GAURICO, Luca
Nacque nel marzo 1475 a Gauro - un "casale" della contea di Giffoni (ora in prov. di Salerno) allora posseduta dai d'Avalos - da Cerelia e da Bernardino (appartenente probabilmente alla famiglia Linguito), maestro di grammatica; suoi fratelli minori furono l'umanista Pomponio, che il G., dotato di un forte senso di appartenenza e di solidarietà familiare, ricordò spesso nelle sue opere assieme ad altri due fratelli, Agrippa e Plinio, morti ambedue in giovane età.
Il G. rimase nel Regno di Napoli probabilmente sino alla morte del padre, a Barletta nel 1497; poi si trasferì a Padova, dove successivamente fu raggiunto dal fratello Pomponio. Qui il G. poté ascoltare le lezioni di Pietro Pomponazzi, di Pietro Trapolin, di Niccolò Leonico Tomeo e poi di Marco Musuro ed ebbe come colleghi di studio G. Fracastoro, Gaspare Contarini, A. Navagero, Pierio Valeriano (Giovanni Pietro Dalle Fosse) e G.B. Ramusio; contemporaneamente frequentò lo stesso giro di amici - umanisti, ma anche scultori e pittori - che si riuniva nell'atélier del fratello Pomponio, occupato allora, oltre che negli studi letterari, anche in un suo apprendistato (poi abbandonato) di scultore.
Addottoratosi in medicina probabilmente tra il 1503 e il 1504, il G. aveva frattanto cominciato a curare, per conto di tipografi veneziani, l'edizione di vari testi scientifici e filosofici e teneva, parallelamente, corsi privati di astrologia e matematica, che dovettero riscuotere un certo successo a giudicare da un tardo ricordo, nella raccolta di epitaffi Heroes, di Giulio Bordone alias Giulio Cesare Della Scala, che fu suo discepolo, e dal fatto che già nel 1504 si pubblicasse a Padova un pronostico che si richiamava al suo magistero (cfr. Ioannis Aluisii de Rubeis Veronensis Vaticinium anni 1504 ad dominum Lucam Gauricum Neapolitanum artium atque astronomiae perspicacissimum preceptorem optimum, s.l. né d., ma Venezia 1503). Ma già prima della laurea egli aveva dato inizio in Padova all'attività che più lo rese famoso, la composizione, cioè, di quella fortunata serie di almanacchi profetico-astrologici proseguita, seppur con interruzioni, fino alla fine della sua vita. Di questo periodo sono il Prognosticon anni 1502 (ibid., Bernardino de' Vitali, 1501) - dove già compare vagamente, in una sequenza esametrica riferita al 1503, l'annuncio di un nuovo profeta e di terribili catastrofi -, il Prognosticon anni 1503 ad ill. Venetorum principem Leonardum Lauretanum (s.l. né d., ma ibid. 1502; di esso si conosce anche una redazione volgare Pronostico de Luca Gaurico… nel anno MCCCCCIII a lo ill. principe… M. Leonardo Lauretano, s.l. né d., ma ibid. 1502) e un pronostico probabilmente latino per il 1505 dedicato al card. Ascanio Sforza, ora perduto, ma visto già da A. Magliabechi.
Nel 1506 il G. si trasferì allo Studio di Bologna dove tenne la lettura serale di astronomia (probabilmente dall'ottobre 1506 al settembre 1507); ma l'insegnamento fu subito bruscamente interrotto quando, per una perduta imprudente pronosticazione - "in quodam vaticinio impresso" - riguardante la prossima caduta del regime dei Bentivoglio, il G. fu chiuso in carcere, sottoposto al tormento della corda e poi consegnato "per evocatore de' demoni ed eretico" nelle mani dell'inquisitore, che fece bruciare pubblicamente i suoi scritti. Liberato dopo breve tempo dalle prigioni per l'intervento del giovane Cristoforo Madruzzo, il G. proseguì le sue lezioni. Nel novembre 1506 si era intanto verificata in Bologna quella dissoluzione della signoria bentivolesca, che il G., più che da astrologo, aveva previsto quale acuto scrutatore di rivolgimenti politici in arrivo. Mentre Giulio II era ancora in Bologna, il G. gli indirizzò il 13 febbr. 1507 un Pronosticon anni 1507 usque ad annum 1530 (s.l. né d., ma Firenze, P. Pacini, 1507), dove compaiono con minacciosa chiarezza, rispetto al pronostico per il 1502, i due vaticini che egli andò poi ripetendo: la nascita per il 1530 di un falso "propheta lunaris" e quel diluvio per il 1524 a causa della congiunzione dei pianeti nei Pesci già annunziato alla fine del Quattrocento da J. Stoeffler, evento a proposito del quale si accese, soprattutto dal 1519, un dibattito astrologico ricco di implicazioni politiche e religiose.
