunnato con Piero della Francesca, da lui lodatissimo (della prospettiva «a li tempi nostri monarca»: Divina proportione, Trattato dell’architettura, c. 23r). Significativamente il ritratto in compagnia di un allievo, forse Guidubaldo da Montefeltro, dubitativamente attribuito a Jacopo de’ Barbari (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte, Collezione Farnese), mostra Pacioli in abito francescano mentre illustra su una lavagna un teorema di Euclide, il cui trattato è appoggiato su un tavolo assieme a un ligneo dodecaedro (poliedro regolare); un pendente, vitreo rombicubottaedro (poliedro semiregolare o archimedeo), per metà ripieno d’acqua e sulle cui facce per tre volte è riflesso e rifratto il palazzo ducale di Urbino, sembra librarsi a mezz’aria. D’altro canto una corposa sezione dell’Abaco (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Codice Ashburnham 359*; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Conventi soppressi, A.6.2606) e l’intero Libellus de quinque corporibus regularibus (Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 632) di Piero compaiono rispettivamente nella Summa (Particularis tractatus circa corpora regularia et ordinaria, cc. 68v-74r) e nella Divina proportione (Libellus in tres partiales tractatus divisus quinque corporum regularium dependentium, cc. 1-27). Peraltro il Libellus latino di Piero è pubblicato da Pacioli in traduzione volgare (lo stesso frate afferma di aver eseguito anche un compendio, non pervenutoci, del De prospectiva pingendi di Piero: Divina proportione, Trattato dell’architettura, c. 23r). Se Piero della Francesca nell’Abaco e poi nel Libellus per primo aveva conferito forma stereometrica ai poliedri (Dalai Emiliani,1984), per quanto tracciati con sole linee e punti (in proiezioni ortogonali e in assonometria: Di Teodoro, in Piero della Francesca, II, 1995), Pacioli li ha riprodotti pedissequamente e con meno rigore nelle xilografie del Libellus volgare, ma ha dotato i tre dodecaedri di c. 70r del De corporibus regularibus (Summa, Particularis tractatus) di ombre che li rendono volumetrici e di altre che simulano un piano d’appoggio (Dalai Emiliani, 1984). All’«ineffabile senistra mano» di Leonardo si devono, invece, i prototipi dei 60 disegni (solo 59 nell’opera a stampa) di poliedri policromi «plani», «abscisi» ed «elevati», «solidi» e «vacui» riprodotti nei due codici, milanese e ginevrino, della Divina proportione, datati 1498 (Milano, Biblioteca Ambrosiana, mss., E. 170 sup; Genève, Bibliothèque publique et universitaire, mss., Langues étrangères n. 210).
Rientrato a Borgo Sansepolcro nel 1491, Pacioli vi stette sino al 1493. Dopo un breve soggiorno a Padova e un probabile secondo a Urbino, si portò di nuovo a Venezia, nel 1494, per curare l’edizione della Summa (dedicata a Guidubaldo da Montefeltro), la sua opera più nota, alla quale aveva iniziato a lavorare attorno al 1487-88 (Folkerts, in L. P., 1998).
La Summa de arithmetica geometria proportioni et proportionalità è divisa in due parti: l’una, la più ampia, riservata all’aritmetica, l’altra, decisamente più breve, alla geometria. L’opera si apre con la dedica a Marco Sanuto, seguita da un epigramma di Fa. Pompili indirizzato al lettore, quindi dalla dedicatoria, in latino e in volgare, a Guidubaldo da Montefeltro. A un sommario degli argomenti complessivamente trattati segue una tavola della prima parte (aritmetica), che si divide in nove distinctiones, ciascuna delle quali è ripartita in tractatus, il cui numero varia per ciascuna distinctio. Tra le più significative, la Distinctio sexta riguarda De proportionibus et proportionalitatibus, mentre la Distinctio septima inerisce a De regulis helcataym que vulgo due false positiones nuncupantur. Al commercio è dedicata la Distinctio nona. Se i tractatus da I a X si occupano, per esempio, De societatibus, De barattis sive commutationibus, De cambiis, De salariis famulorum, di particolare momento sono i tractatus XI e XII. Il primo, De scripturis (Ciani, in L. P., 1998), diffonde, tra l’altro, il metodo tenuto dai veneziani per la contabilità e, in specie, quella pratica che oggi diciamo della ‘partita doppia’; il secondo, Tariffa, è copia del Libro che tracta de mercatantie et usanze de’ paesi, opera pubblicata anonima a Firenze nel 1481. La seconda parte (geometria) ha numerazione autonoma ed è divisa in otto distinctiones, a loro volta ripartite in capitula. La Distinctio octava è suddivisa in casus, numerati da 1 a 100, ed è in gran parte copia del Tractato di praticha di geometria (Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Palat. 577) attribuito a Maestro Benedetto (Picutti, 1989); da c. 68v a c. 74r, invece, la trattazione del Particularis tractatus circa corpora regularia et ordinaria è excerptum pierfrancescano dal Trattato d’Abaco. Il problema «del modo a far li stagiuoli e tavola de scemi in ogni luogo», e una tavola della seconda parte, «[…] dove se tratta de geometria i(n) tutti li modi theorica e pratica» chiudono l’opera.
