LONGHI, Luca
Nacque il 14 febbr. 1507 a Ravenna, da Francesco di Andrea e da Antonia di Vincenzo da Cunio, secondo di tre fratelli destinati tutti a divenire pittori (Bernicoli, pp. 228, 230).
Sembra che la famiglia Longhi si fosse trasferita da Bologna a Ravenna sul principio del XVI secolo con Francesco di Andrea, venuto a esercitarvi il commercio, essendo egli nelle scritture qualificato a volte come lardarolus, a volte come tricolus o farctor. Il padre del L. abitò in una casa di proprietà della chiesa di S. Agnese nella guaita omonima (ibid., p. 230).
Sulla formazione del L. mancano notizie e si presume abbia avuto luogo nella bottega di un artista residente in ambito ravennate. Gli studiosi - primo fra gli altri Cappi, biografo ottocentesco del L., - amarono immaginare l'artista slegato da scuole di città limitrofe o dai grandi maestri, incoraggiati dalle affermazioni di Vasari che lo voleva frequentatore dei soli luoghi natii.
Come afferma Mazza (1991), sembra difficile individuare le origini del delicato purismo del L. nella pittura nordicizzante di F. Zaganelli, attivo a Ravenna nel corso del secondo e del terzo decennio del Cinquecento, fino al 1532, o nella tarda produzione di B. Carrari, che sempre a Ravenna aveva lasciato numerose opere riferibili al primo decennio del secolo.
Semmai la dolcezza delle composizioni di M. Palmezzano e, ancor più, l'aggraziata sintassi di N. Rondinelli poterono agire da stimolo al classicismo sentimentale e all'arcaico nitore che è dato cogliere già in opere giovanili del L., fra le quali si ricorda la pala, a tutt'oggi conservata, con La Madonna in trono con il Bambino fra i ss. Valeriano e Lucia, commissionatagli da A. Zampeschi per l'altare di S. Lucia della collegiata di S. Rufillo in Forlimpopoli, eseguita nel 1528, quando l'artista aveva ventuno anni. L'opera si rivela prova piuttosto acerba, "tanto misurata e ingenua quanto geniale e piacevole" (Bentini, p. 33), e l'immagine vi appare organizzata su uno schema compositivo debitore a Innocenzo Francucci da Imola.
Nel 1529 il L. portava a termine lo Sposalizio di s. Caterina con quattro santi, dipinto già in S. Vitale di Ravenna (ora nella Pinacoteca civica della città).
Modello ispiratore di quest'opera - una Sacra Conversazione normalizzata entro un tracciato tutto frontale, alla maniera di F. Francia - sembra essere stato il dipinto che F. Zaganelli realizzò per la chiesa dell'ospedale di S. Caterina in Ravenna (oggi nel seminario). Il repertorio delle decorazioni e degli ornamenti piacevolmente inseriti nell'architettura del trono, richiama a soluzioni già adottate da Palmezzano e dagli Zaganelli, "meno improbabili e fantastiche di quelle che Baldassarre Carrari desumeva più che dai modelli veneti, da quelli ferraresi importati con la pala robertiana di Porto" (Bentini, pp. 35-37).
Altra pala del giovane L., eseguita a ventitré anni ancora per A. Zampeschi, è la Madonna in trono col Bambino fra i ss. Rufillo e Antonio Abate (1530), anch'essa nella chiesa di S. Rufillo a Forlimpopoli. Lo scandirsi in sequenza di tali opere rivela la complessità degli interessi culturali del L., i cui dipinti successivi "registreranno con estrema cautela e moderazione le novità dei tempi" (Mazza, 1991, p. 58). A Zampeschi il L. consegnava nel 1541 anche la Madonna con il Bambino e i ss. Francesco e Giorgio e il committente che dalla chiesa dei Conventuali di S. Francesco a Santarcangelo di Romagna è passata al locale Museo civico.
Il pittore vi rievoca forme quattrocentesche, sebbene l'instabilità della bilancia compositiva, la mancanza di ritualità nella figura del S. Giorgio (Bentini) rendano la pala di Santarcangelo un caso isolato nella sua produzione. Il L. vi rappresenta la figura del committente in primo piano, con una soluzione che già aveva sperimentato con i donatori rappresentati nelle due pale di Forlimpopoli, in dimensioni arcaisticamente minuscole. L'intera sequenza delle pale giovanili rivela, come già osservava Mazza (1991), il carattere delle opere dell'artista i cui lavori successivi registreranno le novità dei tempi con estrema cautela e moderazione.
