Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Luca Marenzio è forse il più importante compositore del secondo Cinquecento: negli ultimi decenni del secolo le sue musiche furono prese a modello in tutta Europa, e le metamorfosi del suo stile rappresentano esemplarmente le vicende dell’ultima, meravigliosa stagione del madrigale polifonico.
Luca Marenzio nasce nel 1553 (o forse nei primi giorni del 1554) a Coccaglio, fra Brescia e Bergamo, in un paese in cui, come racconta un libro di itinerari del 1670, “si veggono colli, monti, e valli ornate di belle contrade, con Ville e Castelli, molto abitate da popoli industriosi […] ne’ quali si raccoglie gran copia di frumento, miglio e d’altre biade, con vino d’ogni maniera, et oglio, et altra frutta”.
Marenzio condivide la medesima sorte storiografica della maggioranza dei musici rinascimentali: abbiamo infatti scarsissime notizie della sua infanzia, della giovinezza e della formazione musicale. Essendo quasi inesistenti le informazioni d’archivio, bisogna rifarsi al profilo biografico scritto da Ottavio Rossi (in Elogi historici di bresciani, 1620), secondo il quale la sua famiglia sarebbe stata “di bassa e povera conditione”, e Luca sarebbe stato preso come fanciullo cantore presso la cappella musicale del duomo di Brescia sotto la guida di Giovanni Contino. Altri documenti attestano che Marenzio aveva una bella voce; e anche il magistero di Contino sembrerebbe confermato dal fatto che Luca è stato al servizio del cardinale di Trento Cristoforo Madruzzo, presso il quale lo stesso Contino ha lavorato infatti a più riprese presentandolo come il suo giovane e geniale allievo. Prima del 1574 sembra comunque che Luca abbia prestato servizio, presumibilmente in veste di cantore, anche presso il duca di Mantova.
Nel 1577 viene pubblicata la prima composizione di Marenzio, un madrigale incluso nella raccolta collettiva Il primo fiore della ghirlanda musicale. Ma è dal 1578 che cominciano le prime notizie documentabili con certezza; da quell’anno infatti Marenzio compare fra gli stipendiati del cardinale Luigi d’Este, fratello di Alfonso II, duca di Ferrara, Modenae Reggio. Al servizio del cardinale resterà ininterrottamente fino a quando questi morirà (1586). Al seguito del cardinale, Marenzio soggiorna prevalentemente a Roma e a Tivoli, ma lo segue anche nelle sue visite alla nativa Ferrara. Il salario (cinque scudi al mese) non è particolarmente alto, ma è adeguato a un impegno professionale abbastanza leggero che permette a Luca di esercitare il suo talento fuori dalla cerchia del cardinale, dove è molto ricercato e ben remunerato.
Nel 1580 Marenzio pubblica il primo libro di Madrigali a cinque voci, opera fortunatissima che godrà di un numero straordinariamente alto di ristampe nei decenni successivi, e che ha un ruolo decisivo quanto insolito nello stabilire la sua fama internazionale (raramente un’opera prima ha così saldo e duraturo successo). Nella raccolta si manifesta quello stile arioso ed eufonico che diventerà la cifra marenziana per eccellenza; uno stile caratterizzato da un morbido ed elegante contrappunto alternato ad affettuosi passi accordali, e da una dolce e sensuale bellezza. Esemplari di questo stile sono le intonazioni del madrigale di Battista Guarini Tirsi morir volea (un testo imbevuto di erotismo languido e carnale) e di Liquide perle (ritenuto modello di eleganza dai suoi stessi contemporanei).