La Summa, che si occupa in particolare delle proporzioni, con un’ampia trattazione della matematica di base e il richiamo continuo alla teoria – il che la distingue nettamente dalla tradizione abachistica, essenzialmente applicativa – è l’opera di Pacioli che ebbe maggiore risonanza nel XVI secolo: fu, infatti, fra i trattati di matematica, il più studiato e il più criticato. In apertura Fra Luca denuncia le sue fonti («E queste cose tutte con le sequenti siranno secondo li antichi e ancora moderni mathematici. Maxime del perspicacissimo phylosopho megarense, Euclide, e del Severin Boetio e de’ nostri moderni Leonardo pisano, Giordano, Biagio da Parma, Giova(n) Sacrobusco e Prodocimo padoano, da’ quali in magior p(ar)te cavo el presente volume»: Summa, Summario della prima parte principale, c. n.n.), ma non tutte: mancano, per esempio, quelle dalle quali attinge a piene mani o che plagia, in particolare manca il nome di Piero della Francesca per il Libellus e l’Abaco. Notevole è la presenza della dedicatoria nella doppia redazione latina e volgare a un unico destinatario: un esempio importante di autotraduzione (Santoyo, 2012), che si colloca sulla stessa lunghezza d’onda di analoghe soluzioni nel primo Decennale (1504) di Niccolò Machiavelli, nell’Universal vocabulario (1490) di Alonso de Palencia e nelle due opere lessicografiche (1492 e 1495) di Antonio Elio de Nebrija (comunicazione orale di Lucia Bertolini). Molto significativo è l’uso del volgare, così nella Summa come nelle altre opere principali pacioliane (eccezion fatta per gli Elementa). È lo stesso Pacioli che dichiara nell’epistola dedicatoria di voler scrivere in «materna e vernacula lengua», cioè nel volgare borghese. Tuttavia la componente locale è infarcita di settentrionalismi (Mattesini, in L. P., 1998), dovuti anche ai numerosi spostamenti che segnarono l’intera vita di Fra Luca. Stanti tali caratteristiche Bernardino Baldi definì il volgare di Pacioli «[…] barbaro, irregolato, rozo et infelice, che rende nausea à quelli che leggono le cose sue […]» (Boncompagni, 1879, p. 424).
Il più intenso dei soggiorni di Pacioli fu quello milanese. Certamente era a Milano prima dell’ottobre 1496. Vi rimase fino al 1499, quando, a seguito dell’invasione francese, lasciò la città assieme a Leonardo da Vinci. A Milano frequentò il colto e stimolante ambiente della corte di Ludovico Sforza, in qualità di lettore di matematica. Lì conobbe Leonardo e Donato Bramante (se già non aveva conosciuto quest’ultimo a Urbino). Il sodalizio con il grande di Vinci si concretò nella realizzazione dei poliedri in prospettiva per il Compendio della Divina proportione, di cui, come già ricordato, si conoscono due soli manoscritti (dedicati rispettivamente a Ludovico Sforza e a Giangaleazzo Sanseverino) dei tre che, si sa, furono eseguiti (il terzo, perduto, era dedicato a Pier Soderini). Durante gli anni milanesi insegnò anche allo Studio di Pavia (1498).
La Divina proportione, stampata a Venezia nel 1509, comprende cinque componimenti poetici, la dedicatoria a Pier Soderini, un’epistola di Daniele Gaetani ad Andrea Mocenigo, un glossario inerente ai poliedri, la Taula de la presente opera, l’epistola dedicatoria a Ludovico Sforza, a cui seguono il Compendium de Divina proportione, Pars Prima, il Trattato dell’architettura, Pars Secunda, e il Libellus in tres partiales divisus q(ui)nq(ue) corpor(um regularium et depe(n)dentiu(m) dedicato a Pier Soderini e diviso in quattro trattati (traduzione in volgare del Libellus di Piero della Francesca). Seguono: una tavola relativa al trattato d’architettura, la costruzione delle lettere capitali, la tavola con la Porta Speciosa, 59 tavole con i poliedri, numerate da I a LIX intervallate da due tavole architettoniche poste tra le tavole XIII e XIV, l’Arbor proportio et proportionalitas.
