GUICCIARDINI, Luca
Nacque, presumibilmente a Firenze, nel 1300 circa da Simone di Tuccio; della madre conosciamo soltanto il nome, Dea.
La famiglia Guicciardini, definita da Francesco Guicciardini di "buoni popolani", deteneva in solidum tra i suoi membri maschi fino dal sec. XII la proprietà sul castello di Poppiano e i diritti di patronato sulla locale chiesa parrocchiale, Ss. Biagio e Niccolò, di cui anche il G. partecipava. Dalla seconda metà del '300 sono annoverati tra le famiglie più ricche di Firenze, ma lo slancio economico della famiglia fu dovuto a un cugino del G., Piero di Ghino di Tuccio, che nel 1359, per esempio, pagò 90 fiorini di prestanza, mentre nella stessa occasione al G. fu imposta una quota di soli 10 fiorini.
I Guicciardini erano entrati nella vita politica con il padre del G., Simone, che dal 15 giugno 1302 fu eletto per un bimestre gonfaloniere di Giustizia, la massima carica del Comune di Firenze e che poi fu priore dal 15 ag. 1305.
Com'era costume, il G. fu posto, ancora giovanissimo, a fare pratica mercantile nella compagnia dei Peruzzi che, con quelle dei Bardi e degli Acciaiuoli, costituivano nei primi decenni del '300 l'asse portante dell'economia fiorentina.
In genere gli impiegati della compagnia dei Peruzzi compivano la loro formazione a Firenze e, in seguito, i più capaci e meritevoli venivano inviati presso filiali esterne della compagnia, spesso con funzioni direttive. Fu questo anche il caso del G. che nel 1326 prestava servizio presso la filiale di Roma del banco Peruzzi, quando fu inviato dai suoi principali a L'Aquila, insieme con altre due persone, rappresentanti rispettivamente i banchi Bardi e Acciaiuoli, a versare una cospicua somma di denaro a Carlo d'Angiò, duca di Calabria e figlio del re Roberto di Napoli. A quest'ultimo infatti il Comune di Firenze aveva deliberato il 23 dic. 1325 di darsi per un decennio in signoria per fronteggiare la minaccia costituita da Castruccio Castracani degli Antelminelli e la somma anticipata dalle tre case bancarie doveva servire all'arruolamento di soldati da destinare alla difesa di Firenze.
Dopo il periodo romano il G. fu trasferito ad Avignone, ove il 18 genn. 1332 stipulò un atto di procura generale in favore del fratello maggiore, Tuccio, anch'egli impiegato presso la filiale avignonese del banco Peruzzi, accingendosi presumibilmente a far ritorno provvisoriamente in patria. Era a Firenze l'8 marzo 1334, quando fruì per la prima volta di una carica pubblica, diventando membro dei Dodici buonuomini, uno dei tre uffici maggiori del Comune di Firenze.
Dal 1335 fino almeno al 1341 risedette continuativamente in Francia, sempre per la compagnia Peruzzi, nell'ambito della quale fu dapprima fattore ad Avignone e dal 1337 direttore della filiale di Parigi.
Nel 1341 fece ritorno a Firenze ove continuò a lavorare nell'ambito delle società dei Peruzzi, fino al loro fallimento nell'ottobre 1343.
Quando il fallimento dei Peruzzi fu proclamato, molti dei loro soci e fattori si dettero alla latitanza, per non essere chiamati a rispondere con i loro beni personali ai creditori della compagnia; tra questi fu anche il G., poiché il suo nome compare nella lunga lista di persone cui in data 4 giugno 1345 fu concesso ampio salvacondotto per consentire loro di collaborare con i sindaci dei creditori. Il G. fu tra coloro che accettarono questo invito alla collaborazione, dal momento che il 14 ott. 1346 gli furono affidate, in concorso con tal Bartolomeo di Dino da Castelvecchio, le trattative per un concordato fra i creditori dei Peruzzi. La condotta del G. nell'ambito del fallimento della compagnia Peruzzi dovette risultare assolutamente impeccabile poiché non solo egli non subì alcun provvedimento di censura, ma anzi, di lì a poco si dette con successo alla vita politica.
La prima carica di cui si ha notizia dopo il suo definitivo ritorno a Firenze fu quella di membro degli Ufficiali delle condotte, magistratura che aveva il compito di arruolare i soldati mercenari, per il bimestre gennaio-febbraio 1345; a essa fece seguito l'elezione, il 15 dic. 1347, a sindaco del Comune di Firenze presso la lega di San Piero in Mercato, una delle circoscrizioni territoriali in cui a quell'epoca si articolava il Dominio fiorentino.
Non si conoscono i contenuti della missione, in quanto di essa è rimasta traccia solo nella documentazione contabile; si sa soltanto che essa si inquadrava in un provvedimento generale che prevedeva analoghe missioni di altri cittadini presso le altre leghe e che aveva una durata prevista di otto giorni.
A questo incarico, tutto sommato minore, fece seguito quello di ben diverso spessore di gonfaloniere di Giustizia, in rappresentanza del quartiere di S. Spirito, che egli tenne per un bimestre dal 1° luglio 1348.