A questo primo libro segue un rapidissimo e quasi prodigioso susseguirsi di pubblicazioni: nel 1581 il secondo libro di Madrigali a cinque (dove compare un pezzo radicalmente cromatico, O voi che sospirate a miglior note), e il primo libro di Madrigali a sei voci, anch’essi prodotti commercialmente molto fortunati; nel 1584 il secondo libro di Madrigali a sei, il quarto a cinque, una raccolta di Madrigali spirituali, e il primo libro delle Villanelle a tre voci. Ma il culmine è raggiunto nel 1585, quando vengono pubblicati il quarto libro di Madrigali a cinque, il terzo a sei, il primo (e unico) libro di Madrigali a quattro, una raccolta di Mottetti a quattro voci, il secondo ed il terzo libro delle Villanelle a tre. Nel 1587 escono ancora il quarto libro di Madrigali a sei, e il quarto e il quinto libro delle Villanelle a tre.
Dopo la morte del cardinale cominciano gli approcci (peraltro tentati anche in anni precedenti) da parte dei principi italiani per accaparrarsi questo giovane genio di successo. La principale trattativa, poi caduta nel nulla, avviene con la corte di Mantova. Grazie al relativo carteggio, sappiamo che Marenzio “è solito spendere qua in Roma più di 200 scudi l’anno oltre le spese” – una bella cifra davvero, che dimostra in quale conto la musica fosse tenuta nell’Italia cinquecentesca – e come a Luca non mancassero le occasioni per sfruttare economicamente la sua meritata fama (nel 1608 Claudio Monteverdi, lamentando in una lettera la propria scarsa remunerazione, valuterà gli introiti di Marenzio e di altri musici famosi in cinquecento scudi l’anno).
Nel 1588 Marenzio pubblica un libro compositivamente importante, ma di scarso successo commerciale: la raccolta di Madrigali a quattro, cinque e sei voci. Nella dedica al conte veronese Mario Bevilacqua (grande figura di mecenate e personalità di spicco nella illustre Accademia Filarmonica di Verona), il compositore segnala un mutamento stilistico, dichiarando di aver composto questi pezzi in modo molto diverso dal passato e di aver teso a una mesta gravità attraverso le parole e le caratteristiche dello stile.
In questa raccolta dominano i versi di Petrarca e di Sannazaro, e lo stile volge decisamente a una maggiore gravità, venata di pensosa malinconia.
Sempre nel 1588 troviamo Marenzio a Firenze, nella cappella musicale dei Medici. Lo stipendio è di venti scudi al mese e, pur non essendo il vero e proprio maestro di cappella, ha alle proprie dipendenze i ragazzi del coro e alcuni allievi (fra i quali spiccano Giulio Caccini e Jacopo Peri). Ma l’anno successivo viene impiegato esclusivamente nell’organizzazione delle grandiose feste in onore del matrimonio tra Ferdinando de’ Medici (già cardinale) e Cristina di Lorena. Il momento musicale più importante di questo evento, svoltosi nel maggio del 1589, è l’allestimento di sei intermezzi da intercalare alla rappresentazione de La pellegrina (commedia del senese Girolamo Bargagli), nei quali vengono illustrati, con magnifici apparati scenici ed efficaci coreografie, episodi mitologici scelti per simboleggiare l’eccellenza ducale. Le musiche, solistiche e corali, anticipano in un certo senso le prime forme melodrammatiche che vedranno la luce proprio a Firenze una decina d’anni dopo.
Ritroviamo Marenzio a Roma nel 1590, ma non è ben chiaro quale sia qui effettivamente la sua attività. Uno dei suoi protettori è certamente il giovanissimo Virginio Orsini, con l’ancor più giovane moglie Flavia; è nella loro casa che Marenzio abita fino alla metà del 1593, ed è proprio a Virginio che dedica, nel 1591, il quinto libro di Madrigali a sei voci.
Nel 1592 vede la luce un secondo libro di mottetti (oggi perduto), e nel 1593 gli editori Phalèse e Bellère di Anversa stampano in un volume unico i cinque libri fino ad allora editi dei Madrigali a cinque voci di Marenzio. Quest’ultimo è un evento particolarmente significativo e importante, sia perché raro in sé, sia perché testimonia quanto la musica marenziana fosse amata e ricercata nell’Europa continentale. L’anno successivo gli stessi editori cureranno una raccolta analoga dei cinque libri di Madrigali a sei, e, una volta morto il compositore, completeranno le due serie pubblicando la raccolta completa dei Madrigali a cinque e a sei, e affiancando ad esse la serie delle villanelle.