Sin dal titolo Pacioli proclama che il trattato è destinato «a tutti gl’ingegni perspicaci e curiosi»; in esso gli studiosi di «philosophia, prospectiva, pictura, sculptura, architectura, musica e altre mathematice» conseguiranno «suavissima, sottile e admirabile doctrina» oltre che trovare diletto «co(n) varie questione de secretissima scientia». Se la trattazione, in specie nelle due prime opere, il Compendium e il Trattato dell’architettura, risulta infarcito di rinvii ai testi sacri e al Timeo platonico, tuttavia Pacioli non perde mai di vista l’applicazione pratica.
Nel Compendium, concluso nel 1498, si tratta del rapporto aureo: una proporzione «sancta e divina» (capp. VI-VII) e dei suoi effetti (capp. XI- XXII), passando, poi, a discutere dei cinque poliedri regolari e di altri da essi dipendenti, per i cui rapporti dimensionali tra le parti e la circumsfera interviene la sezione aurea. Notevole è l’osservazione (citando Sap. 11, 20), un secolo prima di Galileo, della fallacia dei modelli architettonici se si intende da essi far dipendere anche la firmitas (Di Pasquale in L. P., 1998) perché gli edifici così costruiti «no(n) che a mill’a(n)ni ariva(n)o, na(n)çe al terço ruina(n)o» (cap. LIIII, c. 16).
Il Trattato dell’architettura è dedicato ad alcuni discepoli di Borgo Sansepolcro «degni lapicidi, de scultura e architectonica facultà solertissimi sectatori» (c. 23r). È dimostrabile che le citazioni dal De architectura di Vitruvio sono tratte dall’editio florentina, 1496, data che costituisce, perciò, un terminus post quem per la redazione del trattato. Fra Luca, che intende affrontare le proporzioni del corpo umano e quelle degli ordini architettonici, rinvia ad altra occasione di discettare compiutamente di architettura, perché, citando Petrarca (Trionfi, Trionfo d’amore, IV, 88), la ritiene «materia da coturno e no(n) da sioco» (la citazione compare già nel Compendio, c. 21v, in relazione ai corpi regolari). Nel trattatello i fraintendimenti vitruviani sono in parte quegli stessi verificabili nei trattati di Francesco di Giorgio, mentre la terminologia è spesso quella del De re aedificatoria di Alberti (Bruschi, 1978). Pacioli sembra essere, infatti, tra i pochi (con lui certamente Leonardo) ad averla accolta (latastro, orbicolo…). Le incomprensioni inerenti all’ordine dorico e, in specie, al fregio a metope e triglifi sono senz’altro giustificabili: verosimilmente, Fra Luca non dovette aver visto gli edifici bramanteschi romani (il tempietto di S. Pietro in Montorio, il cortile del Belvedere), i primi in cui il fregio dorico è conforme all’ordine. Significativa è la presenza nel trattato di tavole architettoniche, le prime in assoluto a stampa. Con il rinvio all’utilità delle iscrizioni negli edifici e, in particolare, nei piedistalli delle colonne, Pacioli include nel corpus grafico, prima delle tavole con i poliedri, una spettacolare serie di 23 lettere capitali, l’«alphabeto dignissimo antico», costruite geometricamente ricorrendo alle seste e alla squadra.
Lasciata Milano in compagnia di Leonardo, Pacioli raggiunse Firenze passando per Mantova. Nel 1500 insegnò di nuovo a Perugia, ma nell’autunno di quello stesso anno ritornò a Firenze dove stette sino al 1506 (dal 28 luglio 1505 risiedette nel convento francescano di S. Croce), insegnando allo Studio pisano (dal 1497 trasferito da Pisa a Firenze). Durante il soggiorno fiorentino insegnò anche allo Studio di Bologna (1501-02).
A Isabella d’Este, che l’aveva accolto assieme a Leonardo, dedicò il trattatello De ludo scachorum dicto Schifanoia, che, ritenuto perduto, è stato rinvenuto nel 2006 nella raccolta della Fondazione Palazzo Coronini Cronberg di Gorizia.
Probabilmente iniziato nel periodo milanese, del De ludo scachorum dette notizia lo stesso Pacioli nel De viribus quantitatis, c. 2r. È rammentato anche nell’elenco di opere di cui Fra Luca, in una supplica al doge Leonardo Loredan del 19 dicembre 1508, chiede il privilegio di stampa (Archivio di Stato di Venezia, Collegio, Notatorio, reg. 16, cc. 34v-35r; Boncompagni, 1879, pp. 431 s.). Il manoscritto si compone di 48 carte che ospitano schemi di gioco.