La città era nella morsa dell'epidemia di peste nera, tanto che dei nove membri della Signoria in carica come il G. dal 1° luglio, due morirono nel corso del primo mese. L'operato di questa Signoria fu fortemente condizionato dall'incombere della malattia e dal fatto che molti cittadini avevano lasciato la città nella speranza di fuggire il pericolo; alla Signoria presieduta dal G. furono infatti conferiti poteri straordinari e funzioni suppletive di quelle di altre magistrature. Il G. e gli altri membri della Signoria si valsero di questi poteri per dare facoltà alle varie magistrature collegiali del Comune di funzionare anche in mancanza del numero legale e per emettere dei provvedimenti suntuari, per frenare le spese voluttuarie.
Con provvisione del 28 luglio 1349 il G. fu eletto membro di una commissione incaricata di presiedere ai lavori di costruzione di una cappella dedicata a S. Anna, nella chiesa di S. Michele in Orto (Orsanmichele). Questa commissione era destinata a rimanere in carica quattro mesi, ma fu dapprima prorogata e infine si sciolse senza aver potuto raggiungere lo scopo; la cappella fu infatti terminata solo trent'anni più tardi e fu dedicata a S. Carlo.
Dopo di allora le cariche pubbliche rivestite dal G. furono numerosissime; tra le principali: membro dei Sedici gonfalonieri dal 1° sett. 1350 e poi di nuovo dal 1° maggio 1358; dei Dodici buonuomini dal 15 marzo 1351; priore dal 1° luglio 1353; camarlingo della Camera del Comune per il bimestre maggio-giugno 1361.
In virtù di queste cariche e del suo prestigio personale veniva spesso chiamato o d'ufficio, in quanto membro di organi di vertice nel governo del Comune, o come "arroto", cioè cittadino autorevole al momento non impegnato in incarichi pubblici, a far parte delle consulte o consigli segreti periodicamente convocati dalla Signoria per averne pareri sulle principali questioni politiche. Ci sono rimasti del G. una serie di pareri, riportati in forma estremamente sintetica, espressi nell'ambito di questi consigli, risalenti al periodo luglio 1353 - 10 genn. 1355.
Le principali questioni affrontate riguardavano soprattutto la politica estera; in particolare la consulta dell'8 nov. 1354 fu chiamata a esprimersi sul comportamento da tenere in occasione della prossima discesa in Italia di Carlo IV di Lussemburgo.
Si temeva che la vicinanza fisica del capo tradizionale dei ghibellini avrebbe alimentato l'aggressività dei Comuni toscani, nemici della guelfa Firenze, nei confronti di quest'ultima; inoltre, poiché in città i vuoti lasciati dalla recente epidemia erano stati riempiti da "gente nuova" recentemente immigrata, potenzialmente infida per il ceto dirigente della città, si temeva anche lo scoppio di disordini; queste preoccupazioni suggerirono di vietare a Carlo l'ingresso in città, mentre alcuni consiglieri, tra cui il G., sottolinearono la necessità di rinsaldare i legami con gli altri Comuni guelfi dell'Italia centrale.
Il G. si era sposato nel 1351 con Nera di Filippo Giochi, ma da questo matrimonio non nacquero figli; aveva avuto in precedenza un figlio naturale di nome Iacopo, che fu poi legittimato con provvisione del 28 luglio 1357 e poté per questo motivo ereditare tanto dal G. che dalla moglie; erra quindi il Litta a porre questo atto di legittimazione al 1369.
Il G. morì, presumibilmente a Firenze, in una data compresa tra il 1° sett. 1362, data in cui pagò personalmente la sua prestanza, e il 7 marzo 1363, data in cui il relativo pagamento risulta effettuato dai suoi eredi.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Poligrafo Gargani, 1042-1044; Magl., XXVI.131, 134, 142, 144: F.L. Del Migliore, Zibaldone generale, I, c. 1; VIII, c. 110; XII, c. 20; XIV, c. 272; Arch. di Stato di Firenze, Carte Sebregondi, 2829; Diplomatico, Peruzzi de' Medici, 30 apr. 1326; ibid., Certosa di S. Lorenzo al Galluzzo, 18 genn. 1331; Camera del Comune, Camarlinghi, Uscita, 11, c. 328v; 42, c. 32; Capitani di Orsanmichele, 247, c. 1; Manoscritti, 443, c. 1; 557, cc. 23-24; SignorieCollegi, Deliberazioni in forza di speciale autorità, 1, c. 1; Consulte e pratiche, 1, cc. 28, 86v, 97v, 112-113, 148v; Arte del cambio, 136, c. 53; Prestanze, 6, c. 18; 13, c. 23; 19, c. 20v; 24, c. 13v; Provvisioni, Registri, 45, c. 15; I Libri di commercio deiPeruzzi, a cura di A. Sapori, Milano 1934, ad ind.; P. Franceschini, L'oratorio di S. Michele in Orto, Firenze 1892, p. 41; Th. Mommsen, Italienische Analekten, Stuttgart 1952, p. 156; A. Sapori, Storia interna della compagnia Peruzzi, in Id., Studi di storia economica, II, Firenze 1955, p. 726; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Guicciardini di Firenze.