GRIMALDI, Luca
Nacque presumibilmente a Genova, nei primi anni del Duecento, da Ingone di Oberto; ebbe tre fratelli, uno dei quali fu Boverello. Non va confuso con il cugino Lucchetto di Grimaldo vissuto negli stessi anni.
Il G. viene menzionato per la prima volta l'11 ott. 1239, quando è ricordato tra i consiglieri del Comune che giurarono davanti al legato pontificio, cardinale Giacomo Pecorara, di assolvere gli impegni assunti con il papa per la partecipazione alla guerra contro Federico II. Dopo quella data non si hanno più notizie per quasi un decennio; bisogna infatti attendere il 1248 per ritrovare il suo nome quale testimone alla sigillatura di due successive convenzioni con la Comunità di Groppo e i conti di Ventimiglia, alle quali si trovò a presenziare insieme con alcuni tra i più ragguardevoli personaggi della Genova del tempo, come Tedisio Fieschi, Fulcone Guercio e Rosso Della Turca.
In questi anni la famiglia Grimaldi raggiunse il massimo della potenza: non a caso, proprio in questo periodo, il G. e il fratello Boverello riuscirono, come altri appartenenti a potenti famiglie cittadine, a dare una base territoriale al proprio potere.
Tra il 1248 e il 1251 acquisirono il controllo di Stella, castello dell'entroterra di Varazze, destinato a svolgere un importante ruolo militare nel corso delle successive lotte tra guelfi e ghibellini. Quasi contemporaneamente i due fratelli ottennero dagli eredi del marchese Guglielmo Tagliaferro di Clavesana il castello di Andora, presso Albenga, quale pegno per un prestito di 8000 lire; nello stesso periodo, poi, si impadronirono anche di Carrosio, piccolo villaggio lungo l'asse viario che da Genova, per la Bocchetta, conduceva verso Novi e la pianura lombarda. Il possesso di questi territori trovò sanzione giuridica nelle due convenzioni che, nel febbraio 1251, il Comune di Genova stipulò rispettivamente con i marchesi di Clavesana e il Comune di Savona, al termine della grande ribellione della Riviera di Ponente (ghibellina e alleata di Federico II) contro il dominio genovese. Con la convenzione di Varazze del 18 febbraio con i Savonesi, in particolare, questi promettevano di non recare in futuro danno alcuno al G., a suo fratello e ai suoi familiari nel castello di Stella. L'anno successivo i diritti che il G. e Boverello vantavano nei confronti dei marchesi di Clavesana furono da essi ceduti al Comune di Genova, congiuntamente al castello di Andora.
In quel periodo l'influenza del G. nelle vicende del Comune si fece maggiormente sentire e se egli non sedette nel Collegio degli otto nobili (che, con il podestà forestiero, amministrava il Comune), la sua presenza nel Consiglio generale del Comune fu comunque pressoché continua e il suo nome compare sistematicamente al primo posto fra quelli dei consiglieri chiamati a ratificare i più importanti accordi diplomatici. Così è, per esempio, in occasione della stipula della già citata convenzione del 19 febbr. 1251 con Savona e in quella del 30 ottobre dello stesso anno con il Comune di Pavia, nonché dei trattati del 5 giugno 1252 con il Comune di Montpellier e del 13 settembre successivo con i Fiorentini. Nominato nel 1256 tra gli Otto nobili, nel corso di quell'anno ricevette la nomina a podestà di Firenze, carica che tenne dal gennaio al luglio 1257, circondandosi, quali vicari e giudici della sua corte, di esponenti della nobiltà guelfa piacentina.
Egli non si trovava pertanto a Genova il 18 febbr. 1257 quando un'insurrezione popolare, guidata da alcuni maggiorenti di parte mascherata (ghibellina), portava alla destituzione del podestà Filippo Della Torre e alla nomina di un capitano nella persona di Guglielmo Boccanegra. Il regime instaurato da quest'ultimo sovrappose alla struttura istituzionale del Comune quella del popolo, rappresentata da un Consiglio degli anziani costituito da quattro deputati per ciascuna delle otto "compagne" in cui era ripartito il territorio urbano. I Grimaldi, che fino a quel momento erano stati la famiglia egemone insieme con i Fieschi, non vennero emarginati dal governo del Comune, ma certo dovettero cedere il passo a esponenti di altre casate nobili fino allora restate in secondo piano. Tuttavia, trovandosi Genova in guerra con Pisa e con Venezia, essi continuarono a ricevere incarichi militari e diplomatici.
Così, poco dopo il suo ritorno da Firenze, nel maggio 1258, egli venne inviato ambasciatore, con Percivalle Doria, Ugone Fieschi e Oberto Passio, a Viterbo, presso papa Alessandro IV. Questi, preoccupato per le sorti di quanto restava del Regno di Gerusalemme, aveva deciso di intervenire per far cessare la guerra tra le tre Repubbliche marinare italiane, minacciando la scomunica e l'interdetto. Secondo le istruzioni ricevute, gli ambasciatori genovesi furono incaricati di ottenere un compromesso che riguardasse non solo le controversie esistenti in Levante con i Veneziani, ma anche in Sardegna dove lo scontro con Pisa aveva portato, sul finire del 1257, alla perdita di Cagliari e all'assedio del vicino castello di Santa Igia.