Da Bologna il G. si recò allo Studio di Ferrara, dove tenne la lettura di matematiche per gli anni 1507-08. E pronunciò, nell'ottobre 1507, come prolusione, di fronte a un pubblico di scolari e professori (tra i quali Niccolò Leoniceno), il De astronomiae seu astrologiae inventoribus, utilitate, fructu et laudibus oratio (pubbl. dal G. stesso in Sphaerae tractatus, Venetiis, Giunta, 1531, cc. a2r-a6v; da lui riedita in calce alle Centum sententiae di Tolomeo, Romae, Dorico, 1540, e poi ancora, in una diversa redazione, sotto il titolo di De primis spherae sideralisque disciplinae inventoribus laudes, ibid., id., 1557), che fa parte di quella letteratura di reazione alla confutazione pichiana dell'astrologia, che già contava le opere di G. Pontano e di L. Bellanti. Nell'Oratio, infatti, dopo una storia della disciplina, egli schiera contro G.F. Pico della Mirandola i nomi di pressoché tutti i contemporanei illustri sostenitori dell'astrologia. Una testimonianza interessante della sua attività didattica è rappresentata - più che dalla polemica su materie astrologiche che egli, secondo una non controllabile notizia dataci da B. Guarini, avrebbe condotto con Pellegrino Prisciani - dalla Quaestio Ferrariae habita dum astronomiam publice profiteretur… numquid sub aequatore sit habitatio (in Sphaerae tractatus, cc. 56r-57r).
In questo scritto il G. afferma, sulla scorta degli argomenti dei geografi arabi e sulla base delle recenti scoperte geografiche, la possibilità, negata da Aristotele e da altri geografi antichi, che anche la zona torrida equatoriale possa essere abitata.
All'inizio del 1509 il G. era di nuovo a Bologna, da dove, nel marzo, inviava al marchese di Mantova Francesco II Gonzaga una lettera-pronostico piena di lusinghiere e trionfali previsioni; è questo uno dei tanti grossi abbagli di cui fu costellata - assieme ad alcune inevitabili previsioni azzeccate - la sua carriera di pronosticatore, visto che il marchese, nell'agosto 1509, cadde addirittura prigioniero dei Veneziani, intenti a riconquistare la Terraferma invasa dagli eserciti della Lega. Della fine di questo stesso anno è un Iudicio del anno MDX allo ill. duca d'Urbino a stampa (ora perduto, ma visto già da J. Brunacci) e una voluminosa "genitura" dell'amico bolognese Antonio Campanacci, un astrologo che fu poi per lunghi anni suo collaboratore (Bibl. Antoniana di Padova, ms. 497, scaff. XXI). Da Bologna, sospinto dai venti di guerra, egli si recò probabilmente a Roma assieme con il fratello Pomponio e qui, come egli ricordò parecchi anni dopo, ambedue ebbero occasione di collaborare nella ricerca e traduzione di testi astrologici greci conservati nella biblioteca papale. Continuava intanto la sua attività di scrittore di pronostici annuali: della fine del 1510 è il Pronostico del anno 1511 a stampa (perduto anch'esso, ma visto dal Brunacci) dedicato al marchese di Mantova, al quale egli si rivolgeva ormai sempre di più come abituale patrono. Nel 1511 il G. era di nuovo a Bologna - dove erano ritornati temporaneamente i Bentivoglio - in una situazione di estrema miseria; ad aggravare il suo stato si aggiungevano poi le ferite infertegli al volto nel luglio di quell'anno dal bentivolesco Marco Antonio Bargellini. Forse proprio questa aggressione lo indusse a rifugiarsi, già nel settembre 1511, a Mantova, alla corte del marchese Francesco, che evidentemente, nonostante l'errata pronosticazione del 1509, aveva conservato il suo favore all'astrologo. Nella città gonzaghesca il G. si trattenne fino alla seconda metà del 1512 componendo i perduti oroscopi di vari membri della famiglia regnante e dedicando al marchese, nel febbraio, una delle sue più fortunate e diffuse compilazioni, il Prognosticon ab anno MDIII ad annum MDXXXV (manoscritto nel Riccard. 771 della Biblioteca Riccardiana di Firenze; due stampe: una s.l. né d., ma Augusta, S. Otmar, l'altra di Basilea, P. Gegenbach, 1522), di cui esiste anche una redazione, forse non attribuibile al G., che protrae le previsioni fino al 1572: il Pronosticon anni MDIII terminaturum anno MDLXXII (Veronae, senza indicazione del tipografo, 1518). Il testo, che copre un lungo arco di anni ed è quindi di una voluta e prudenziale indeterminatezza, recupera versi e temi dei precedenti pronostici per il 1502 e per il 1507 e contiene una protesta, probabilmente in mala fede, contro i tipografi veneziani per pronostici degli anni 1511 e 1512 stampati falsamente sotto il suo nome. Il Prognosticon ab anno MDIII è costituito da una lunga sequenza in esametri (che rimaneggia quella del precedente Prognosticon anni 1502) e da una prosa nelle quali si riprende la previsione di un prossimo diluvio per il 1524 e si annuncia la nascita per il 1530 di un falso "propheta lunaris" e una "mutatio rerum fere omnium" per il 1535, seguita da una generale riforma della Chiesa e da una pace universale.
In questo pronostico, come ha osservato P. Zambelli "sono dunque già riuniti nel 1512 i due motivi fondamentali per tutto il dibattito" che sarebbe divampato di lì a pochi anni, in Italia e in Germania, a proposito del diluvio: "le lotte di religione promosse da uno pseudoprofeta… e dall'altra parte, le calamità naturali compendiate, ma non esaurite nel diluvio".
Il legame del G. con il marchese di Mantova e l'utilizzo sempre più scoperto da parte del G. della psicopropaganda attraverso i vaticini hanno portato P. Zambelli a sospettare che appartenga al G. anche un'altra compilazione volta a terrorizzare colla minaccia del diluvio per quello stesso anno la Germania e l'imperatore Massimiliano: un pronostico, cioè, di un misterioso "Lucas Magni regis Persarum philosophus et medicus", fatto pervenire nel giugno del 1512 alla Dieta di Treviri e ora perduto ma ricostruibile attraverso le confutazioni di J. Virdung e dello Stoeffler.
