MARTINI, Luca
– Nacque a Firenze, nella parrocchia di S. Marco, il 18 febbr. 1507, da Angelo di Guglielmo e da Elena di Filippo Bracciolini, nipote del celebre umanista Poggio Bracciolini. Fu battezzato il 20 dello stesso mese. Dei due fratelli minori a lui sopravvissuti, Giovanni e Carlo, il primo fu suo collaboratore a Pisa. Un terzo fratello, Guglielmo, fu tra i fuoriusciti antimedicei sconfitti da Cosimo I a Montemurlo (2 ag. 1537) e fu dichiarato ribelle il 26 ag. 1541.
Il M. fu di famiglia abbiente se si presta credito a un gustoso episodio che vide per involontario protagonista Annibale Caro, che nel suo Commento di ser Agresto (Roma 1539) riferì l’aneddoto di due Martini, fratelli fiorentini: uno, scialacquatore, che in una notte per un banchetto spese ben 500 scudi, l’altro, avarissimo, che pensò di emularlo comprando per due monete una schiacciatina e un paniere di fichi brogiotti. Caro non pose mente al fatto che i due Martini potessero essere, come erano, rispettivamente padre e zio del M. e dovette scusarsi con lui per l’involontaria offesa arrecata.
Sui primi decenni di vita del M. non si hanno notizie. Di sicuro si legò per tempo a una serie di personaggi fiorentini con cui ebbe stretto commercio nella maturità: Benedetto Varchi, Ugolino Martelli, Piero Vettori, Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca, Giovan Battista Gelli, Giorgio Vasari, Agnolo Tori detto il Bronzino (l’amico più intimo tra gli artisti), Niccolò Pericoli detto il Tribolo, Giovambattista Del Tasso, Iacopo Carucci detto il Pontormo, Baccio Bandinelli, Francesco da Sangallo, Paolo Geri; parimente precoci dovettero essere i rapporti con esponenti di spicco della cultura oltre i confini cittadini, quali Caro, Pietro Bembo, Pietro Aretino, Michelangelo Buonarroti, Luigi Alamanni, Francesco Maria Molza. Nel 1535 era al fianco di Benvenuto Cellini, gravemente ammalato, e lo fece curare dal celebre medico Francesco Catani. Tra le personalità frequentate dal giovane M. erano non pochi oppositori dei Medici, primo fra tutti Varchi, che nel 1537 abbandonò Firenze per rifugiarsi a Padova, Venezia e poi Bologna. Non è certo se il M. abbia seguito Varchi a Padova nel suo esilio, almeno temporaneamente, ma fu lui che custodì le carte e i libri dell’amico espatriato, col quale restò in stretto contatto epistolare. Varchi gli dedicò il Trattato delle proporzioni e proporzionalità, scritto negli anni padovani. A Firenze il M. vantava tuttavia amicizie strette anche tra i più fedeli collaboratori del nuovo duca di Firenze Cosimo I, quali Pier Francesco Riccio, Alessandro Del Caccia, Bartolomeo Panciatichi, Lelio Torelli, cosa che gli consentì di ottenere credito e di divenire col tempo uno degli uomini di fiducia del principe.
Nel 1539 chiese a Caro una canzone da eseguire in occasione delle imminenti nozze di Cosimo con Eleonora de Toledo (il Sacro imeneo). I rapporti tra Caro e il M. erano fitti e confidenziali: nel 1539 fu al M. che il letterato spedì 200 copie dell’edizione del Commento di ser Agresto, perché le vendesse o ne facesse dono agli amici comuni a Firenze. In quegli anni il M., insieme con Riccio e Gelli, come riconobbe Varchi stesso, si adoperò presso Cosimo per il ritiro del bando contro Varchi. Alla fine del 1542 si recò a Bologna e si trattenne presso l’amico, caduto ammalato, fino ai primi dell’anno successivo (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 1170, c. 162r: il M. a Riccio, 19 febbr. 1543), appena prima che Varchi rientrasse a Firenze nel marzo: senza dubbio il viaggio bolognese del M. aveva lo scopo di superare gli ultimi ostacoli al ritorno del letterato in patria.