I quattro delegati giunsero a Viterbo quando il papa già aveva ricevuto i legati delle due città rivali, il che li pose, fin dall'inizio, in una posizione di inferiorità. Le trattative tra le parti, svoltesi davanti a una commissione di cardinali, durarono per tutto il mese di giugno e portarono, il 3 luglio, a un accordo parziale che, sostanzialmente, rimandava tutto alla decisione finale del papa, nelle mani dei cui legati dovevano essere rimesse tutte le terre e le fortezze oggetto di contesa, tra cui anche Santa Igia, che doveva essere così sgomberata dai Genovesi. Il valore dell'accordo fu in realtà pressoché nullo perché, prima ancora che se ne conoscessero i contenuti, i Genovesi furono sconfitti ad Acri dai Veneziani e costretti ad abbandonare la città e, in Sardegna, Santa Igia venne espugnata dai Pisani.
Questa fu, a quanto si sa, la sola missione diplomatica del G., la cui attività principale sembra essere consistita - in quegli anni di predominio popolare - assai più che nella partecipazione alle lotte politiche, nelle speculazioni finanziarie. Queste lo videro protagonista di un clamoroso prestito a Corrado IV di Svevia, garantito con il pegno del trono già dell'imperatore Federico II. La restituzione di questo prezioso oggetto (previa estinzione del debito) costituì una fra le clausole del trattato del 22 marzo 1259 con Manfredi di Sicilia, che ne rinnovava uno di due anni prima.
Sebbene non sia nota una partecipazione diretta del G. alla congiura che nel maggio 1262 doveva portare alla deposizione di Guglielmo Boccanegra, è assai probabile che egli, come uno dei più rappresentativi esponenti della sua famiglia, vi abbia avuto una qualche parte, anche perché i Grimaldi erano stati colpiti, negli ultimi tempi, da alcune confische di antichi diritti giurisdizionali e fiscali di origine viscontile. Il ritorno di Genova all'antico regime podestarile, in larga parte controllato dalla nobiltà, riportò il G. nel governo della città. Nel settembre 1263 lo troviamo infatti tra i consiglieri del Comune chiamati ad approvare l'imposizione alla città di un prestito forzoso di 30.000 lire, necessarie alla guerra nel Levante contro Venezia.
Nel luglio 1267, poi, egli figura dapprima tra i consiglieri che ratificarono il trattato di pace stipulato nel febbraio precedente tra il Comune di Genova e il gran maestro dell'Ordine dei templari; nello stesso mese, però, il suo nome è ricordato tra il consesso di "iudices et sapientes" interpellati da uno dei giudici del podestà, Guglielmo Cirimello, circa l'opportunità di procedere giudizialmente nei confronti di quelle località della Riviera di Ponente che, come Savona, si erano più volte rese colpevoli di contrabbando di sale, genere del quale il Comune di Genova rivendicava il monopolio.
Egli condivise senza dubbio le scelte politiche del fratello Boverello che, fin dal 1262, aveva intrecciato forti legami d'interesse con Carlo d'Angiò, allora conte di Provenza. Tali rapporti si intensificarono dopo che il principe angioino, nel 1266, ebbe conquistato il Regno di Sicilia, tanto che nel febbraio 1269 il G. è ricordato, con il fratello e i cugini Lanfranco e Lucchetto, tra i fideles del re, ai quali questi si raccomandava perché ricevessero con onore, in Genova, l'ambasciatore del sultano d'Egitto. Del suo orientamento filoangioino (comune, del resto, a tutta la famiglia Grimaldi) è ulteriore testimonianza il fatto che il suo nome compaia in testa all'elenco dei consiglieri che, il 12 ag. 1269, ratificavano il trattato di amicizia con re Carlo, mediante il quale Genova diveniva virtualmente un protettorato angioino. Quando, nel 1271, i ghibellini presero il potere con Oberto Doria e Oberto Spinola, egli dovette lasciare Genova, come gli altri membri della sua famiglia e la maggior parte dei partigiani rampini. Si rifugiò con tutta probabilità nel proprio castello di Stella, da cui fu scacciato l'anno successivo per opera delle truppe ghibelline.
Raggiunta la Provenza, vi morì poco dopo il 1274, anno in cui è ricordato per l'ultima volta quale titolare, insieme con la moglie, di beni in Genova amministrati in via giudiziale dai capitani del Popolo.
Ebbe numerosa discendenza e tra i suoi figli deve essere ricordato Gabriele, che fu fatto cavaliere da Carlo d'Angiò e che da questo ricevette importanti incarichi militari. Da lui discese Gaspare che, nel 1317-18, fu capitano del Popolo di Genova e che rinunciò al potere nelle mani di re Roberto d'Angiò.
Non deve essere confuso con il G. un altro Luca, che fu poeta in lingua provenzale, nato nel 1273 e morto nel 1308. Di costui, autore di alcune feroci satire contro Bonifacio VIII, appare dubbia anche l'appartenenza alla famiglia Grimaldi, in quanto J. de Nostredame e altri lo indicano in realtà come originario di Grimaud, presso Saint-Tropez, toponimo la cui assonanza con la famiglia Grimaldi ha spesso ingenerato facili confusioni.
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