Nel 1594 Marenzio pubblica il sesto libro dei Madrigali a cinque. La dedica al cardinale Cinzio Aldobrandini segnala la vicinanza del compositore a questo mecenate (e infatti in questo periodo Luca risiede presso il cardinale). Ma il sesto libro dei Madrigali è particolarmente importante perché, riprendendo e sviluppando i mutamenti annunciati dalla citata raccolta del 1588, segna il definitivo passaggio del compositore a una seconda fase creativa. Marenzio si distacca dal carattere elegiaco dei madrigali precedenti, e abbraccia uno stile espressivo più drammatico e dai contrasti più marcati, con l’ampio utilizzo di un recitativo armonico dai partecipati toni patetici. Tale mutamento stilistico si accompagna, in questo come nei successivi libri, a un massiccio utilizzo di testi tratti dal Pastor fido di Battista Guarini.
Nel 1595 vedono la luce il settimo libro di Madrigali a cinque e il sesto a sei, che proseguono nella direzione aperta dal sesto a cinque. Nel dicembre dello stesso anno Marenzio parte per la Polonia (dove giungerà nel marzo dell’anno successivo), per andare ad assumervi il ruolo di maestro di cappella del re Sigismondo III. Questo incarico, per il quale è previsto il cospicuo compenso di 1500 scudi l’anno, viene patrocinato dal cardinale Aldobrandini, ma abbiamo ragione di credere che Marenzio non ne sia affatto contento. Sappiamo pochissimo del periodo polacco: il re avrebbe insignito il compositore del titolo di cavaliere; ma, soprattutto a causa del clima oltremodo rigido, Marenzio non resta in Polonia più di un paio d’anni. Anche le notizie relative all’ultimo periodo della sua vita sono scarsissime; tuttavia nel 1598 è documentata la sua presenza a Venezia per la pubblicazione dell’ottavo libro di Madrigali a cinque voci. Infine il 22 agosto del 1599 Luca Marenzio muore a Roma, mentre si trova nei giardini di Villa Medici, ospite forse del fratello.
Tre mesi prima della morte viene pubblicato il nono libro dei Madrigali a cinque voci, un impressionante testamento spirituale in cui Marenzio torna alle movenze contrappuntistiche del primo stile, rivissute però alla luce di una cupa malinconia e caratterizzata compositivamente da spinto cromatismo. Nel nono libro ritorna la poesia di Petrarca (si segnalano soprattutto le intonazioni di Solo e pensoso e di Crudele, acerba, inesorabil morte); e, caso singolarissimo per il Cinquecento, viene utilizzato un testo di Dante, Così nel mio parlar voglio esser aspro, posto ad apertura del libro a guisa di manifesto estetico.
Una fonte tarda attribuisce a Marenzio un angosciato sfogo sul letto di morte con padre Giovenale Ancina, nel quale avrebbe ripudiato la propria musica esprimendo il desiderio di cancellarla, se fosse stato possibile. La storia del cantore d’amore convertito e pentito, più che una realtà, è certamente un episodio dell’eccesso di zelo del tempo.
Luca Marenzio, infatti, è forse il più importante rappresentante dell’ultima stagione madrigalesca nell’autunno del Rinascimento e la data della sua morte appare quasi simbolica, come il termine di un secolo che finisce e in cui anche il madrigale si esaurisce.
La sua adesione integrale (pur con tutte le sue peculiarità) alla grande stagione polifonica rende l’arte marenziana estranea al nuovo stile monodico, e il Seicento non tarderà a perdere interesse per questo maestro. Ci vorrà la nuova erudizione storica settecentesca (in particolare di padre Giovambattista Martini) per tornare ad apprezzare la sua grandezza artistica; ma solo con il Novecento è incominciata l’opera di edizione moderna delle musiche di Marenzio che è tuttora in corso.