Le pale di Berlino (forse 1532), della Pinacoteca di Brera in Milano (1538) e quella Cavalli di Ravenna (1543) sono state concordemente interpretate, nell'ambito degli studi più recenti, quali episodi del momento culminante dell'attività giovanile del L., e si confermano esempio felicissimo di meditazione ed elaborazione affatto personale sul tema della Sacra Conversazione, i cui precedenti diretti vanno individuati nelle opere di F. Francia, in composizioni centralizzate e simmetriche di autori emiliani di inizio secolo come Innocenzo da Imola, o centroitaliani, nelle pale di Rondinelli, nelle calibrate invenzioni di Palmezzano.
Il L. sintetizza però arcaisticamente le proprie immagini, ambientando scene di devozione in gracili architetture aperte in arcate o flesse in concavità absidali affiancate da paraste ornate da specchiature dorate e impreziosite da candelabre e grottesche non dissimili da quelle degli Zaganelli, ancor più che di Palmezzano. Appare evidente l'esigenza del L., che sarà in seguito ribadita dal decreto e dai trattatisti postridentini, di rappresentare con chiarezza e precisione l'iconografia dei santi. Nelle opere giovanili del L., la Madonna ha caratteri fisionomici ripetitivi, ma nelle ultime pale del gruppo giovanile - soprattutto in quella Cavalli - il disegno delle sacre figure si rivela più sicuro, risultando queste modellate con maggior vigore, sebbene non esente da una certa ripetitività dei lineamenti dei visi.
Se il L. delle grandi pale è oggi il più conosciuto, il suo talento di ritrattista è stato più volte sottolineato nei secoli. Fin da Armenini (1587) la critica ha mostrato di apprezzarne i ritratti, soprattutto quelli isolati che sembrano esprimere un sentimento di stremato taedium vitae.
Fra i pochi ritratti dell'artista che ci sono pervenuti, particolarmente apprezzabili sono l'effigie di Raffaele Rasponi, da collocarsi nel sesto decennio del secolo, e quella di Girolamo Rossi (1567) entrambe nella Pinacoteca di Ravenna. La tematica di quest'ultimo dipinto si basa sull'iconografia della vanitas, un memento mori che invita al disprezzo del mondo, contrapposto alla pace e alla gioia della vita ultraterrena. L'atteggiamento della figura appare solenne e magniloquente, in linea con la cultura del pieno manierismo emiliano. Fra i ritratti del L., particolare fascino riveste il Personaggio della famiglia Lunardi, della Pinacoteca di Forlì, quasi un'immagine araldica, nel disegno arcaicamente corretto ed esibito in una capillare cura dei dettagli, nel terso, ma un po' scontato, svariare di ombrate trasparenze. La vicinanza di modi stilistici lo apparenta al Ritratto di Cesare Hercolani della stessa Pinacoteca, datato 1534, già problematicamente attribuito a F. Menzocchi.
Nel 1548 Vasari soggiornava per due mesi a Ravenna per eseguirvi il Cristo deposto per la chiesa del monastero di Classe. L'incontro con l'artista toscano sembra aver provocato nelle opere del L. una complessità compositiva fino allora non sperimentata.
Tuttavia il L. non aderì al linguaggio capzioso ed elegantemente ornato del Vasari, poiché adottò, all'opposto, schemi arcaizzanti e raffinati colori sobri, in consentaneità al suo talento di pittore incline all'espressione di caratteri di intimismo sentimentale. Orientamenti di questo tipo ispirano le due pale padovane per la chiesa di S. Maria annessa al monastero benedettino di Praglia. Di queste, la pala raffigurante la Cattura e martirio di s. Giustina è firmata e datata 1562, l'altra con la Presentazione al tempio, firmata, è databile con relativa attendibilità allo stesso periodo.