Parallelamente a questo possibile allineamento politico, è certo che in questi mesi lo sguardo del G., in cerca di un insegnamento, fosse rivolto soprattutto verso la Francia, se è vero che egli il 3 apr. 1512, pochi giorni prima della battaglia di Ravenna, trovandosi a Mantova "confuso de gran desperatione", scriveva al card. Ippolito d'Este di aver intenzione di recarsi allo Studio di Parigi. Ma nel maggio di quello stesso anno egli era ancora a Mantova, dove ebbe occasione di incontrare il cardinale Giovanni de' Medici, fuggito allora dalle mani dei Francesi.
Dopo questo soggiorno mantovano, per il decennio 1513-23, mancano notizie sulla vita del G.: probabile, in ogni modo, è che egli trascorresse molti anni a Roma, dove è certo che fece stampare il vaticinio per il 1518 Pronostico… alli speculativi ingegni del MDXVIII (Roma, Giovanni Mazzocchi, s.d., ma 1517; una stampa diversa s.l. né d., ma ibid. 1517 è dedicata al senatore di Roma Pietro Squarcialupi). Ma sicuramente il G. proveniva da Roma quando, tra il 1521 e il 1522, per motivi di contagio si rifugiò, secondo una notizia data dai due suoi "discepoli" Vincenzo Oradini e Girolamo Bigazzini (in Prognosticon anno salutis 1523 et 1524, Perusiae, senza indicazione del tipografo, 1522, c. A2rv), a Perugia. Anche un altro suo opuscolo del dicembre 1515, proprio per i suoi umori anticuriali, lascia intravedere uno sfondo romano: il vaticinio in stile oracolare intitolato Apollinei spiritus axiomaticum pronosticum ab anno 1515 usque ad annum 1520 ex sibillina officina (Firenze, Bibl. nazionale, Mss., Targioni Tozzetti, 169) concepito come un dialogo tra uno Spirito e il Rilla (un personaggio sconosciuto, probabilmente dell'ambiente romano, indicato qui con un nomignolo osceno). Del 1522 è un Pronostico o ver iudicio… de MCCCCCXXII, dedicato ad Adriano VI (s.l. né d., ma Venezia, dopo il 9 genn. 1522), che il G. rifiutò poi prontamente di riconoscere come suo.
Il contenuto di questo vaticinio è riassunto e discusso nelle Historiae Senenses di Sigismondo Tizio: in esso il G. parla ancora del diluvio del 1524 e annuncia cataclismi e terremoti (ma anche guerre ed eresie) già per il settembre 1522, consigliando a tutti di far incetta di vettovaglie e di fuggire in luoghi sicuri.
La paternità di queste pronosticazioni, che, diffuse ad arte da alcuni monaci certosini, avevano gettato, come ci informa il Tizio, il panico in Siena, fu subito sconfessata dal G.: prima, alla fine del 1522, attraverso il citato opuscolo dei seguaci perugini Oradini e Bigazzini e poi, da lui stesso, nella prefazione all'Axiomaticum prognosticon anni 1525, della fine del 1524. In realtà, il vaticinio è probabilmente fattura proprio del G., che però ora cercava di porsi nella schiera di quegli astrologi, che, mossi da preoccupazioni scientifiche e politiche, stavano mettendo in guardia contro la "falsa pronostication del diluvio" e combattevano, rifacendosi, con A. Nifo e giusta la tradizione inaugurata dal Pontano, a Tolomeo, contro una certa teoria araba delle congiunzioni.
Il pronto cambiamento di campo e, come osserva P. Zambelli, "la sfacciata improntitudine con cui" il G. "continuò a rilanciare nel 1501 e 1503, nel 1507, nel 1512, nel 1522 e a sconfessare nel 1524 la stessa previsione di diluvio, non curando le smentite dei fatti" in tanto si spiegano e sono possibili in quanto i pronostici annuali "seppure diffusi abbastanza largamente quand'erano freschi di stampa" si perdevano e venivano dimenticati assai presto col sopraggiungere del nuovo anno e nessuno, tra un pubblico curioso, credulo e agitato da ansie e aspettative, si curava di confrontarli tra loro o con gli eventi.
Il tentativo di negare come propri vaticini realmente da lui composti continuava probabilmente anche in un pronostico per il 1524 dedicato a Clemente VII e stampato a Bologna (da Benedetto de' Benedetti) alla fine del 1523, ora perduto, se è vero che nella dedica, letta ancora dal Magliabechi, il G. si doleva di certi pronostici stampati a Napoli negli anni addietro come suoi. A questi "falsi" napoletani potrebbe appartenere probabilmente la Rota della Fortuna composta per il famoso et eccellente astrologo m. Luca Gaurico, un foglio volante stampato secondo M. Sander (n° 3058) a Napoli, che galleggiò alcuni decenni fa sul fiume del mercato antiquario.
