GRIMALDI, Luca (Luchino)
Nacque nei primi anni del Quattrocento da Ansaldo di Luca e da Argenta Grimaldi di Percivalle, primo di tre fratelli.
Apparteneva pertanto al ramo cittadino della famiglia, disceso in linea retta da Boverello, che alla metà del XIII secolo aveva ottenuto la signoria di Stella e di Carrosio, nell'Appennino. Il padre era stato un abile uomo d'armi e, nel 1431, aveva comandato un grande contingente di balestrieri genovesi, inviato a combattere in Lombardia contro i Veneziani, durante la signoria su Genova di Filippo Maria Visconti. La madre discendeva invece da uno dei figli di Gaspare Grimaldi, capitano del Popolo nel 1317-18, e i suoi antenati avevano posseduto per alcuni decenni la baronia di Policastro, nel Regno di Napoli.
Il G. studiò giurisprudenza presso lo Studio di Pavia dove si addottorò intorno al 1430. Da allora fu uno dei più affermati giureconsulti di Genova e, nonostante l'ancor giovane età, cominciò a godere di grande prestigio tra la nobiltà cittadina. Anziano nel 1435, nel marzo 1438 il doge Tommaso Fregoso lo scelse, con altri tre cittadini, per compiere un'inchiesta fra la cittadinanza allo scopo di trovare i mezzi finanziari per fronteggiare gli attacchi di Filippo Maria Visconti. Nel 1441 fu uno degli otto partitores della quota di imposizione (la "avaria") spettante alla nobiltà.
L'abilità dimostrata nel mediare tra le parti e la sua equidistanza dai partiti in lotta fecero sì che, quando nel dicembre 1442 Tommaso Fregoso venne messo in serio pericolo dall'opposizione dei fuorusciti, egli fu incaricato, con altri sette cittadini, di cercare una composizione tra le fazioni rivali, così da risparmiare lutti alla città. I loro sforzi vennero però vanificati dal colpo di mano di Giovanni Antonio Fieschi e Raffaele Adorno, i quali costrinsero il doge alla fuga.
Per alcune settimane la città fu retta da Otto capitani di libertà, ma il 27 genn. 1443 Barnaba Adorno marciò con un esercito da Savona su Genova e fece eleggere un nuovo doge nella persona del cugino Raffaele. Il G., a causa dei buoni rapporti avuti con Tommaso Fregoso, non venne incluso fra i capitani, né ricevette dal nuovo governo alcuna carica, ma il prestigio di cui godeva in città gli valse, nel 1445, la nomina ad anziano e, nello stesso anno, scaduti i quattro mesi dell'anzianato, quella a protettore di S. Giorgio. Così, quando nel novembre 1446 toccò a Raffaele Adorno trovarsi in difficoltà, minacciato a sua volta dai Fregoso e, come sempre, dai turbolenti Fieschi, il G. fu chiamato dal doge a far parte di una commissione di dodici cittadini, o "pacificatori" ai quali venne conferita ampia facoltà di azione. Come in altre occasioni, la possibilità di superare pacificamente le discordie tra le fazioni si rivelò impossibile, anche perché gli stessi Adorno abbandonarono Raffaele, reo - a loro giudizio - di aver cercato un accordo con i Fregoso. Il 4 gennaio Barnaba Adorno, dopo aver costretto il cugino a rinunciare al potere, si fece proclamare doge e, come primo provvedimento, licenziò i "pacificatori", troncando ogni possibilità di dialogo con i suoi avversari. Tuttavia il colpo di mano era destinato a fallire giacché, il 26 dello stesso mese, Giano Fregoso entrò con la forza in Genova assumendo il dogato.
Nel 1447 il G. fu chiamato a sedere nella deputazione ("officium Finarii") incaricata di preparare le operazioni militari contro il marchese Galeotto Del Carretto, signore del Finale. Durante i successivi dogati di Giano, Ludovico e Pietro Fregoso egli rivestì numerosi, importanti incarichi pubblici; nel 1449 fu protettore di S. Giorgio, nel 1453 venne nominato ufficiale di Balia e nel 1454 fu nuovamente anziano. Nell'agosto 1455 fu inviato dal Comune come legato alla città di Bruges e al duca Filippo di Borgogna, per sollecitarlo a assumere la guida di una crociata contro i Turchi. Nel giugno 1456, poi, fu ancora una volta prescelto a far parte di un ufficio di Balia, specialmente incaricato di provvedere alle difese contro gli attacchi della flotta catalana dell'ammiraglio Bernat di Villamarì.
