MALANIMA (Magnanima), Luca
Nacque a Calci, presso Pisa, da Francesco e da Luigina Rossi; fu battezzato nella locale prepositura il 3 marzo 1737. Pur non laureandosi, è certo che frequentò lo Studio pisano, dove si legò a G.A. De Soria, dal 1731 docente di logica, poi di filosofia, infine di fisica. In tale ambiente culturale si confrontò con il pensiero di I. Newton, al centro dell'insegnamento di De Soria, e con le idee riformatrici provenienti dalla Francia, approfondendo la conoscenza degli scritti di Montesquieu, G.-L. Buffon, Voltaire e J.-B. d'Alembert.
Nel 1760, trasferitosi a Livorno e presi gli ordini minori, scrisse alcuni versi (i primi noti) per la commemorazione del defunto governatore della città, il marchese Carlo Ginori. In questo periodo assunse il cognome Magnanima, con il quale firmò tutti i suoi scritti. Nel 1765 stampò a Livorno un Saggio sopra la questione se la nostra lingua sia suscettibile o no di stile filosofico, con il quale contribuì alla discussione avviata a Pisa da De Soria e da suoi allievi sull'arretratezza della cultura e dei sistemi educativi italiani, cui doveva essere ricondotta l'insufficiente penetrazione delle idee riformatrici nella penisola.
Nel 1770 pubblicò anonima una fra le sue opere più significative, le Lettere italiane sopra la Corsica in rapporto allo spirito di legislazione che dovrebbe animare quel Regno per renderlo felice (Lausanna [ma Livorno] 1770), a lungo erroneamente attribuita a Raimondo Cocchi.
Le Lettere vedevano la luce dopo la sconfitta di Pasquale Paoli a Ponte Nuovo e la sua fuga in Inghilterra. Per questo le fiorentine Novelle letterarie (gennaio 1771, n. 12), pur sottolineandone il valore, le giudicarono un'opera intempestiva e sostanzialmente inutile ai Corsi e alla loro rivoluzione nazionale. Tuttavia, oltre a esprimere l'interesse e l'entusiasmo che alcuni uomini di cultura toscani avevano provato per l'esperimento politico di Paoli - da G. Cambiagi al ricordato R. Cocchi, da G. Del Turco a L. Pignotti -, il libro del Magnanima (come ormai si firmava) rifletté assai chiaramente il filone di polemica verso il dispotismo caratterizzante l'attività di alcuni circoli culturali toscani, che sulla base di un'interpretazione "repubblicana" di N. Machiavelli avevano aperto la strada alla diffusione delle idee di Montesquieu. Per il M. la Corsica rappresentava - grazie all'amore per la libertà e alla purezza della popolazione, dai caratteri quasi primitivi - l'unico luogo in cui si era materializzata una virtù eminentemente montesquiana, capace di coniugare la libertà e l'uguaglianza di fronte alle leggi. La saggia opera riformatrice di Paoli, che aveva dato all'isola norme vincolanti tutti i ceti sociali, senza eccezione né privilegio alcuno, eque istituzioni giudiziarie e un illuminato sistema educativo, sembrava avere inverato l'ideale repubblicano, realizzando concretamente l'obiettivo cui mirava il pensiero illuminista, cioè l'uguaglianza dei cittadini nelle leggi.
Alcuni di questi temi furono ripresi dal M. in opere successive. Nel 1775 stampò a Livorno un libretto dedicato a d'Alembert, Delle ricchezze, dell'acquisto e conservazione di esse, nel quale i problemi morali e politici della società contemporanea conservavano un'evidente centralità. Due anni più tardi pubblicò l'Elogio istorico e filosofico di Giovanni Alberto De Soria, stampato a Livorno.
Quest'ultimo scritto fu accolto da pareri contrastanti: G. Ristori, nelle bolognesi Memorie enciclopediche (gennaio 1781, n. 3), imputò al M. uno stile pedantesco e incerto ("si può concludere - scriveva - che voi avete uno stile lorenese, francese, italiano, gotico, latino, e greco, che ha qualche cosa di tutte queste lingue, e che non è proprio di alcuna"); ma una cattiva accoglienza era stata riservata al libro già nell'agosto 1779 dal Giornale fiorentino. Di tono opposto era stata invece la segnalazione, apparsa subito dopo la pubblicazione dell'Elogio, nelle Novelle letterarie di Firenze (13 febbr. 1778, n. 7), che evidenziò la capacità dell'autore di illustrare le virtù pedagogiche dello scomparso professore.
L'Elogio di De Soria era dedicato a J.-J. de Lalande; nell'introduzione, rivolgendosi allo scienziato francese, il M. aveva esaltato i risultati del riformismo lorenese in campo agricolo e commerciale, annunciando in certo modo il filo conduttore di scritti poi pubblicati nella miscellanea intitolata Osservatore toscano (I-II, Livorno 1779 e 1783). Proprio nel 1779 egli aveva richiesto il permesso di stampare nella città labronica una gazzetta, ottenendo parere favorevole dal governatore della città, F. Bourbon del Monte; il giornale, tuttavia, non avrebbe dovuto occuparsi di questioni di commercio, né avrebbe potuto pubblicare articoli o riflessioni lesive della "neutralità" del porto o pregiudizievoli per gli interessi dei ceti mercantili. Fu probabilmente a causa di tali divieti che il M. preferì mutare il progetto originario in quello dell'Osservatore toscano, la cui formula miscellanea gli consentì di riprendere alcune idee già discusse nelle Lettere italiane.
