FIESCHI, Luca
Nato verso il 1275 da Niccolò di Tedisio e da una Leonora di cui non conosciamo il casato, apparteneva alla famiglia guelfa ligure dei conti di Lavagna, che aveva assunto il nome di Fieschi alla fine del XII secolo. Da parte di padre il F. era nipote del cardinale Ottobono, divenuto papa nel 1276 con il nome di Adriano V, e pronipote di Sinibaldo di Ugo, papa Innocenzo IV. La sua numerosa parentela era legata alle principali famiglie genovesi (Malaspina, Grimaldi, Malocelli) e ai Savoia in seguito al matrimonio di Beatrice Fieschi, sorella di Ottobono, con Tommaso di Savoia.
Alla morte di suo fratello Brancaleone, nel 1297, il F. ricevette il canonicato di Lichfield, tenuto fino ad allora da quest'ultimo; a quel tempo aveva già il titolo di suddiacono e cappellano del papa e fu dispensato dai requisiti di ordine, di residenza e di età (aveva quindi meno di 25 anni). Un anno più tardi è attestato come canonico di Parigi. Godeva indubbiamente dei favori di Bonifacio VIII, visto che da lui fu promosso al cardinalato nel 1300, ancora giovanissimo. Gli fu assegnato il titolo diaconale di S. Maria in via Lata; ricevette inoltre la chiesa dei ss. Cosma e Damiano e quella di S. Marcello, benefici questi, che, insieme con la dignità cardinalizia, erano stati tolti a Giacomo Colonna. L'attaccamento del F. verso la persona di Bonifacio VIII era dettato quindi forse anche dal timore (così almeno sostiene Z. Hlédicova) che i Colonna recuperassero i loro beni.
Le circostanze della sua promozione cardinalizia non bastano tuttavia a confermare, come vuole Holtzmann, la tradizione, riportata dalle cronache di Orvieto e di Parma, che attribuisce al giovane cardinale il ruolo di liberatore nella vicenda dell'attentato di Anagni. È senza fondamento il racconto secondo il quale il F., alla testa del popolo di Anagni, avrebbe fatto uscire Bonifacio VIII dal palazzo episcopale, dove era rimasto prigioniero per tre giorni. Rimangono in ogni caso varie testimonianze dei suoi legami con Teodorico d'Orvieto e Pietro Gomez, che furono tra i cardinali più fedeli al papa.Durante il pontificato di Benedetto XI il F. ottenne anche una rendita inglese, resignata da suo cugino Leonardo Fieschi, e quelle dei monasteri di Marola e Campagnola nella diocesi di Reggio Emilia. In questa circostanza, nel 1303, è tramandato per la prima volta un abbozzo di elenco della sua familia e dei collaboratori che lo accompagnarono fino alla morte, dei quali facevano parte, tra gli altri, Gugliemo da Cornazzano di Parma, Tedisio Malocelli e uno dei due Bernabò Malaspina di Genova. Al conclave di Perugia i rappresentanti di Giacomo II d'Aragona lo collocarono nel partito dei bonifaciani. La morte del cardinale Matteo Rosso privò il partito del suo rappresentante più determinato e il F. non tardò a schierarsi col nuovo eletto Clemente V. Si recò dunque a Lione, per l'incoronazione pontificia, senza tuttavia rinunciare a far tappa a Firenze, su invito dei neri.
Fino al suo ritorno in Italia il F. assistette Clemente V negli incarichi curiali che spettavano abitualmente ai cardinali. La sua assiduità e la prospettiva di dover sostenere nuove spese in occasione del suo viaggio in Italia gli valsero senza dubbio le nuove rendite che il papa gli fece attribuire nella regione di Orvieto; ricevette inoltre l'autorizzazione a disporre dei benefici del capitolo di S. Salvatore di Lavagna, di cui i suoi nipoti e familiari furono i principali beneficiari. Un importante incarico politico attendeva infatti il F.: insieme con il cardinal legato Arnaud de Faugières e con il cardinale vescovo di Porto, Niccolò da Prato, doveva andare incontro a Enrico VII di Lussemburgo, che aveva appena sconfitto il suo rivale per il trono tedesco, e che era venuto a farsi incoronare imperatore a Roma. La legazione lasciò la Curia avignonese durante l'estate del 1311. Il F. vi sarebbe tornato solo nel novembre 1316.