Preceduto, è presumibile, da un breve soggiorno a Roma, ospite del cardinale Galeotto Franciotti della Rovere (1471-1507) – o forse a Mantova (Ulivi, 2009) –, Pacioli si trasferì, per la terza e ultima volta, a Venezia. L’11 agosto 1508 nella chiesa di S. Bartolomeo tenne una prolusione sul V libro degli Elementa di Euclide alla presenza di notabili, confratelli e alte personalità delle scienze e delle arti (Nardi, 1963; Black, 2013), tra cui Fra Giovanni Giocondo veronensis antiquarius (che nel 1511 avrebbe stampato la prima edizione illustrata del trattato di Vitruvio), Bernardo Bembo, Aldo Manuzio, Pietro Lombardo, Vannoccio di Paolo Biringuccio, il cosmografo Francesco Rosselli (Elementa, c. 31rv). Nella già ricordata supplica del 19 dicembre 1508 elencò le opere da lui composte, la cui stampa voleva tutelare. Tra esse, oltre alla Summa, alla Divina proportione, al De ludo scachorum, «Tutti li quindici libri de Euclyde, zoè Arithmetica, Geometria, proportio(n)e et p(ro)portionalità […] un’op(er)a detta de viribus q(uan)titatis, zoè de le forze que(m)dam miraculose de’ nu(mer)i et q(uan)tità co(n)tinua, […]». La Divina proportione e gli Elementa di Euclide furono pubblicati nel 1509, mentre il De viribus quantitatis rimase inedito.
L’Euclidis megarensis philosophi acutissimi mathematicorumq(ue) omnium sine controversia principis Op(er)a a Campano interprete fidissimo tra[ns]lata consta della dedicatoria a Francesco Soderini «tituli Sanctae Susanne presbitero Cardinali Voleterrano», di un epigramma di Daniele Gaetani, un’epistola di Daniele Gaetani a Daniele Rainerio patricio veneto e di un’epistola di Francesco Massari a Giacomo Cocco. Seguono i 15 libri degli Elementa con le varie propositiones accompagnate dalle correzioni e dai commenti del castigator. Il quinto libro è introdotto dalla prolusione di Pacioli dell’11 agosto 1508 «in ecclesia Sancti Bartholomeis Venetiis» (cc. 30r-31v), accompagnata dall’elenco dei più importanti partecipanti, tra i quali «Reverendi sacre teologie professores» e «medici illustres» e conclusa da un’epistola di Isidoro Bagnoli «apostolorum praesul et Serenissimi Principis ca(n)cellarius». Per quanto Bartolomeo Zamberti avesse pubblicato nel 1505 una traduzione latina dal greco dell’opus di Euclide, Pacioli ripubblicò, con i suoi commenti, l’editio princeps (Venezia 1482), curata da Giovanni Campano (1220-1296), basata su una traduzione in latino dall’arabo di Adelardo di Bath (circa 1080-circa 1152).
Il De viribus quantitatis è conservato dal cod. 250 della Biblioteca Universitaria di Bologna. Redatto tra il 1496 e il 1508-09 (Agostini, 1924; Marinoni, 1987), costituisce una vasta raccolta di giochi matematici e si compone di un sommario, di una lettera dedicatoria a un destinatario anonimo, di un prologo nonché del testo diviso in tre parti (Boncompagni, 1879; Agostini, 1924). La prima parte si occupa delle «forze numerali cioè de arithmetica», comportando 81 «effecti», cioè esercizi aritmetici nei quali entrano in gioco identità numeriche, progressioni, proprietà dei numeri interi. La seconda parte, «della virtù et forza geometrica», presenta 134 «documenti», cioè problemi geometrici e giochi di carattere fisico-meccanico, seguiti da «documenti morali utilissimi, commo proverbii» ed altri soggetti secondari. La terza parte tratta «della forza et virtù naturale nel scrivere» ed è un insieme di giochi, indovinelli, ricette. Nonostante l’assenza di grandi novità matematiche, il De viribus quantitatis costituisce una sintesi di quanto prodotto relativamente ai giochi sino al primissimo Cinquecento (Montebelli, in L. P., 1998).