Col 1524 ritroviamo il G. a Venezia, ove egli riprese con impegno la cura editoriale, per conto soprattutto dei Giunti, di vari testi scientifici e pubblicò quell'Axiomaticum prognosticon anni 1525 editum Venetiis mense novembris 1524 (Venezia, s.d. né indicazione del tipografo, conservatosi in due stampe diverse; anche una redazione italiana a stampa: Prognostico del anno mille cinque cento vinticinque composto in Venetia, s.n.t.) in cui si sconfessano i pronostici diluviali del 1522. Da questo pronostico e da un diploma pubblicato da N. Toppi, col quale Ferdinando Sanseverino principe di Salerno allora discepolo del fratello Pomponio a Napoli gli concedeva nel gennaio 1525 un beneficio in uno dei suoi feudi (in San Giorgio casale di San Severino), si rileva come il G. fosse già stato nominato, a queste date, protonotario apostolico. Il tenore dell'Axiomaticum prognosticon anni 1525 e il fatto che egli fosse diventato, come testimonia il diarista M. Sanuto, l'astrologo di fiducia del duca d'Urbino, Francesco Maria I Della Rovere, generalissimo dei Veneziani alleati ormai coll'imperatore, documentano entrambi l'abbandono da parte del G. della propaganda politica a favore della Francia e come egli si andasse accostando alla parte imperiale: nell'opuscolo, infatti, l'astrologo predice la sconfitta prossima del re di Francia. Il vaticinio fece rumore e lo impegnò, secondo un tardo ricordo dello stesso G., in una polemica con un altro astrologo, il salentino Matteo Tafuri, che all'inizio del 1525 prese, presso parecchi senatori veneziani, le difese delle armi francesi. Lo scontro tra i due, che si collega probabilmente a un confronto tra due diversi indirizzi politici presenti nella classe dirigente veneziana, ebbe termine nel febbraio, quando, con la battaglia di Pavia e la prigionia di Francesco I, lo scherno generale avrebbe, a detta del G., costretto il Tafuri ad abbandonare Venezia seguendo in Inghilterra l'ambasciatore veneziano Lorenzo Orio.
Alla fine del 1526 il G. soggiornò di nuovo per un breve periodo a Mantova, chiamatovi dalle curiosità astrologiche del marchese Federico II Gonzaga; qui egli ebbe occasione di incontrarsi con Paride Ceresara e probabilmente anche con Pietro Aretino, allora al servizio dei Gonzaga.
Gravavano allora su tutta la categoria degli astrologi il discredito e lo scherno prodotti dalla fallita previsione del diluvio e l'Aretino, fresco forse della conoscenza del G., non mancò quindi nel frammento del satirico Judicio over pronostico de mastro Pasquino quinto evangelista del anno 1527 - vera parodia dei pronostici annuali - di ricordare innanzitutto la "castronaria del Gaurico" e di tornare poi nel proemio del Pronostico dell'anno MDXXXIIII a canzonare il "Gaurico bufalo" e gli altri suoi colleghi "erranti astronomi buoi" per non esser "loro piovuto dal cielo se non pecoraggine".
Probabilmente tra il 1526 e il 1527 l'astrologo soggiornò brevemente a Roma, da dove ripartì appena in tempo, come raccontò egli stesso nella prefazione all'edizione dell'Almagestum del 1528, per non rimanere coinvolto nei disastri del sacco. Verso la fine del 1529 il G. partiva da Venezia per Bologna per essere presente, agli inizi del 1530, all'incoronazione di Carlo V, che, come testimoniano lettere dell'inviato veneziano, richiese al G. consigli sui "punti astrologici" favorevoli ai vari suoi spostamenti nella penisola. A Bologna il G. incontrò ed entrò per la prima volta nella familiarità del cardinale Alessandro Farnese - che fu poi da papa uno dei suoi più affezionati protettori - al quale, naturalmente, non mancò, secondo il suo costume, di pronosticare il pontificato. Non si conoscono pronostici del G. per questo 1530, ma anch'egli trovò modo di cooperare alla propaganda filoimperiale attraverso il vaticinio di uno scolaro, il Pronostico de lo anno MDXXX de Gasparo Crivello Milanese discipulo di m. L. G. (s.n.t., ma Bologna, fine 1529), al quale è probabile abbia posto mano anche lui stesso. Incoraggiato forse da promesse fattegli dall'imperatore a Bologna, nel corso del 1532 il G., sempre in cerca di una sistemazione cortigiana stabile, intraprese un viaggio in Germania. Nel maggio di quell'anno egli era a Ratisbona, dove si stava svolgendo la Dieta, in contatto soprattutto col cattolico Gioacchino I elettore del Brandenburgo, che, forse proprio su richiesta del vanitoso G., scrisse alla Signoria di Venezia per ringraziarla di aver dato la possibilità all'astrologo di assistere ai lavori dell'assemblea. Il G. continuò qui il suo lavoro di consigliere astrologico presso Carlo V e Ferdinando I re dei Romani, impegnati allora in preparativi contro i Turchi, e forse per l'occasione compose quei Prognostica de Ferdinandi I fatis annis 1532-1535, conservati nel Cod. Lat. 7433 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna. Nell'estate di quello stesso anno il G. compì però anche una visita a Wittenberg dove incontrò i circoli universitari rimasti cattolici, ma ebbe pure occasione di abboccarsi con i luterani: in effetti Melantone, col quale era già in corrispondenza, gli riservò buone accoglienze e gli dedicò il De ostentis di J. Camerarius ricordandogli il puntuale ed esatto verificarsi dei fatti previsti nel suo vecchio pronostico del 1512. E anche il G. stesso, di ritorno dalla Germania nel settembre 1532, dopo un periodo trascorso negli accampamenti imperiali a Linz, confidava a Gregorio Amaseo che "se haveva trovato in una compagnia e convivio de' primarii luteriani et fra li altri se ritrovava esso Martin Lutero et Philippo Melanthon".