Come ha osservato F. Venturi (1965, pp. 793 s.), nel primo dei due tomi il M. apparve persuaso che l'esperienza riformatrice inaugurata da Pietro Leopoldo avesse dimostrato un'intrinseca superiorità rispetto alle pratiche democratiche che erano state alla base della rivolta corsa. Nel saggio intitolato Stato della Toscana riguardo all'agricoltura prima del 1765 egli denunciò i gravi danni causati all'economia toscana dalla politica vincolistica adottata dalle autorità granducali prima dell'arrivo di Pietro Leopoldo. Il liberoscambismo introdotto da quest'ultimo - spiegò in un saggio successivo, Stato presente dell'agricoltura toscana - aveva vivificato l'economia agricola, e gli alti prezzi dei prodotti agricoli avevano stimolato i proprietari a dedicarsi alle loro proprietà, alimentando anche l'attenzione per gli studi scientifici passibili di applicazioni pratiche al campo agricolo. L'afflato riformatore del M. emergeva nelle raccomandazioni ai ceti possidenti di prodigarsi per ridurre le disuguaglianze nella distribuzione delle proprietà fondiarie e di impegnarsi nel miglioramento continuo delle loro terre. Analoga impronta riformatrice si trova in molti contributi ospitati nel secondo tomo dell'Osservatore toscano; così, per esempio, nel saggio biografico sul fondatore dell'Accademia dei Georgofili - Elogio del padre abate don Ubaldo Montelatici dei canonici lateranensi ora soppressi di Fiesole - oppure in alcuni articoli sulle condizioni della Maremma senese o sulla coltivazione delle patate. Nello stesso tomo, insieme con alcuni scritti sulle virtù militari, il M. pubblicò anche il saggio Sull'indipendenza assoluta delle Provincie americane; riprendendo alcuni temi già affrontati nelle Lettere italiane - come la liceità della lotta per l'autodeterminazione e il valore supremo della libertà dei popoli - difese la legittimità della rivolta delle tredici colonie contro l'Inghilterra e individuò le ragioni del loro successo nel loro essere state una nazione coesa già prima dell'inizio della guerra. In questo scritto il M. sottolineò con decisione gli elementi di novità che presentava la repubblica americana, fondata sul rispetto assoluto dei sentimenti di libertà, diversamente da quanto storicamente accaduto nelle antiche repubbliche europee e, in particolare, italiane, predicendo un futuro di sviluppo economico e di grandezza politica per il nuovo Stato.
Fra gli ultimi suoi scritti pubblicati vi fu, nel 1785, l'Elogio di Diacinto Cestoni, naturalista e cittadino livornese.
Il M. morì a Livorno, dove fu sepolto, il 12 maggio 1798.
Fonti e Bibl.: Numerosi cenni al M. si trovano nelle carte di G. De Soria conservate presso la Biblioteca Labronica di Livorno, Carte Pentolini, in particolare nelle Lettere inedite raccolte e trascritte dal padre Pentolini; un breve carteggio del M. con G. Lami è segnalato da F. Pera, Curiosità livornesi inedite o rare, Livorno 1888, p. 306. S. Rotta, Idee di riforma della Genova settecentesca e la diffusione del pensiero di Montesquieu, in Movimento operaio e socialista in Liguria, VII (1961), pp. 209-221 (con numerosi riferimenti alla sua biografia di De Soria); Illuministi italiani, VII, Riformatori delle antiche Repubbliche, dei Ducati, dello Stato pontificio e delle isole, a cura di G. Giarrizzo - G. Torcellan - F. Venturi, Milano-Napoli 1965, pp. 787-800; F. Venturi, Settecento riformatore, I, Torino 1969, pp. 335, 346-350; III, ibid. 1979, pp. 219 s.; V, 1, ibid. 1987, pp. 107, 111, 113-115, 117, 405, 407; F. Diaz, Francesco Maria Gianni, dalla burocrazia alla politica sotto Pietro Leopoldo in Toscana, Milano-Napoli 1966, pp. 37 s., 109, 116, 162, 264 s.; Id., Per una storia illuministica, Napoli 1973, pp. 450 s.; C. Bordini, Rivoluzione corsa e illuminismo italiano, Roma 1979, pp. 59-68; A. Rotondò, Il pensiero politico di Giovanni Gualberto De Soria, in L'età dei lumi. Studi storici sul Settecento europeo in onore di Franco Venturi, Napoli 1985, pp. 989-1043; E. Gremigni, Periodici e almanacchi livornesi, Livorno 1996, pp. 126-135; M.A. Morelli Timpanaro, Autori, stampatori, librai. Per una storia dell'editoria in Firenze nel secolo XVIII, Firenze 1999, pp. 264-267; Id., Giovanni Gualberto De Soria e una sua lettera sulle prerogative dei professori dello Studio di Pisa, in Boll. stor. pisano, LXXIV (2005), pp. 321-356.