In un primo tempo si possono seguire facilmente gli spostamenti del F. al seguito dell'imperatore, che i cardinali raggiunsero durante l'assedio di Brescia. L'intervento di Enrico VII a Milano in favore dei Visconti aveva provocato una forte reazione guelfa a Crema, Cremona e Brescia e quest'ultima città aveva deciso di resistergli. Episodi drammatici segnarono questo assedio, tra cui in particolare il rifiuto opposto dal cardinale Niccolò da Prato alla richiesta dell'imperatore di pronunciare sentenze ecclesiastiche contro la città e la selvaggia esecuzione di Tebaldo Brusati, signore di Brescia, caduto nelle mani degli assedianti, che indussero il Comune a negoziare l'ingresso dell'imperatore. In quell'occasione il F., la cui famiglia intratteneva legami di amicizia con i Brusati, fece da intermediario tra le due parti. Senza dubbio egli non fu estraneo al progetto dell'imperatore di trascorrere una parte dell'inverno a Genova, dove il corteo imperiale fece il suo ingresso trionfale nell'ottobre 1311.
Per aggirare Firenze che si preparava a resistergli, Enrico VII si imbarcò a Genova alla volta di Pisa nel marzo 1312. Giunto a Roma nel maggio, trovò una parte della città - compresa la basilica di S. Pietro - nelle mani di Roberto d'Angiò e delle sue truppe, mentre l'altra era dominata dai Colonna e dai ghibellini. I tentativi di liberare la strada di accesso alla basilica si trasformarono in un massacro, tanto che la cerimonia di incoronazione dovette svolgersi in Laterano solo il 29 giugno, alla presenza del F. e dei cardinali Arnaud de Faugières e Niccolò da Prato. La situazione suggerì all'imperatore di lasciare presto Roma: si installò infatti qualche giorno dopo a Tivoli sempre in compagnia dei tre cardinali, davanti ai quali protestò solennemente contro il papa che aveva appena imposto una tregua tra lui e re Roberto d'Angiò senza averlo consultato.
Enrico VII si diresse quindi contro Firenze, che era divenuta il centro della resistenza antimperiale, ma abbandonò l'assedio dopo quaranta giorni, per organizzare una spedizione contro re Roberto. In quel momento il F., che aveva abbandonato il seguito imperiale, era in buoni rapporti con i Fiorentini, e si trovava a Lucca dove Clemente V lo aveva incaricato di condurre, insieme con Niccolò da Prato, un'inchiesta sul tesoro pontificio che il card. Gentile da Montefiore stava trasferendo ad Avignone allorché morì. 1 due cardinali depositarono il tesoro presso i domenicani di Lucca: qui venne depredato due anni più tardi da Uguccione Della Faggiuola. A Lucca il F. fu raggiunto anche da un messaggero di Enrico VII che lo avvertì delle difficoltà create da Carlo Fieschi, suo fratello, a Pontremoli. Non è noto come si svolsero i negoziati: comunque, l'imperatore cedette al F. e ai suoi fratelli Carlo e Ottobono il castrum di Pontremoli come feudo nobile un mese prima di morire a Buoncovento il 24 ag. 1313.
Pontremoli era stata ceduta una prima volta a Niccolò Fieschi, padre, del F., da Guglielmo di Olanda nel 125 1. A questa cessione si erano opposti al tempo i Malaspina, che si erano considerati lesi nei loro diritti e anche in questo caso gli stessi rinnovarono la loro opposizione alla presa di Pontremoli da parte del Fieschi nel 1313. Una prima fase del conflitto terminò alla fine del 134 con la vittoria del Fieschi. Ma l'occupazione fu di breve durata: sotto l'influenza del Comune di Parma, la guerra riprese fino al 1319, quando il dominio di Pontremoli fu affidato a Giberto da Correggio, la cui figlia Donella sposò Giovanni figlio di Carlo Fieschi.