Nei primi anni del principato di Cosimo il M. non sembra assolvere alcun ruolo politico e la sua attività si svolse all’interno della vita culturale e artistica. Mise insieme una raccolta di proverbi toscani che interessò anche Caro (Caro, I, p. 278) e, soprattutto, fu uno dei fautori dell’Accademia degli Umidi (fondata il 1° nov. 1540), di cui divenne membro nel dicembre. Alla fine di gennaio 1541 il M., insieme con Francesco Guidetti e Carlo Lenzoni, fu chiamato a coadiuvare Cosimo Bartoli, Del Caccia, Lorenzo Benivieni e Panciatichi nella redazione dei nuovi statuti dell’Accademia, che dovevano rendere l’istituzione più conforme alla volontà di Cosimo, a cominciare dal nome che di lì a poco fu mutato in Accademia Fiorentina. Il M., amico del Lasca e del gruppo originario degli Umidi, si trovò in difficoltà nell’Accademia rinnovata e rimase in contatto con i padri fondatori, che non sembravano accettare del tutto le direttive ducali. Fu legatissimo a Varchi e continuò a essere un punto di riferimento nella fitta rete di relazioni e di scambi culturali che legavano i fiorentini di dentro con i concittadini sparsi tra Padova, Venezia e Roma. Con la riforma dell’Accademia Fiorentina del 4 marzo 1547 il M. fu tra gli esclusi, insieme con molti suoi amici: Grazzini, Geri, Migliore Visino, Cellini, Lorenzo Lenzi, il Bronzino. Non è semplice spiegare il suo allontanamento. Se nelle ultime vicissitudini del sodalizio si era trovato tra coloro che larvatamente si opponevano al controllo dell’Accademia da parte del principe, egli però continuava a essere intrinseco con alcuni dei più autorevoli collaboratori di Cosimo; inoltre proprio in questo momento fu chiamato dal duca a svolgere importanti funzioni.
Già alla metà del 1546 era stato investito dell’incarico di dirigere in qualità di provveditore della Muraglia i lavori per la costruzione del mercato Nuovo di Firenze. Di lì a poco lasciò Firenze per assumere a Pisa la triplice carica di provveditore dei Fossi, delle Galere e delle Fortezze. L’incarico pisano conferma il nuovo ruolo cui fu chiamato il M., come uomo di fiducia di Cosimo con mansioni di carattere squisitamente gestionale e direttivo, per la realizzazione di un programma centrale per la linea di governo del principe.
Cosimo era fermamente deciso a migliorare l’assetto economico e demografico del Valdarno inferiore, facendo di Pisa il centro propulsore di un vasto territorio destinato a essere un polo di sviluppo dello Stato fiorentino. Inoltre, alla fine degli anni Quaranta, Cosimo poteva ragionevolmente pensare a una politica marinara attiva e dinamica installandosi nell’isola d’Elba e a Piombino. Anche a questo proposito Pisa era chiamata a una funzione essenziale, come base logistica della nascente flotta ducale. Il 29 apr. 1547 nacque a Pisa il nuovo Magistrato et Officio dei fossi voluto da Cosimo per dare avvio a una vasta opera di risanamento e valorizzazione del territorio pisano. Il M. fu il primo provveditore. La sua attività è ben documentata dalle lettere che egli indirizzò con grande frequenza a Cosimo in massima parte, e talora a Ricci, a Torelli, a Cristiano e Lorenzo Pagni. Sono missive nelle quali egli espone le necessità inerenti al suo incarico ed esprime il suo parere sulla situazione dei vari settori in cui è chiamato a intervenire. I compiti affidati al M. erano infatti molteplici: come provveditore del Magistrato dei fossi doveva non solo dirigere e organizzare tutti i lavori necessari per regolare le acque della pianura pisana, scavando nuovi canali o risistemando quelli esistenti, ma anche provvedere al riassetto del tessuto urbano, degradato dagli anni della guerra con Firenze (1494-1509). Nelle vesti di provveditore delle Fortezze il M. coordinò i lavori intrapresi a Portoferraio per irrobustire le difese, si occupò delle forniture necessarie al rafforzamento di Piombino e di Livorno. Infine cadde sotto la sua responsabilità anche l’organizzazione della flotta medicea che aveva a Pisa il cantiere delle galere.
La vita del M. negli anni pisani fu intensa e movimentata, non priva di disagi, sostenuta dalla coscienza integerrima del valore politico della sua opera, come emerge esplicitamente dalle sue lettere. Pur muovendosi come un tecnico di fronte ai problemi (spesso le sue missive sono accompagnate da disegni da lui stesso eseguiti), non si ritenne mai solo tale, ma sempre un fedele e scrupoloso esecutore delle direttive e dei programmi del principe. A conferma di ciò rifiutava con sdegno compensi che gli venivano proposti talvolta dalle comunità per i suoi interventi, dichiarando che la sua opera faceva parte dei doveri verso il duca per i quali era già remunerato.