Come la maggior parte della nobiltà cittadina fu tra i fautori del passaggio di Genova sotto il dominio francese, incoraggiando in tal senso il doge Pietro Fregoso, che era grandemente minacciato dall'azione congiunta dei fuorusciti e delle forze navali di Alfonso d'Aragona. Tuttavia, seppure indicato dagli ambasciatori sforzeschi come filofrancese, non sembra abbia preso parte attiva alle trattative con la corte di Francia.
Egli mantenne anche in seguito una posizione defilata, apparentemente al di sopra delle parti; nel giugno 1460 il governatore francese di Genova, Louis de Laval, lo incaricò, con altri due cittadini (Giacomo Fieschi e Pellegro de Promontorio), di trattare un accordo con Ibleto Fieschi. Questi, dopo la morte del fratello Giovanni Filippo, caduto nel tentativo di cacciare i Francesi da Genova, aveva assunto la guida della potente fazione gattesca della Riviera di Levante e, per deporre le armi, esigeva una congrua ricompensa. Il G. e i colleghi riuscirono, dopo settimane di trattative, a convincerlo a dichiararsi "fedele" di Carlo VII di Valois in cambio del governo delle podestarie di Recco e Rapallo e di una ricca pensione.
Nel marzo 1461, ribellatasi Genova ai Francesi, il nuovo doge, Prospero Adorno, bisognoso di denaro, fece arrestare il G. - insieme con una quarantina tra i più facoltosi cittadini - affinché fossero rinchiusi in una nave ormeggiata in porto per estorcere loro 30.000 ducati. Come i compagni, il G. si dimostrò pronto a "patire ogni cosa che di disborsare denari sotto questa forma" (Giustiniani, c. CCXVI), tanto che il doge dovette rilasciarlo dopo pochi giorni insieme con gli altri. Uscito indenne da questa prova di forza, le tribolazioni patite per colpa dell'Adorno lo resero naturalmente bene accetto ai Fregoso quando, poche settimane dopo, subentrarono al governo della città.
Tuttavia, nello stato di anarchia in cui venne allora a trovarsi Genova, contesa tra i vari membri della famiglia Fregoso, il G. si tenne accortamente al di fuori della mischia e, con altri influenti cittadini, cominciò a tessere caute trattative con il duca di Milano Francesco Sforza, per offrirgli la signoria della città. Il duca, timoroso di entrare in contrasto con la Francia, fu a lungo titubante, ma, morto Carlo VII, il suo successore Luigi XI si mostrò deciso a liberarsi di Genova, pur conservandone l'alta sovranità feudale. Nel dicembre 1463 il re investì Francesco Sforza e la moglie Bianca Maria Visconti della signoria su Genova e Savona; il duca, in febbraio, inviò un esercito in Liguria per assumere il controllo dei nuovi domini. Per il suo prestigio e la sua dottrina giuridica il G. fu scelto, il 21 apr. 1464, per redigere, con altri tre cittadini, i capitoli di dedizione di Genova al duca di Milano; cinque giorni dopo, poi, fu eletto priore di un apposito ufficio di Provvisione, istituito per raccogliere il denaro necessario a finanziare l'assedio della fortezza cittadina di Castelletto, dove si erano rinchiusi gli ultimi fautori dei Fregoso.
L'anno successivo fu inviato ambasciatore a Milano e alla fine di settembre del 1466 fu chiamato a far parte di una commissione di otto cittadini, incaricata di riformare l'intero corpo statutario del Comune di Genova. L'ambizioso progetto, intralciato dalle rivalità tra nobili e popolari, ebbe vita breve e, del resto, il G. già alla fine di novembre dovette abbandonare l'incarico, essendo stato nominato ambasciatore straordinario a Roma, per trattare con il papa, Paolo II, alcune importanti questioni riguardanti la situazione della Chiesa genovese.
Come molti altri appartenenti al suo "albergo", l'azione di forza ordinata nell'autunno del 1469 da Galeazzo Maria Sforza contro Lamberto Grimaldi a Ventimiglia gli creò un profondo disagio, tanto che il duca, per ingraziarselo, nella primavera del 1470 lo nominò podestà di Albenga, a partire dal 1° luglio. Il 9 agosto dell'anno successivo fu designato, unico dottore, tra i sedici ambasciatori inviati a Pavia per incontrare Galeazzo Maria, come da lui richiesto. Furono di ritorno a Genova verso la fine del mese recando, oltre alla conferma dei capitoli e dei privilegi a suo tempo concessi alla città dal duca Francesco, l'annuncio della volontà del duca di allestire, nel territorio genovese, una grande flotta di 50 galee.