La cronaca di Parma attribuisce molta importanza a tali avvenimenti, ma ricorda la presenza del cardinale in questa regione una sola volta, nel febbraio 1315. D'altronde l'informatore dall'Italia di Giacomo II d'Aragona riferisce che il F. partecipò a Firenze ai preparativi guelfi per la lotta contro i ghibellini di Lucca e di Pisa. In ogni caso il F. ritornò alla Curia il 17 nov. 1316, solo pochi giorni dopo la nomina di suo fratello Carlo Fieschi a capitano del Popolo, insieme con Gaspare Grimaldi, da parte del Comune genovese, di nuovo guelfo. Tutto porta dunque a credere che, dopo il rafforzamento del partito guelfo in seguito alla morte di Enrico VII e la concessione di Pontremoli ai tre fratelli Fieschi, il F. abbia cercato di rafforzare la posizione della sua famiglia anche a Genova.
Nel frattempo ad Avignone era morto Clemente V (aprile 1314) e il conclave aveva eletto papa Jacques Duèse, già consigliere di Roberto d'Angiò, che aveva preso il nome di Giovanni XXII. Il F. doveva ora farsi perdonare la sua prolungata assenza e cercare di ottenere i favori del nuovo papa. La documentazione della Camera del Collegio cardinalizio attesta che a causa della sua assenza, per la quale dovette giustificarsi per iscritto, fu privato delle rendite dei censi per l'anno 1316 e della sovvenzione accordata agli altri cardinali da Giovanni XXII in occasione della sua incoronazione a Lione. Alla fine dell'anno, tuttavia, i suoi rapporti con il papa erano già diventati buoni, poiché Giovanni XXII gli fece assegnare la stessa sovvenzione e assegnò benefici a una quarantina di persone del seguito dello stesso Fieschi. Giovanni XXII inoltre gli affidò una missione politica in Inghilterra, insieme con il cardinale Gaucelme de Jean suo nipote e cancelliere, al fine di riconciliare Edoardo II con Roberto I di Scozia, di chiedere a Edoardo di trasmettere agli ospedalieri di S. Giovanni di Gerusalemme i beni dei templari e di risolvere alcune questioni di amministrazione ecclesiastica.
Investiti di estesi poteri, i legati lasciarono la Curia nel maggio 1317 con un grosso seguito. Arrivarono a Dover a giugno; da lì Edoardo II li fece accompagnare sotto scorta fino a Londra, dove la loro presenza è attestata il 17 giugno. A luglio partirono per la Scozia. A settembre furono derubati durante il viaggio e tenuti prigionieri (per poco tempo); alcuni dei loro uomini furono uccisi. Giovanni XXII reagì molto energicamente, quando ricevette la notizia: inviò ai suoi legati 1000 fiorini e pretese dal re un'inchiesta e un processo. I responsabili dell'attentato erano membri della nobiltà che, al seguito di Tommaso di Lancaster, manifestavano in tal modo la loro opposizione al sovrano, motivo per cui l'avvenimento ebbe una vasta eco in Inghilterra.
Nonostante questo incidente i cardinali continuarono la loro missione presso l'università di Oxford per il conferimento dei titoli di studio e presso gli arcivescovi di Canterbury e di York per invitarli alla concordia. Prima di avviarsi sul cammino del ritorno il F. nominò un procuratore per dodici anni, incaricato di amministrare i suoi benefici di Lichfleld, di Tirrington e quelli che aveva ricevuto dal re. I legati lasciarono Londra il 18 sett. 1318. Sulle questioni secondarie non avevano incontrato molti ostacoli, ma l'obiettivo principale della loro missione non era stato raggiunto: Roberto di Scozia aveva rifiutato una riconciliazione con Edoardo II e, di conseguenza, rimaneva sottomesso alla scomunica e all'interdetto pronunciati contro di lui. La questione scozzese continuò ad occupare i cardinali tornati in Curia, come testimonia il processo terminato nel novembre 1319 con la conferma delle censure ecclesiastiche (abolite solo dieci anni dopo).