Nell’ottobre-dicembre 1552 il M. andò a Genova con un duplice obiettivo: procurare a Cosimo prestiti per la guerra di Siena e assumere informazioni sulla cantieristica navale. Ospite di Adamo Centurione nella sua villa di Pegli, di cui il M. lascerà una descrizione entusiastica in un capitolo in terza rima, il M. rientrò a Pisa avendo conseguito entrambi gli scopi. Pur intensamente preso dai suoi uffici, non lasciò cadere gli interessi culturali e artistici. Nel 1548 collazionò ancora una volta, in maniera estremamente diligente, l’edizione aldina del 1515 della Commedia dantesca, lavoro in cui si era già cimentato, tra lo scorcio del 1546 e i primi del 1547, a Pieve di San Gavino nel Mugello con Varchi, Alessandro Menchi, Camillo Malpigli, Guglielmo di Noferi Martini, e che dette per risultato «più di duecento luoghi che mutarono sentenzia» (Firenze, Biblioteca nazionale, Carte Rinuccini, 21, n. 24). Il M. aveva una antica e consolidata passione per il poema dantesco: a Pieve di San Gavino erano stati impiegati sei antichi codici, di cui ben tre erano di proprietà del M., il quale – come afferma Varchi nelle sue Due lezzioni… (pubblicate a Firenze nel 1549) –, redasse inoltre uno scritto per stabilire le esatte dimensioni dell’Inferno, oggi non identificato. Anche il Ritratto di sei scrittori toscani (1543) di G. Vasari, dove Dante appare seduto al tavolo, circondato da Petrarca, Boccaccio, Guido Cavalcanti, Cristoforo Landino e Marsilio Ficino, sembra essere stato suggerito, nella sua composizione figurativa, dal Martini.
Negli anni pisani il M. sviluppò una cospicua azione di committenza promuovendo giovani artisti. Alla fine del 1547 o agli inizi del 1548 fece giungere a Pisa, nella sua casa sul Lungarno, Pierino da Vinci, conosciuto quando era a bottega del Tribolo, e nel frattempo trasferitosi a Roma. A Pierino procurò varie commesse, tra le quali spiccano la statua della Dovizia, posta sulla colonna di piazza dei Cavoli (attuale piazza Cairoli), un bassorilievo marmoreo che raffigura Pisa risollevata da Cosimo, una statua di Sansone e un bassorilievo in bronzo che rappresenta la morte del conte Ugolino Della Gherardesca e dei suoi figli, opera che conferma gli interessi danteschi del Martini. Al principio del 1553, morto Pierino, chiamò a Pisa Stoldo Lorenzi, altro giovane della bottega del Tribolo che restò con il M. per sei anni. A Stoldo affidò l’esecuzione di una statua per la duchessa Eleonora de Toledo e di un bassorilievo marmoreo raffigurante Cosimo tra Arno e Arbia con tutte le città dello Stato fiorentino e di quello senese che rendono omaggio al duca. Il gusto del M. per i bassorilievi rivela una sua attitudine particolare per questo genere artistico, nel quale si compenetrano pittura e scultura, superando di fatto un’antica diatriba, sulla quale nel 1547 era intervenuto anche Varchi con le lezioni Sul primato delle arti, non a caso dedicate al Martini. Il M. chiese alcune opere per Pisa anche al Bronzino e alla sua bottega, e fu il Bronzino a creare il modello iconografico con cui lo stesso M. fu raffigurato in vari ritratti: oltre a quello più noto certamente di mano del maestro (Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti), in cui srotola una mappa dove sono disegnati con straordinaria precisione i canali e i fossi che percorrono la pianura pisana a nord della città, un altro, probabilmente di scuola (Faenza, Pinacoteca comunale), con un cesto di frutta tra le mani, simbolo dell’abbondanza procurata dalla sua opera agli abitanti di Pisa. Dell’esistenza di altri ritratti si hanno notizie indirette.
A Pisa il M. si occupò pure degli affari privati del duca e della duchessa. Seguì l’affitto di loro possedimenti, la vendita dei raccolti o l’acquisto di grani, la distribuzione di elemosine. I principi si rivolgevano a lui anche per i compiti più riservati, come quello richiestogli da Cosimo nel 1551 di sorvegliare la condotta di Giulio de’ Medici, a Pisa per frequentare lo Studio (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 403, c. 82r). Il completo allineamento del M. sulle posizioni di più rigida e disciplinata conformità politica e ideologica verso il principe è confermato da almeno un paio di episodi. Quando Paolo Del Rosso, agli inizi degli anni Cinquanta, dal carcere cercò il suo aiuto, il M. non manifestò reazione alcuna. Più tardi, nel 1558, a una lettera di Ugolino Martelli, amico di gioventù, che gli chiedeva appoggio per rientrare a Firenze, il M. reagì inviando la carta a Cosimo, accompagnata da uno scritto nel quale esprimeva, in forma durissima, tutta la sua avversione per le posizioni politiche e religiose del vecchio amico.