Documento di questi incontri in terra tedesca, ove il G. era stimato non solo come astrologo, ma anche come matematico e astronomo, è la miscellanea uscita l'anno dopo a Lipsia a cura di Johannes Musler, De titulis et dignitatibus reipublicae litterariae (Lipsiae, Faber, 1533) ove sono pubblicate anche due operette del G.: una Oratio dominica atque angeli Gabrielis salutatio carmine elegiaco e una breve biografia del defunto fratello Pomponio.
Nel 1533 il G. era di nuovo a Venezia, ove pubblicava le Ephemerides recognitae et ad unguem castigatae… Isagogicus in totam ferme astrologiam libellus (Venetiis, Giunta, 1533), un grosso volume contenente tavole per la previsione dei moti celesti e delle eclissi e scritti di introduzione all'astrologia seguiti da testi tradotti di Efestione e Vettio Valente. Morto Clemente VII, pontefice che sempre gli aveva mostrato scarsa simpatia, ed eletto papa Alessandro Farnese, con il nome di Paolo III, il G. partì in novembre da Venezia alla volta di Roma per rendere omaggio al nuovo papa, non senza aver prima chiesto da Bologna, città in cui si trattenne fino al gennaio 1535, un contributo per il viaggio a Federico II ora duca di Mantova e al principe Ercole II, al quale il G. "profeta dopo il fatto" - come lo definì l'Aretino - bene informato della grave infermità di Alfonso I, agevolmente aveva predetto prossima la successione sul trono ducale.
Giunto poco dopo a Roma, Paolo III lo nominò subito, nell'aprile, suo "commensale" e cavaliere di S. Pietro ed egli si mise subito al lavoro per eseguire quei "temi natali" di personaggi di casa Farnese e del suo entourage raccolti nel cod. Vat. lat. 14921 della Biblioteca apostolica Vaticana. Sistematosi in Curia, coll'ambizione di raggiungere almeno il grado episcopale, l'astrologo si accinse con rinnovato vigore a svolgere un programma a doppia direzione: da un lato proseguì la composizione di opere astrologiche ed astronomiche dotte e, dall'altro, anche per rispondere alle esigenze di un certo mercato librario, iniziò la divulgazione di queste scienze sotto forma di agili operette volgari. Uscirono così in questi anni romani, tra il 1535 ed il 1548, le sue proposte per la riforma del calendario nel Quis modus sit in posterum observandus in calendarii Romani reformatione et vera Paschalis solemnitatis festarumque mobilium celebratione (Romae, Blado, s.d., ma 1535); il De eclipsi Solis miraculosa in Passione Domini celebrata (ibid., id., 1539); le Praedictiones super omnibus futuris luminarium deliquiis in finitore Venetiano anno 1533 examinatae (ibid., id., 1539), cioè delle tavole per la previsione delle eclissi seguite da estratti annotati di Tolomeo e Proclo; e il De vera nobilitate libellus (s.l. né d., ma ibid., Dorico, 1544) dedicato al card. Benedetto Accolti, una vuota esercitazione dove però si può trovare, tra altri accenni a contemporanei, un ritratto dell'amico Girolamo Borgia e notizie su quelle sue Historiae che erano state la fonte di F. Guicciardini. Nel 1546, infine, apparve l'opera di maggior impegno teorico, il Super diebus decretoriis, quos etiam criticos vocitant axiomata sive aphorismi (ibid., id., 1546), un dialogo in dodici libri ove si sostiene, contro gli umores melancolici messi in campo dal vecchio condiscepolo G. Fracastoro quali cause dei dies critici, la necessità della causalità astrale nella spiegazione delle malattie e si approfondisce ed esplicita quella difesa dell'astrologia iniziata nel 1507 con l'Oratio ferrarese.
Parallelamente, il G. divulgava le scienze siderali con un popolare libretto per compilarsi "in proprio" gli oroscopi, il Trattato di astrologia giudiziaria sopra la natività degli omini e donne (ibid., id., 1539; una ristampa accresciuta dall'autore fu riproposta nel 1550 dallo stesso Dorico) che fu tradotto l'anno dopo in latino e ripubblicato a Norimberga; col Lunario novo al modo de Italia secondo l'uso del Levante e del Ponente… el qual dà a conossere del 1542 per fina el 1555 con la gionta de tutti li soi tacuini (di cui si conosce solo una edizione di Brescia, Turlino, 1542, ma preceduta quasi sicuramente da una di Roma o di Venezia) e infine con tutta una serie di variazioni ancora più popolari del Trattato di astrologia giudiziaria citato, che prenderanno i diversi titoli di Opera nova nella quale ognuno quantunque indotto sia potrà de tutte le cose sue preterite et future, cioè per costellatione di stelle, havere bonissima notitia (Venezia, Ruffinello, 1545), di Opera nuova astronomica intitolata Arbore del bene e del male la quale insegna a sapere tutto quel che è stato e che sarà di un huomo (Genova, Bellone, 1548) oppure quello latino, pur essendo volgare il testo, di De sorte hominum (Venezia, G. Calepino, 1549).