Negli anni successivi il F. assistette in Curia alle tensioni politiche esplose durante il soggiorno di Roberto d'Angiò ad Avignone: la lotta tra guelfi e ghibellini a Genova, il progetto di crociata proposto dal re di Francia, e i preparativi per l'occupazione della Sardegna da parte di Giacomo II d'Aragona. Ma è difficile distinguere negli interventi del cardinale una continuità d'azione che offra un quadro esatto delle sue idee e delle sue simpatie politiche.
Nel 1319 il F. prestò al Comune la somma di 9500 fiorini d'oro, prendendosi come garanzia il "sacro catino", una reliquia venerata nella chiesa di S. Lorenzo. I Genovesi recuperarono la reliquia ventuno anni più tardi, quando nel 1340, dopo la morte del cardinale, fu restituito il prestito.
D'altronde le lettere dei rappresentanti aragonesi alla Curia descrivono il F. nel 1322 come amico intimo di Roberto d'Angiò. Per questa ragione il papa lo scelse, insieme con Giovanni Caetani, come intermediario nel tentativo di riconciliare il re con Giacomo d'Aragona. L'anno seguente le lettere di Vidal de Villanova e di Ferarius d'Apilia lo presentano come difensore degli interessi aragonesi, insieme con il cardinale Napoleone Orsini, con il pericolo di irritare il papa alla vigilia della spedizione aragonese in Sardegna, quando fu tentata un'ultima riconciliazione tra Pisa e Genova. Non gli fu affidato tuttavia alcun ruolo politico di primo piano. Nel parere scritto relativo alla proposta di Filippo il Lungo di sbarcare in Terrasanta - che era stato chiesto a tutti i cardinali - il F. espresse il suo dissenso: il denaro del re di Francia sarebbe stato sperperato in una spedizione che, secondo lui, era votata al fallimento; sarebbe stato meglio far pervenire le sovvenzioni in mani sicure e farle distribuire sul posto secondo i bisogni.
Se risulta difficile individuare una linea politica precisa negli interventi del F., altri tratti appaiono invece più chiaramente. Da una parte egli era molto bene informato di tutto ciò che succedeva non soltanto a Genova, ma anche sul mare e nel Lazio; dall'altra, sia perché aveva saputo mantenere buoni rapporti nello stesso tempo con il re Roberto e con Giacomo d'Aragona, sia perché la sua posizione era mutata tra il 1322 e il 1323, si intravede a partire da questa data il suo riavvicinamento a Napoleone Orsini, confermato dal testamento e dagli inventari redatti dopo la sua morte. Infine appare chiaro che il F. non era insensibile al denaro: i regali ricevuti dai Fiorentini nel 1305, la ricompensa che gli fu versata da Enrico VII dopo l'incoronazione, l'episodio del prestito del 1319 e il ragionamento sul quale si basa la sua opinione sullo sbarco in Terrasanta confermano questa impressione.
Il F. morì ad Avignone il 31 genn. 1336, il giorno stesso in cui fece testamento. Il suo corpo fu imbalsamato e provvisoriamente deposto presso i frati minori di S. Francesco, prima di essere trasferito nella tomba a S. Lorenzo di Genova, dove si trova ancora oggi. Stranamente, la documentazione relativa alla sua morte è molto più abbondante di quella riguardante la sua carriera cardinalizia.
Nel suo testamento il cardinale dispose la fondazione di due cappelle, una a S. Salvatore di Lavagna e l'altra a S. Maria Maggiore di Roccatagliata. Come eredi dei suoi diritti su Pontremoli, ereditata dal fratello Federico, nominò i figli e i nipoti dell'altro suo fratello Carlo, con l'obbligo per loro di rispettare il testamento del padre e del nonno. Decise anche la costruzione di due chiese a Genova, la prima delle quali, S. Maria in via Lata, doveva essere provvista di un capitolo di venticinque membri; la seconda, più modesta, doveva essere eretta a Carignano.