Quest'ultima opera replica, con minime varianti, la tavola di eguale soggetto dipinta da F. Francia per i benedettini del santuario della Madonna del Monte di Cesena. Nei confronti del prototipo non si riscontrano significativi cambiamenti nella versione longhiana. Evidentemente al L., che eseguì diverse copie da stampe (di opere di Correggio, Raffaello, Parmigianino, Girolamo Bedoli), appariva importante il recupero intenzionale di un'immagine della devozionalità primocinquecentesca.
Cappi cita esclusivamente, di questi, ritratti e dipinti di soggetto sacro con l'eccezione, di tipo iconografico, di una Venere, commissionata al L. dal marchese Quaranta Aldrovandi di Bologna, poi acquistata dai conti Ferniani di Faenza e ora rintracciata in collezione privata (Viroli, 2000, pp. 72 s.). Per analogie di pennello, composizione, luce e perfino di piccola filologia dello studio anatomico, la contiguità più esplicita è con la Cattura e martirio di s. Giustina di Praglia (1562). L'intonazione cromatica vi si armonizza su toni di calibrata luminosità opalescente.
Se la quinta rocciosa alle spalle della dea riecheggia ancora quelle dei paesaggi di Palmezzano, alcune soluzioni cromatiche e di paesaggio sembrerebbero prossime a quelle adottate da pittori ferraresi come S. Filippi. L'articolazione delle membra e la compostezza un poco rigida della figura della Venere rivelano un artista attratto da suggestioni oltramontane, che gli pervenivano presumibilmente attraverso traduzioni incisorie.
Fino ad alcuni anni addietro si riteneva che la Venere dipinta dal L. per Quaranta Aldrovandi fosse l'unico dipinto di soggetto profano da lui realizzato, ma nel 1996 Cifani e Monetti pubblicarono sulla rivista Paragone una Cleopatra, conservata in collezione privata, siglata dal L., opera che rivela un influsso da autori cinquecenteschi veneziani, in particolare da stampe di Agostino Veneziano (Agostino De Musi). Per il dipinto è stata proposta una plausibile data d'esecuzione compresa fra il 1560 e il 1570.
Agli anni Sessanta appartengono alcune importanti opere: si ricordano fra le altre l'Adorazione dei pastori e Cristo deposto con s. Benedetto e l'abate di Classe, già nel monastero di Classe e ora entrambe nella Pinacoteca di Ravenna. Si possono rilevare in queste tavole contatti con la cultura parmense, evidenti soprattutto nell'Adorazione. Nel Cristo deposto il L. si mostra strettamente legato alle espressioni della cultura figurativa centroitaliana, interpretata secondo un'ottica precocemente controriformistica: i modelli vanno ricercati nelle opere di M. Venusti e di M. Pino, probabilmente note all'artista romagnolo attraverso la circolazione di stampe.
In anticipo sulla Resurrezione di Marco Pino nell'oratorio del Gonfalone di Roma, il L. dipinse la tavola, di analogo soggetto, già di proprietà dei Ferniani di Faenza e ora nella Pinacoteca di Bologna. A parte la notevole ampiezza di dimensioni, il dipinto cattura l'attenzione anche per la complessità dell'azione che vi è rappresentata. A partire dagli anni Sessanta il L. riprese, anche per committenze importanti, una vena arcaistica di composizioni e di spunti, come nel dipinto raffigurante La Madonna in trono con il figlio fra i ss. Benedetto, Paolo, Apollinare e Barbara, che, dalla chiesa di S. Barbara in Ravenna, passò dapprima alla sagrestia di S. Vitale, indi nella Pinacoteca cittadina.
Cappi riteneva di identificare nella figura di S. Barbara il ritratto della figlia del pittore, dal momento che questa portava il nome della santa. L'ipotesi appare verosimile per la somiglianza fisionomica della santa qui rappresentata con la giovane effigiata, in atto di voltarsi, nelle Nozze di Cana del refettorio di Classe a Ravenna, dipinto dallo stesso Longhi. Esiste inoltre una notevole somiglianza anche con la S. Caterina, opera della stessa Barbara presso la Pinacoteca di Ravenna, che viene considerata come il suo autoritratto.