Ma oltre che con la divulgazione astrologica e astronomica il G. si cimentava, seguendo la moda delle pubblicazioni mnemotecniche, anche coi libri scolastici pubblicando un manualetto di grammatica e uno di prosodia, risalenti forse al tempo della sua gioventù: il Libellus isagogicus quo duce perdiscent pueri iuvenesque senesque horis tercentum dogmata grammatices (Romae, Cartolari, 1540) e l'Ars metrica de quantitate syllabarum in componendis versibus necessaria (Romae, Cartolari, 1541). Di questi anni si conoscono anche due compilazioni predittive: lo scarno, generico e prudentissimo Pronostico… sopra l'anno MDXLI al reverendissimo card. de Monte (s.l. né d., ma 1540) e un breve Iudicium d. Lucae Gaurici per il 1544 di cui si conosce solo una edizione tedesca (Norimberga, Petreio, s.d., ma 1543) ove esso è preceduto da un pronostico di Achille Gasser.
Il 18 apr. 1543 al G. e al suo discepolo bolognese Vincenzo Campanacci fu dato l'incarico di trovare il punto astrologico favorevole per la posa della prima pietra dell'ala farnesiana del Vaticano; emergeva chiaramente così il suo ruolo di "astrologo ufficiale" di Paolo III, che nel dicembre 1545 lo creava vescovo di Civitate nella Capitanata (al cui governo rinunciò nel 1550 riservandosi il titolo e una pensione). La nomina, con la quale il G. riusciva così, dopo che erano falliti i tentativi degli anni precedenti di farsi nominare vescovo di Giffoni, a coronare un suo vecchio sogno, suscitò lo scandalo del card. Cristoforo Madruzzo principe e vescovo di Trento, che, conoscendolo bene e da tempo, lo definì in una privata conversazione "persona indegnissima di tal grado".
Morto il suo protettore Paolo III nel 1549, il G. fece ritorno a Venezia. Nel 1551 uscirono a Bologna (per i tipi del Giaccarello) di seguito alla Aristotelis physiognomia adamantio interprete e a brani fisiognomici del De sculptura del fratello Pomponio (prima ed. 1504) alcuni suoi opuscoli di fisionomia e chiromanzia (un In supra notatis a Pomponio fratre epilogus, una Alia hominis physiognomia e dei Chyromantiae axiomata); a Venezia nel 1552 il G. pubblicava il Calendarium ecclesiasticum novum (Venetiis, Giunta, 1552) e il Tractatus astrologicus in quo agitur de praeteritis multorum hominum accidentibus per proprias eorum genituras ad unguem examinatis (ibid., Navò, 1552), forse la sua opera più famosa.
Essa, come già un'opera analoga di G. Cardano e come poi quella dell'allievo del G. Francesco Giuntini, è costituita da una lunga serie di temi natali di città, pontefici, cardinali, sovrani, studiosi, filosofi, poeti, artisti e infine di persone o morte violentemente o nate con qualche tara fisica o psichica. Unita agli oroscopi è una paginetta di commento alla vita del personaggio, piena di preziose notizie biografiche e contenente un profilo psicologico spesso acuto e sempre gustoso, perché aperto liberamente alla chiacchiera e al pettegolezzo. Questa sorta di ritratti, così simili talvolta a quelli degli Elogia di P. Giovio, dovevano servire, come già quelli del Cardano, a confermare la verità dell'astrologia e la validità dei temi natali personali mettendo a confronto la configurazione celeste al momento della nascita e le vicende e inclinazioni psicologiche da essa annunciate con il pressoché inevitabile esito complessivo della vita del personaggio esaminato.
Quest'opera procurò al G. l'espulsione da Venezia; nell'oroscopo di questa città, infatti, parlando del riacquisto di Padova da parte dei Veneziani nel 1509, l'astrologo aveva falsamente asserito che il governo della Repubblica avrebbe in quel frangente fatto impiccare come filoimperiali il filosofo Pietro Trapolin e Antonio Capodivacca: in realtà, il primo era morto nel suo letto e il secondo risultava addirittura ancora vivo. Ammonito dal magistrato contro la Bestemmia e invitato a pubblicare una smentita, il G. si rifiutò e preferì abbandonare Venezia, mentre le autorità della Repubblica, coscienti della popolarità e diffusione delle opere dell'astrologo, facevano pubblicare da uno scolaro del G. un chiarimento del fatto (Ex amplissimi magistratus decreto qui contra blasphemantes a decemviris institutus est falsarum assertionum Lucae Gaurici episcopi Civitatensis de morte Petri Trapolini et Antonii Capovacensis in tractatu astrologico nunc primum edito Antonii Peregrini confutatio, s.l. né d., ma ibid. 1552). Prima di partire da Venezia, nel luglio 1552, il G. aveva inviato al duca di Ferrara un pronostico su Carlo V, Ferdinando I e Enrico II di Francia (Archivio di Stato di Modena, Archivio Estense, Cancelleria, Archivi per materie, busta "letterati"); in esso il G., accostandosi alle tendenze filofrancesi di Ercole II, appare di nuovo nettamente favorevole alla Corona francese ed ostile all'Impero.
Un particolare di questo vaticinio, in cui si alludeva a pericoli per gli occhi del re di Francia, parve essere confermato sette anni dopo, quando Enrico II morì per una ferita all'occhio ricevuta in torneo, e fece rinverdire in Francia le polemiche sulla validità e veridicità dei pronostici.