La documentazione che fa seguito al testamento mette in luce il tenore di vita del cardinale. I suoi appartamenti occupavano otto case affittate (una da vent'anni) ad Avignone. La familia era costituita in quel momento da un centinaio di persone. Un gran numero di inventari forniscono molti dettagli sui servizi domestici e le liste di oggetti preziosi - argenterie, gioielli, ornamenti, tessuti rari, libri - testimoniano un'accumulazione sistematica di ricchezza.
La familia, di cui si ha testimonianza in occasione dell'ultimo pagamento previsto nel testamento, ma anche nella documentazione relativa agli episodi successivi al decesso, era composta da circa quindici cappellani, alcuni dei quali legati a lui da lunga data, da due camerieri, due notai e quattro medici. Un gruppo di chierici, di familiari e di "domicelli" (da venti a venticinque) si distingueva dagli altri servitori, perché i loro compiti risultavano spesso specificati.
La biblioteca del F. era composta da un centinaio di volumi, di cui almeno un terzo di diritto canonico, tra i quali un autografo delle decretali di Innocenzo IV, glosse, trattati sulla potestà del papa e formulari giuridici. Una ventina di volumi contenevano i testi delle Sacre Scritture, altrettanti erano libri liturgici; completavano la raccolta alcuni volumi di patrologia e un piccolo gruppo di libri di cultura profana: autori antichi, storia, scienza e medicina.
Fonti e Bibl.: Il testamento e gli inventari redatti dopo la morte del F., conservati nell'Arch. segr. Vaticano, sono pubblicati in A. Sisto, Genova nel Duecento. Il capitolo di S. Lorenzo, Genova 1975, pp. 141-330; il solo testamento è invece pubblicato in A. Paravicini Bagliani, Itestamenti dei cardinali del Duecento, Roma 1980, pp. 451-458. Altri documenti inediti relativi al F. si trovano in Arch. segr. Vaticano, Reg. Aven. 87A, ff. 89-116 e Cam. apost. Collector 350, ff .67 s.; 382, ff. 1-8. Solo la lista dei familiari contenuta in quest'ultimo documento è stata pubblicata da N. P. Zacour, Papal regulation of cardinals' households in the fourteenth century, in Speculum, L (1975), pp. 449-453, e da Z. Hlédlikova, Raccolta di scritti di L. Fieschi, Praga 1985, pp. 101 s. (a pp. 111-132 sono pubblicate per la prima volta ventiquattro lettere indirizzate al F. tra il 1319 e il 1335, ritrovate nella legatura di un manoscritto conservato a Praga). La lista dei libri posseduti dal F. è pubblicata in Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la Papauté d'Avignon, a cura di D. Williman, I, Paris 1980, pp. 123-134.