Pacioli fu di nuovo chiamato a insegnare a Perugia nel novembre 1510, trasferendosi, quindi, nel 1514 a Roma, dove venne a contatto con un clima culturale molto vivace, stimolato da Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, eletto papa nel 1513 col nome di Leone X. Nonostante i tanti spostamenti mantenne continui rapporti con la città natale, dove è più volte documentato tra il 1491 e il 1493, nel 1497, nel 1499, nel 1500, nel 1503, nel 1506, alla fine del 1509, nel 1510, nel 1512, nel 1513 e, infine, nell’agosto 1514 (Ulivi, in L. P., 1994 e 2009). Godette di benefici ecclesiastici elargitigli nel 1496 e di privilegi conferitigli nel 1508. Il 26 maggio 1504 fu eletto ministro provinciale di Romania e il 22 febbraio 1510 fu nominato commissario del convento francescano di Borgo Sansepolcro.
Morì a Borgo Sansepolcro (o forse a Roma), tra il 15 aprile e il 20 ottobre 1517.
Colto, in relazione con i maggiori ingegni e artisti dei suoi tempi, influenzato dal neoplatonismo ficiniano, grande divulgatore delle scienze matematiche in tutte le declinazioni (cogliendone anche gli aspetti esoterici), Pacioli riunì nelle sue opere la summa del sapere matematico occidentale. Come nessun altro seppe sfruttare le possibilità della stampa che, oltre a procurargli fama, diffuse i suoi scritti che diventarono, così, il punto di partenza per le ricerche successive (Giusti - Maccagni, in L. P., 1994).
Opere. De divina proportione: a) Ginevra, Bibliothèque publique et universitaire, mss. Langues étrangères, n. 210; b) Milano, Biblioteca Ambrosiana, mss. E. 170 sup (pubbl. in facsimile con pref. di A. Marinoni, Milano 1986); De ludo scachorum dicto Schifanoia, Gorizia, Biblioteca della Fondazione Palazzo Coronini Cronberg (pubbl., Sansepolcro 2007); De viribus quantitatis, Bologna, Biblioteca Universitaria, mss. 250 (pubbl. a cura di M. Garlaschi Peirani e prefaz. di A. Marinoni, Milano, Ente Raccolta Vinciana, 1997; facsimile a cura di F. Honsell - G.T. Bagni, Sansepolcro 2009); Trattato di aritmetica e algebra, Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 3129 (pubbl. a cura di G. Calzoni - G. Cavazzoni, Perugia 1996); Summa de Arithmetica Geometria Proportioni et Proportionalità […] Con spesa e diligentia e opfitio del prudente homo Paganino de Paganini da Brescia, Nella excelsa cità de Vinegia […] Negli a(n)ni de nostra salute MCCCLXLIIII, a dì 10 de nove(m)bre (2a ed., Tuscolano sul Garda 1523); Divina proportione Opera a tutti gl’ingegni perspicaci e curiosi necessaria […] Venetiis Impressum per probum virum Paganinum de Paganinis de Brixia … Anno Redemptionis nostre MDVIIII, k(a)len. Iunii, Leonardo Lauretano Ve. Rem. Pu. Gubernante, Pontificatus Iulii II Anno VI; Euclidis megarensis philosophi acutissimi mathematicorumq(ue) omnium sine controversia principis Op(er)a a Campano interprete fidissimo tra[ns]lata […] Lucas Paciolus theologus insignis […] iudicio castigatissimo detersit […] Venetiis impressum per probum virum Paganinum de Paganinis de Brixia […] Anno redemptionis nostre MDVIIII K(a)len. XI Iunii, Leonardo Lauretano Ve. Re. Pu. gubernante, Pontificatus Iulii II anno VI; Tractatus de Computis et Scripturis, versione in italiano a cura di V. Gitti, Torino 1878; A. Rossi, Alphabeto dignissimo antico di Luca Pacioli, testi di L. Montagna - E. Pirani, facsimile, Milano 1960; De divina proportione, a cura di A. Bruschi, trascrizione di A. Masini, in Scritti rinascimentali di architettura, a cura di A. Bruschi et al., Milano 1978, pp. 23-144; De Divina proportione, introd. di A. Marinoni, disegni di Leonardo da Vinci, Milano 1986; Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità, Roma 1993;Trattato di partita doppia (Venezia, 1494), ed. critica a cura di A. Conterio, introd. e commento di B. Yamey, nota filologica di G. Belloni, Venezia 1994; Piero della Francesca, Libellus de quinque corporibus regularibus, corredato della versione volgare di Luca Pacioli, Firenze 1995 («Edizione nazionale degli scritti di Piero della Francesca», I); Gli scacchi di Luca Pacioli. Evoluzione rinascimentale di un gioco matematico, con due saggi di A. Bartoli Langeli ed E. Mattesini, Sansepolcro 2007.
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