Partito da Venezia il G. si rifugiò dapprima a Bologna, da dove nel 1554 carteggiò col duca di Ferrara; poi nel giugno del 1556, spinto da difficoltà economiche e dalla speranza di essere di nuovo aiutato dai Farnese, rientrò a Roma dove probabilmente compilò, nell'ottobre, un pronostico per il 1557 di cui si è conservata solo la traduzione tedesca eseguita da Adam von Bodenstein: Weyssagung Sybille Tyburtine von dem ehrwurdigen hochgelerten Herren Luca Gaurico… dieser Zeit dem furnemmender Astrologen Italie… fur das 1557 Jar (s.l. né d., ma probabilmente Basilea 1557). Dopo un periodo trascorso, tra il 1556 e il 1557, nella Campagna romana, per sfuggire i pericoli e la confusione prodotti dalla guerra tra Paolo IV e gli Spagnoli, il G., rientrato nel corso del 1557 nella città, riprese la pubblicazione delle sue opere: il De ocio liberali (Romae, Dorico, 1557) - pubblicato assieme a una piccola antologia di poeti latini antichi e moderni, il Liber de illustrium poetarum auctoritatibus - ove si rievoca il fratello Pomponio che illustra il suo concetto di un "otium" fruttuoso di opere e pensieri; e un'opera giovanile in prosa e in versi scritta, pare, insieme con il fratello Pomponio, la Machinae, sive Spherae coelestis totius… descriptio (ibid., id., 1557), cioè una esposizione elementare della sfera, accompagnata dalla citata seconda redazione dell'Oratio ferrarese, dedicate ambedue a quel card. Madruzzo che aveva dato del G. un così negativo giudizio. Ma scarsa doveva essere la considerazione goduta nella Roma di Paolo IV dal vescovo astrologo, anche per il crescente controllo a cui, dopo il concilio, veniva sottoposto, per motivi politici e dottrinali, quel tipo di letteratura in cui egli si era distinto; prova ne sia il fatto che il suo Tractatus astrologicus del 1552 fu subito incluso nel primo Index librorum prohibitorum (1558) e che un atteggiamento avverso a Paolo IV si riscontra nei due ultimi pronostici dell'astrologo: il Pronosticon cuius initium 1556 finis 1557. Schema coeleste horrificum (Parigi, Bibl. de l'Arsenal, ms. 2891, t. II, int. 299r-300v) e il Prognosticon cuius initium erit vertente anno Humanati Verbi MDLVI finis autem anno MDLXXXVIII a stampa (s.n.t.), dei quali restano da chiarire le connessioni con il sopracitato Weyssagung Sybille Tyburtine… fur das 1557 Jar. Nel 1557 uscì la sua ultima fatica astronomica e astrologica, le Tabulae de primo mobili quas directionum vocitant… quibus annectitur tractatus iudicandi omnium aphetarum apotelesmata, seguite dalle Directiones, progressiones sive inambulationes, ascensoria tempora, horimea horarum constitutio (Romae, Blado, 1557), composte verso il 1550 e dedicate ora al neoeletto arcivescovo di Napoli Alfonso Carafa.
Il G. si spegneva a Roma pochi mesi dopo, il 6 marzo 1558, dopo aver legato per testamento la sua biblioteca alla chiesa del nativo villaggio Gauro, e veniva seppellito, a cura dei suoi eredi, il giffonese Sebastiano Benincasa e il bolognese Ottaviano Cane, nella chiesa dell'Aracoeli.
Postume uscirono ancora, a cura del Benincasa, due opere teoriche: il Super tabulis directionum Ioannis Monteregiensis quoddam supplementum necnon tractatus iudicandi omnium aphetarum directiones (Romae, Luchino, 1560) ed il Tractatus iudicandi conversiones sive revolutiones nativitatum (ibid., id., 1560); nel 1575 a Basilea si promosse poi, presso la stamperia di Heinrich Petri, una riedizione in tre grossi tomi di quasi tutti i trattati astronomici e astrologici del Gaurico.
Il G., come si è accennato, esplicò anche, lungo tutto l'arco della sua vita, una importantissima attività di editore prima per conto dei tipografi veneziani e poi per quelli romani di testi astronomici e matematici; queste le edizioni da lui curate e arricchite sempre di sue prefazioni, note e addizioni: il Tetragonismus, idest circuli quadratura per Campanum, Archimedem Syracusanum atque Boethium adinventa (Venetiis, Sessa, 1503); la Perspectiva communis di Giovanni di Peckham (ibid., id., 1504); le Tabulae directionum del Regiomontano (ibid., Giunta, 1524) seguite da un Libellus del G. stesso contenente un trigonometrico De arcu et sinu 100.000 particularum e varie Tabulae; le Alphonsi Hispaniarum regis tabulae seguite dalle Tabulae Elisabeth reginae (ibid., id., 1524); l'Almanach perpetuum di Abraham Zacuto (ibid., id., 1526); un volume comprendente vari scritti astrologici, tra i quali il De nativitatibus et interrogationibus di Omar ibn Farkhan e il De antisciis et cur astrologorum iudicia plerumque fallant di Giorgio Trapezunzio (ibid., id., 1526); le Tabulae ethereorum motuum secundi videlicet mobilis, luminarium et planetarum di Giovanni Bianchini (ibid., id., 1526); il poema astrologico e astronomico di Lorenzo Bonincontri Rerum naturalium et divinarum, sive de rebus coelestibus libri tres (ibid., Niccolini