Cfr. inoltre: Chronicon Parmense, a cura di G. Bonazzi, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., IX, 9, pp. 86, 129, 132, 138, 149, 157; T. Rymer, Foedera, conventiones, litterae..., II,Londoni 1739, nn. 129-189; Acta Henrici VII, a cura di F. Bonaini, Firenze 1877, pp. 38, 109-113, 126, 240, 279; A. Germain, Lettre de Manuel Fieschi concernant les dernières années du roi d'Angleterre Edouard II, in Mém. de la Société archéologique de Montpellier, VII (1881), pp. 105-117; Regestum Clementis papae V, Romae 1885-1892, ad Indicem; Monuments originaux de l'histoire de Saint Yves, a cura di A. de La Borderie - J. Daniel - R.-P. Peryuis, Saint Brieuc 1887, pp. 301-305; Calendar of the patent rolls. Edward II, 1313-1317, 1317-1321, London 1894-1896, adIndicem; P. M. Baumgarten, Untersuchungen und Urkunden über die Camera Collegii cardinalium für die Zeit von 1299 bis 1437, Leipzig 1898, ad Indicem;A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, XXXI (1901-1903), ad Indicem; Les registres de Benoît XII, Lettres communes, a cura di J.-M. Vidal, Paris 1903-1911, ad Indicem; Les registres de Benoît XI, a cura di C. Grandjean, Paris 1904, ad Indicem; Les registres de Boniface VIII, a cura di G. Digard - M. Faucon - A. Thomas - R. Fawtier, Paris 1904-1929, ad Indicem; Les registres de Jean XXII, a cura di G. Mollat, Paris 1904-1947, ad Indicem;A. Finke, Acta Aragonensia, I-III, Berlin-Leipzig 1908-1922, ad Indices; Jean XXII, Lettres seerètes et curiales relatives à la France, a cura di A. Coulon-S. Clémencet, Paris 1910, n. 1702; E. Baluze, Vitae paparum Avenionensium, a cura di G. Mollat, I-III, Paris 1914-1928, I-III ad Ind.; F. Federici, Trattato della famiglia Fiesca, Genova [1646], pp. 37-391; R. Holtzmann, Wilhelm von Nogaret. Rat und Grossiegelbewahrer Philipps des Schönen von Frankreich, Freiburg 1899, pp. 101 s.; A. Ferretto, Contributo alle relazioni tra Genova e i Visconti nel secolo XIV. Il contratto nuziale di Isabella Fieschi con Luchino Visconti, in Giorn. stor. e letter. della Liguria, V(1904), pp. 433-437; R. Caggese, Roberto d'Angiò e i suoi tempi, Firenze 1922, ad Indicem; G. M. Monti, Da Carlo I a Roberto di Angiò, Trani 1936, ad Ind.; G. Digard, Philippe le Bel et le Saint-Siège de 1285 à 1305, Paris 1936, ad Ind.; W. E.Lunt, Financial relations of the Papacy with England to 1327, Cambridge, Mass. 1939, pp. 167 s., 564-568; F. Bernini, Innocenzo IV e il suo parentado, in Nuova Riv. stor., XXIV(1940), pp. 178-189; P. Guidi, Inventarii di libri nelle serie dell'Archivio Vaticano, 1287-1459, Roma 1948, p. 28; G. Mollat, Contribution a l'histoire du S. Collège de Clément V à Eugène IV, in Revue d'hist. ecclés., XLVI (1951), pp. 22-112, 566-594; E. G. Léonard, Les Angevins de Naples, Paris 1954, pp. 209-235; M. Giuliani, Pontremoli e le signorie dei Fieschi nell'Appennino ligure-parmense, in Arch. stor. per le prov. parmensi, VI(1957), pp. 77-131; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1960, pp. 352, 418, 602, 637, 656, 860; J. Le Neve, Fasti Ecclesiae Anglicanae 1300-1541, X, Coventry and Lichfield diocese, London 1964, p. 45; G. Mollat, Les papes d'Avignon. Un supplément du XIVe siècle aux listes du docteur Pansier, in Mélanges d'hist. et d'archéol. de l'École française de Rome. Moyen âge-Temps modernes, LXXXIII (1971), pp. 389-433; J. de Font-Réaulx, Les cardinaux d'Avignon: leurs armoiries et leurs sceaux, in Bulletin de la Société des amis du palais des papes d'Avignon, XLVIII (1971), pp. 21 s.; I. Walter, Brusati, Tebaldo, in Diz. biogr. degli Italiani, XIV, Roma 1972, pp. 693 ss.; A. Sisto, Genova nel Duecento. Il capitolo di S. Lorenzo, Genova 1975 pp. 11, 44, 85, 89, 99, 127; G. Petti Balbi, IFieschi ed il loro territorio nella Liguria, in La storia dei Genovesi, III,Genova 1983, pp. 105-129; A. Gagliano Candela, Ilcard. L. F. nella cultura e nell'arte, in La storia dei Genovesi, X, Genova 1990, pp. 155-196.