MONTUORI, Luca
MONTUORI, Luca. – Nacque ad Avellino il 18 febbraio 1859 da Nicola e da Tommasina Soldutti, in una famiglia che non poteva vantare precedenti militari illustri.
Dopo l’infanzia trascorsa in Irpinia, entrò all’Accademia di Torino il 1° ottobre 1878 e ne uscì due anni dopo sottotenente d’artiglieria.
Quale appartenente all’arma ‘dotta’ per eccellenza le strade che gli si prospettavano erano sostanzialmente due: quella di specializzarsi nell’impiego della propria arma e di transitare nel ruolo tecnico, oppure quella di entrare nello stato maggiore per cercare di segnalarsi nell’azione di comando. La prima alternativa gli consentiva una carriera sicura ma spesso ingrata e scarsa di soddisfazioni, la seconda apriva prospettive realmente interessanti solo in caso di conflitto. Montuori ebbe pochi dubbi nell’optare per quest’ultima strada. Tratto tipico della sua personalità militare furono la durezza nel comando e la severità verso se stesso e gli altri. Difficilmente discusse gli ordini ricevuti, o si permise anche solo di interpretarli, e quasi mai accettò incertezze nei suoi subordinati. Anche se difettava di originalità concettuale, non era privo di cultura e a ogni gradino importante della sua carriera si costruì una solida preparazione tecnico-professionale.
Nel 1889 entrò alla scuola di guerra, da cui passò al corpo di stato maggiore, completando la formazione come ufficiale di fanteria. In occasione dei moti di Milano del 1898, quando era maggiore, gli fu conferita una medaglia d’argento per il suo intervento contro i dimostranti. Promosso tenente colonnello nel dicembre 1901, lavorò all’Istituto geografico militare, per diventare quindi titolare di logistica alla scuola di guerra e passare poi nel 1907 a Berlino quale addetto militare. Il 3 febbraio 1907 fu promosso colonnello, restando in servizio presso il corpo di stato maggiore; solo nel 1910 assunse il comando del 50° reggimento fanteria «Parma», con cui l’anno dopo partì per la Tripolitania.
Restò in Libia anche nei due anni successivi, promosso maggior generale nel giugno 1912, meritando la croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia (16 marzo 1913) per il comando della brigata mista nella battaglia di Zanzur (8 giugno 1912) e poi quella di ufficiale del medesimo ordine (28 dicembre 1913) per la battaglia di Assaba e la successiva avanzata su Nalut.
Richiamato in Italia, comandò la brigata «Pisa» e nel 1914 la III brigata alpina, per assumere all’inizio del 1915 il comando della scuola di guerra. Gli si apriva per la prima volta l’opportunità di dare un proprio indirizzo a un ente molto prestigioso, ma con una impostazione rigida e dottrinale. Tuttavia non poté nemmeno iniziare l’impresa, perché lo scoppio del conflitto lo vide subito trasferito al fronte alla testa della brigata «Parma», che guidò fino al 3 giugno 1915. I precedenti di carriera lo destinavano infatti a un comando superiore e ai primi di giugno, con la promozione a tenente generale, gli venne assegnata la 10ª divisione, impegnata in Cadore nel settore Padola-Visdende.
Mantenne tale comando fino al 1° dicembre successivo, quando assunse quello della 4ª divisione, da mesi impegnata sul Sabotino, nel tentativo di conquistare quella fortezza naturale ritenuta prendibile in poche ore alla scuola di guerra ma che dall’inizio del conflitto aveva logorato senza alcun successo molte delle migliori unità della fanteria. Il 23 maggio 1916 lasciò la divisione per assumere il comando del XX corpo d’armata, con il quale combatté per i 15 mesi successivi sull’Altopiano dei Sette Comuni. Contribuì ad arrestare l’offensiva austriaca, condusse la controffensiva e combatté nell’estate 1917 l’attacco che avrebbe dovuto ridare all’Italia la sicurezza alle spalle dell’esercito operante sull’Isonzo e che invece naufragò nel massacro dell’Ortigara.
La sua azione di comando fu contrassegnata da un notevole livello di brutalità e da un’assoluta mancanza di scrupoli. Ordini improntati alla scarsissima considerazione per la vita dei suoi subordinati provocarono infatti la morte di parecchi comandanti di brigata e innumerevoli richieste di provvedimenti di esonero. L’azione a tratti sconsiderata di siluramento dei comandanti al fronte, se ebbe in Cadorna il maggior responsabile, trovò in Montuori uno degli esecutori più zelanti, spesso anche oltre le intenzioni del capo di stato maggiore. Montuori non subì tuttavia alcuna conseguenza dalla sua azione infruttuosa, ricavandone anzi la commenda dell’Ordine militare di Savoia (28 dicembre 1916) e una seconda medaglia d’argento.