da Sabio, 1526); l'Almagestum di Tolomeo nella traduzione del Trapezunzio (ibid., Giunta, 1528); un volume contenente, oltre le citate sue De astronomiae seu astrologiae inventoribus… oratio e Quaestio… numquid sub aequatore sit habitatio degli anni ferraresi, gli Sphaerae tractatus di vari autori tra i quali Giovanni di Sacrobosco, Gerardo da Cremona, G. Peurbach, Prosdocimo de Beldomandi, Alpetragio, il Regiomontano, G.B. Capuano, Campano da Novara, J. Le Fèvre d'Étaples (ibid., id., 1531); le Centum sententiae interprete Georgio Trapezuntio di Tolomeo (ibid., Dorico, 1540); il Tractatus de nativitatibus di Abraham ibn Esra (ibid., id., 1545). Il G. fu poi editore e prefatore anche di due opere del fratello Pomponio: dell'Ammonius in quinque voces Porphyrii (Venetiis, Sessa, 1504) e delle Elegiae XXIX (s.l. né d., ma Venezia, Bindoni e Pasini, 1526). Tra le molte lettere e "temi natali" del G. dispersi nelle biblioteche giova poi qui ricordare un Horoscopo di Massimiliano Cesare del 1518 (Archivio di Stato di Milano, Archivio ducale visconteo sforzesco, Potenze sovrane, cart. 1569) e un Prognosticon ex cuiusdam nativitate non datato (Vienna, Österr. Nationalbibliothek, Cod. Lat. 10650).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Curia del podestà, Carte di corredo 449; Arch. di Stato di Firenze, Carte del card. di Ravenna, 7, int. 8, cc. 18-19 (lettera del G. all'Accolti del 5 apr. 1544 annunciante l'invio del De vera nobilitate); ibid., 4, int. 4 cc. 329r-330r (un feroce attacco contro il G. inviato all'Accolti nel settembre 1545 dall'astrologo dei Gonzaga Paolo della Cicogna sotto il nome di Endimio Calandra, segretario del card. Ettore Gonzaga); C. Ghirardacci, Della historia di Bologna parte terza, a cura di A. Sorbelli, in Rerum Italicarum Scriptores, XXXIII, I, t. 1, p. 342; M. Sanuto, I diarii, Venezia 1879-1903, XXXVI, coll. 437 s., 609; XLI, col. 103; LII, col. 503; LVI, coll. 382 s., 490; L. e G. Amaseo, Diarii udinesi dal 1508 al 1541, Venezia 1884, pp. 322-324; I rotuli dei lettori legisti ed artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, a cura di U. Dallari, I, Bologna 1888, p. 195; Un pronostico satirico di Pietro Aretino (MDXXXIIII), a cura di A. Luzio, Bergamo 1900, pp. 3, 44-46; G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1750, III, 2, pp. 113-121; III, 4, pp. 352 s.; J. Brunacci, De Benedicto Tyriaco, in Raccolta di opuscoli, a cura di A. Calogerà, XLIII, Venezia 1750, pp. XXIX s.; O. Mazzoni Toselli, Racconti storici estratti dall'Archivio criminale di Bologna, II, Bologna 1868, pp. 560-562; A. Ronchini, L. G., in Atti e memorie delle Rr. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, VII (1873), pp. 77-83; A. Luzio, Pietro Aretino e la corte dei Gonzaga, Torino 1888, pp. 8 s.; F. Gabotto, Alcuni appunti per la cronologia della vita dell'astrologo L. G., in Arch. stor. per le provincie napoletano, XVII (1892), pp. 278-298; E. Percopo, L. G. ultimo degli astrologi, in Atti della R. Accademia di archeologia, lettere e belle arti, XVII, II (1893-96), pp. 3-49, 117; G. Fantaguzzi, Caos. Cronache cesenati del sec. XV, Cesena 1915, p. 231; A. Silvestri, Una bolla inedita di Paolo III per L. G., in Arch. stor. per la provincia di Salerno, n.s., III (1935), pp. 230-238; Id., L. G. e l'astrologia a Mantova nella prima metà del Cinquecento, in L'Archiginnasio, XXXIV (1939), pp. 299-315; M. Sander, Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu'à 1530, II, Milano 1942, pp. 532-534; D. Rhodes, An unknown library in South Italy in 1557, in Transactions of the Cambridge Bibliographical Society, VI (1957), p. 12; P. Gauricus, De sculptura, a cura di A. Chastel - R. Klein, Genève 1969, pp. 11-19, 121; P. Zambelli, Fine del mondo o inizio della propaganda? Astrologia, filosofia della storia e propaganda politico-religiosa nel dibattito sulla congiunzione del 1524, in Scienze, credenze occulte, livelli di cultura. Atti del Convegno, Firenze… 1980, Firenze 1982, pp. 291-368; Id., Da Giulio II a Paolo III. Come l'astrologo provocatore L. G. divenne vescovo, in La città dei segreti, a cura di F. Troncarelli, Milano 1982, pp. 299-323; Id., Il mostro di Sassonia nelle inedite "Historiae Senenses" di Sigismondo Tizio, in Interpres, VII (1987), pp. 214-218; O. Niccoli, Profeti e popolo nell'Italia del Rinascimento, Bari 1987, pp. 233 s.; P. Zambelli, L'ambigua natura della magia. Filosofi, streghe, riti nel Rinascimento, Milano 1991, pp. 161-165; F. Tateo, Il bivio dell'ozio: da Petrarca a L. G., in "Per dire d'amore". Reimpiego della retorica antica da Dante agli Arcadi, Napoli 1995, pp. 79-107; G. Van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 183; Catalogo dei libri a stampa in lingua italiana della Biblioteca Colombina di Siviglia, a cura di K. Wagner - M. Carrera, Modena 1991, pp. 201 s.