Il M. morì a Pisa il 9 genn. 1561 dopo una breve malattia e fu sepolto in S. Marco l’11 gennaio. Lasciò tutti i suoi beni ai fratelli Giovanni e Carlo.
La sua morte fu compianta da Varchi e dai numerosi amici in una raccolta obituaria (Firenze, Biblioteca nazionale, Mss., II.VIII.140: Cento sonetti sopra la morte di messer L. M.), ma la scomparsa del M. fu avvertita come una grave perdita anche dal governo ducale, perché, come scrisse il segretario Lorenzo Pagni, «sarà difficultà di trovarne un altro che sia al proposito su quelle faccende di Pisa» (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 487, c. 626r). Cosimo, consapevole che nessuno era in grado di addossarsi tutte le cariche del M., su suggerimento di Antonio Dei Nobili stabilì che il provveditorato delle Galere e quello dei Fossi fossero cariche separate.
Tra gli scritti editi del M. sono da segnalare una Lettera a ser Lodovico ***, in Lezioni su Dante e prose varie di Benedetto Varchi…, a cura di G. Aiazzi - L. Arbib, II, Firenze 1841, pp. 73-77; i capitoli burleschi all’amico fiorentino M. Visino e sulla villa di A. Centurione si leggono ne Il secondo libro delle opere burlesche di m. Francesco Berni, del Molza, di m. Bino…, Londra 1724, pp. 267-279, 280-283; la Informazione sulla Gusciana (1549), a cura di A. Malvolti, in Memorie sul Padule di Fucecchio (secoli XVI-XVII)…, a cura di A. Malvolti - G. Micheli - A. Prosperi, Fucecchio 1990, pp. 9-23.
Fonti e Bibl.: Le numerose carte del M. sono in gran parte nell’Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato (cfr. Carteggio universale di Cosimo I de’ Medici, Firenze 1990-2004, IV, V, VII, VIII, IX, X, ad indices); Carte strozziane, Serie I, 95; 302, cc. 147r-168r (edite senza attribuzione in V. Borghesi, Guerra e commercio nell’evoluzione della marina genovese tra XV e XVII secolo, in Miscellanea storica ligure, II [1970], pp. 157-194); Otto di pratica del principato, 94, 199; Soprassindaci e sindaci, 1; Ufficiali della grascia, 191, c. 250r; Notarile antecosimiano, 18675 (1560-61), cc. 489v-491v (testamento); Notarile moderno, 1965, cc. 4v-9v (atto di vendita dei beni del M. a Pisa stipulato dai fratelli Carlo e Giovanni, copie in Arch. di Stato di Pisa, Ordine di S. Stefano, 1116, c. 147; 1118, cc. 169r-170v); Arch. di Stato di Pisa, Ufficio dei fossi, 67, 68, 98; Firenze, Biblioteca Marucelliana, Mss., A.XVI; Ibid., Arch. dell’Opera di S. Maria del Fiore, Battesimi, Maschi, anni 1501-11, c. 88r; B. Cellini, La vita, a cura di G. Davico Bonino, Torino 1973, pp. 190 n., 279-285; Il carteggio di Michelangelo. Edizione postuma di Giovanni Poggi, a cura di P. Barocchi - R. Restori, IV, Firenze 1979, pp. 157 s.; V, ibid. 1983, pp. 95, 225; Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte dai più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII, a cura di G. Bottari - S. Ticozzi, Milano 1822, I, pp. 93-97, 103; III, pp. 206-208; IV, pp. 76 s.; Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV, XV, XVI, a cura di G. Gaye, Firenze 1840, II, p. 276; III, pp. 13 s., 46; B. Varchi, Opere…, II, Trieste 1859, pp. 852, 858 s.; G. Vasari, Le vite (1568), a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1906, pp. 119-132; Id., Il libro delle ricordanze, a cura di A. Del Vita, Roma 1938, p. 45; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, I, Firenze 1957, pp. 50 s., 59 s., 149 s., 153-157, 277 s.; II, ibid. 1959, p. 26; G. 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