Il 23 agosto 1917 venne richiamato sul Carso al comando del II corpo d’armata, dove rimase – ferito sulla Bainsizza – fino al 12 ottobre 1917, prendendo parte alla XI battaglia dell’Isonzo. In questa data assunse il comando interinale della 2ª armata, in sostituzione del titolare Luigi Capello, costretto al ricovero ospedaliero. Nelle fasi cruciali di questo comando la sua acquiescenza agli ordini e alle illusioni di Cadorna costò alla sua unità perdite gravissime sotto il profilo numerico ed esiziali sotto quello morale. La mancata denuncia delle responsabilità di Pietro Badoglio a Caporetto gli valse poi l’appoggio del nuovo comando supremo, che lo destinò al comando della 6ª armata sull’Altopiano dei Sette Comuni. Mantenne questo incarico fino al termine della guerra e, in una zona che conosceva molto bene, sostenuto da ottimi collaboratori, combatté più che egregiamente la battaglia del Solstizio, infrangendo fin dal primo giorno ogni velleità offensiva del generale austriaco Franz Conrad. Concorse quindi all’offensiva finale, con un’azione che ebbe il merito di tagliare la via della ritirata alla maggior parte delle forze che lo fronteggiavano.
Lasciò il comando dell’armata, alle cui dipendenze aveva avuto notevoli aliquote di forze francesi e inglesi, il 1° luglio 1919 con il titolo di cavaliere di gran croce, attribuitogli il 24 maggio 1919 per l’intera azione esercitata al comando di truppe interalleate. Il clima politico del dopoguerra e gli echi di Caporetto oscurarono i successi dell’ultimo anno di guerra, provocando anche la messa a disposizione di Montuori nel 1919. L’avvento al potere del fascismo mutò decisamente la situazione e nel febbraio 1923 tornò in auge, fu promosso generale d’armata e incluso nel Consiglio d’esercito.
All’interno di questo organismo, fedele alla sua impostazione, mantenne un profilo defilato e decisamente conservatore: fu così tra gli oppositori del nuovo ordinamento destinato ad ammodernare l’esercito proposto dal generale Antonino Di Giorgio. Nei quattro anni successivi restò al comando d’armata e nel 1927 fu collocato in soprannumero. Il 12 maggio 1928, con la presentazione di Carlo Petitti di Roreto, arrivò la nomina a senatore del Regno. Sopravvisse alla fine del fascismo e al secondo conflitto mondiale senza mai assumere posizioni di rilevanza sulla scena nazionale. Aderì però alla Repubblica sociale italiana (RSI) e di conseguenza venne fatto decadere da senatore il 31 luglio 1945. Contro quest’ultimo provvedimento avanzò poi, senza successo, istanza di ricorso.
Fu sposato dapprima con Annina Fano e quindi con Carlotta Margherita Beyerle.
Morì a Genova l’8 marzo 1952.
Fonti e Bibl.: Poiché non lasciò contributi storiografici o memorialistici di rilievo né raccolse in modo sistematico il materiale documentario di una vita trascorsa sotto le armi, mancano fondi documentari raccolti sotto il nome di Montuori. Manca anche la possibilità di attingere, almeno presso enti e istituzioni pubbliche, a carteggi o materiale di interesse privato. Su di lui si vedano: G. Casoni, La guerra italo-turca 29 settembre 1911-18 ottobre 1912…, Firenze 1914, pp. 135-137; L. Capello, Note di guerra, II, Milano 1920, pp. 154, 166, 243; G. Baj Macario, La “Strafexpedition”. L’offensiva austriaca del Trentino, Milano 1934, pp. 400-405; Id., Giugno 1918, Milano 1934, pp. 46 s., 162, 172, 190, 204; R. Bencivenga, Saggio critico sulla nostra guerra, II, La campagna del 1916, La sorpresa di Asiago e quella di Gorizia, Roma 1935, pp. 149-151, 159-163, 178; G. Rochat, Il colonialismo italiano, Torino 1973, ad ind.; V. Gallinari, L’esercito italiano nel primo dopoguerra 1918-1920, Roma 1980, pp. 10, 23; L. Tuccari, I governi militari della Libia (1911-1919), Roma 1994, I, pp. 88, 100; P. Pozzato, Condottieri e silurati: gli esoneri dei comandi superiori durante l’offensiva del Trentino, in 1916 - La Strafexpedition, a cura di V. Corà - P. Pozzato, Udine 2003, pp. 69-71; G. Rochat, L’esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini, Bari 2006, pp. 65, 362, 400 s., 479 s.; G. Pieropan, Ortigara 1917: il sacrificio della 6ª armata, Milano 2007, ad ind.; Enc. militare, V, sub voce.