Alla tarda maturità del pittore vanno probabilmente datate varie tele raffiguranti la Madonna col Bambino, tra le quali si ricorda quella, con aggiunta la figura di s. Giovannino, nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. La parte finale del percorso del L. apre uno spiraglio sulla conoscenza, da parte del pittore, della temperie artistica bolognese, che produsse in lui un lento ma ben avvertibile mutamento del gusto. L'Invenzione della Croce in S. Domenico a Ravenna, infatti, composta dall'artista un anno prima della morte, pare riprendere, soprattutto da L. Sabatini e da D. Calvaert, "certe fisionomie gonfie e traslucide di visi femminili" (Bentini, p. 71). Nella grande decorazione murale con la raffigurazione del Convito per le nozze di Cana, che il L. eseguì nell'ultimo anno di vita, il pittore si trovò impegnato in un'impresa di assai vaste dimensioni.
Per la grandiosità dell'impianto, l'opera perviene a risultati che trovano un lontano antecedente in Ravenna nelle pareti affrescate di S. Chiara o di S. Maria in Porto Fuori, o, a Pomposa, nella Cena dell'abate Guido nel refettorio dell'abbazia. Non manca un ricordo della tavola vasariana in S. Michele in Bosco a Bologna, soprattutto nel motivo scenografico delle scale.
Il dipinto del L. subì danni nell'alluvione del 27 maggio 1631; e quello che ne rimane è, purtroppo, nella parte bassa, piuttosto incompleto. Comunque sia, l'opera resta un documento importante perché tra la folla degli invitati al banchetto, dei servi che recano vivande, degli astanti che assistono al miracolo, vi sono alcuni particolari ritrattistici rappresentati in modo tale da attirare i nostri sguardi e da giustificare il credito di cui l'artista godeva.
Il L. morì a Ravenna il 12 ag. 1580 e venne sepolto nella chiesa dei Domenicani (Cappi).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, pp. 420 s.; G.B. Armenini, De' veri precetti della pittura (1587), a cura di M. Gorreri, Torino 1988, pp. 217 s.; A. Cappi, L. L. illustrato…, Ravenna 1853; S. Bernicoli, Arte e artisti in Ravenna, in Felix Ravenna, aprile 1912, pp. 228-236; A. Martini, La Galleria dell'Accademia di Ravenna, Venezia 1959, pp. 96-110; D. Berardi, Le "Nozze di Cana" di L. L. (in margine ad un restauro), in Boll. economico della Camera di commercio industria artigianato e agricoltura di Ravenna, settembre 1974, pp. 761-770; J. Bentini, in L. L. e la pittura su tavola in Romagna nel '500 (catal.), a cura di J. Bentini, Bologna 1982, pp. 11-78 (con bibl.); G. Viroli, L. L., ritrattista senza "affetto", ibid., pp. 79-91; Id., in Pinacoteca comunale di Ravenna. Opere dal XIV al XVIII secolo, Ravenna 1988, pp. 93-99; A. Colombi Ferretti, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 752; A. Mazza, La Collezione dei dipinti antichi della Cassa di Risparmio di Cesena, Bologna 1991, pp. 58-63; G. Viroli, La Ravenna artistica, in Storia di Ravenna, IV, Dalla dominazione veneziana alla conquista francese, a cura di L. Gambi, Venezia 1994, pp. 265-270; Id., La pittura del Cinquecento nelle Romagne, in La pittura in Emilia e in Romagna. Il Cinquecento, a cura di V. Fortunati, II, Bologna 1995, pp. 217-220; A. Cifani - F. Monetti, Una inedita "Cleopatra" di L. L., in Paragone, s. 3, XLVII (1996), 8-10, pp. 175-179; G. Viroli, I Longhi: L., Francesco, Barbara pittori ravennati (sec. XVI-XVII), Ravenna 2000 (con bibl.); A. Mazza, La Galleria dei dipinti antichi della Cassa di Risparmio di Cesena, Milano 2001, pp. 96-101; S. Simoni, L. L. (1507-1580) "pictor celeberimus civis Ravennae": la formazione e i lavori della prima maturità, in Romagna arte e storia, XXI (2001), 61, pp. 5-14; Id., La Madonna in trono con il Bambino fra i ss. Benedetto, Paolo, Apollinare e Barbaradi L. L., ibid., 62, pp. 93-99; G. Viroli, in Pinacoteca comunale di Ravenna. Museo d'arte della città. La collezione antica, a cura di N. Ceroni, Ravenna 2001, pp. 89-95; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 357.