Nel 1473 fu eletto ufficiale di Moneta e, alla scadenza del mandato, il duca, in segno di riconoscenza per la sua fedeltà e sperando così d'ingraziarsi la famiglia Grimaldi, volle nominarlo consigliere segreto (18 luglio 1474), assegnandogli anche uno stipendio di 400 ducati d'oro l'anno, maggiore di quello degli altri consiglieri, essendo lui forestiero. Trascorse gli anni successivi a Milano, prendendo regolarmente parte alle sedute del Consiglio finché, nel febbraio 1476, non fu inviato, con Giovanni Pallavicino di Scipione, Pierfrancesco Visconti e Giacomo Alfieri, ambasciatore presso il duca Carlo di Borgogna, per sondare le sue intenzioni nei confronti dello Stato sforzesco. Tornò a Milano nell'estate, ma come altri suoi concittadini si trovò coinvolto nel clima di sospetto venutosi a creare dopo la fallita congiura del genovese Gerolamo Gentile. Il duca ne ordinò infatti l'allontanamento dal Consiglio e dalla corte ed egli fece ritorno a Genova, ritirandosi a vita privata.
Nei drammatici avvenimenti seguiti alla morte di Galeazzo Maria si tenne in disparte ma quando, nel giugno 1478, Prospero Adorno (che l'anno precedente era stato nominato governatore di Genova dalla duchessa reggente Bona di Savoia) si ribellò agli Sforza, la sua aristocratica ostilità nei confronti del regime popolare da questo instaurato prevalse su ogni altra considerazione ed egli andò a rifugiarsi nella fortezza di Castelletto, unendosi agli ufficiali ducali. In settembre il governatore sforzesco, Branda Castiglione, lo inviò a Milano per riferire alla duchessa la situazione della guarnigione e chiedere soccorso.
Con il ritorno di Genova alla "libertà" sotto il dogato di Battistino Fregoso (novembre 1478), il G. restò al servizio degli Sforza, venendo reintegrato nel Consiglio segreto ma nel 1480 alcune critiche da lui rivolte circa la gestione delle finanze del Ducato gli attirarono l'ostilità di Antonio Tassino, favorito della duchessa, il quale ottenne il suo licenziamento.
Egli fece così ritorno a Genova dove morì di lì a poco.
Si sposò due volte, con Lucrezia Lavaggi Interiano e con Isabella Salvago, dalle quali ebbe numerosa prole. Tra i suoi figli meritano menzione il primogenito Luca e Giovanni Battista, i quali rivestirono importanti magistrature del Comune, venendo impiegati in numerose missioni diplomatiche in Italia e all'estero. Luca, inoltre, come il padre, nel 1489 fu nominato consigliere segreto da Ludovico Sforza.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Archivio Segreto, 250, n. 87; 538, cc. 188r-189r; 568, c. 101rv; 578, c. 21; 584, cc. 64v-65r; 591, c. 59v; 1789, n. 297; Arch. di Stato di Milano, Registri ducali, 159, c. 255; Sforzesco, 414 (15 luglio 1461); 471 (21 giugno 1456); 458 (18 luglio 1474); 982 (19 e 23 giugno 1478); 983 (5 luglio 1478); 985 (22 sett. 1478); Cronica gestorum in partibus Lombardiae…, a cura di G. Bonazzi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXII, 3, p. 89; A. Gallo, Commentarius rerum Genuensium, a cura di E. Pandiani, ibid., XXIII, ad ind.; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1537, cc. CCIIIr, CCIVv, CCXXVv; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco, Milano 1948, pp. 13, 585; L. Cerioni, La diplomazia sforzesca nella seconda metà del Quattrocento e i suoi cifrari segreti, Roma 1970, I, p. 184; R. Walsh, Relations between Milan and Burgundy in the period 1450-76, in Gli Sforza a Milano e in Lombardia e i loro rapporti con gli Stati italiani ed europei (1450-1535). Atti del Convegno internazionale,... 1981, Milano 1982, p. 381; G. Petti Balbi, Mercanti e nationes nelle Fiandre: i Genovesi in età bassomedievale, Pisa 1996, pp. 43, 46.