FERRARI, Luca (Luca da Reggio)
Nato a Reggio Emilia il 17 febbr. 1605 da Battista, orefice, e da tale Bartolomea, venne battezzato due giorni dopo (Balletti, 1886, p. 37).
Un suo periodo di apprendistato a Bologna nella bottega di Guido Reni è attestato dal Tiraboschi (1786), seguito dal Lanzi (1808);ma Scannelli, già nel 1657, lo aveva invece indicato come seguace di A. Tiarini. Nel 1627, infatti, è menzionato come aiutante del Tiarini a Modena in un documento riportato dal Campori (1855, p. 462). La sua formazione avvenne probabilmente a contatto con il fervido cantiere della basilica della Ghiara di Reggio (Arcangeli, 1959, p. 136), dove durante la giovinezza del F. si compirono vasti cicli decorativi e si erano succeduti come frescanti L. Spada (dal 1614 al 1615), lo stesso Tiarini in due fasi successive (nel 1619 e dal 1625 al 1629) e C. Bonone (nel 1622). Qui infine la presenza di pale d'altare come la Crocifissione del Guercino doveva riuscire per il F. altamente suggestiva.Le prime prove indipendenti del F. vennero infatti eseguite per la basilica della Ghiara: una piccola tela con Il miracolo di Giovanni Francesco Vincenzio (miracolato il 30 ott. 1626), ancora segnata da incertezze stilistiche, e una con Laura da Correggio risuscitata, pagata 32 lire nel 1627, dove più chiaramente si possono scorgere alcune premesse del suo stile maturo, anche se ancora fortemente influenzato dai modi del Tiarini e del Bonone (Berti-Pirondini, 1974, pp. 144 s.). L'attività dell'artista per il santuario e confermata da un altro mandato di pagamento del 5 giugno 1627, a lui destinato per formare un modelletto di creta con la figura di Dio Padre per "servizio del casamento d'argento della Madonna" (Berti-Pirondini, 1976, p. 15). A questo stesso momento si può riferire anche il piccolo rame, oggi ai Musei civici di Reggio, con la Madonna della Ghiara e i ss. Francesco e Liberale, che non sembra raggiungere il livello qualitativo di altre opere di questo periodo; il S. Giovanni Battista (Reggio, Galleria Fontanesi) segna un notevole passo verso l'acquisizione del suo stile più maturo e personale (Pirondini, 1982, pp. 12 s.). Una analoga crescita del suo linguaggio espressivo si nota in una serie di tele con episodi della vita della Vergine inserite tra stucchi nella decorazione della cappella del Rosario della chiesa di Volta Mantovana (Marinelli, 1991).
Nei dipinti di dimensioni minori, come la Presentazione al tempio e come L'adorazione dei magi, si ritrovano alcune giovanili incertezze mentre la Natività della Vergine, piùchiaramente che la scena con la Morte, mostra il pittore ormai in possesso dei suoi mezzi espressivi, nella felice pienezza formale delle figure, di un respiro grandiosamente classico e nella composizione calibrata e ampliata in profondità.
Il soggiorno del F. in area veronese, spiegabile con il vuoto di artisti locali seguito alla peste, aiuta a capire certi riferimenti a M. Bassetti e a S. Bernardi rilevati nel grande telero con S. Domenico intercede per la fine della peste (Padova, Cassa di risparmio di Padova e Rovigo), eseguito nel 1635 per la chiesa di S. Agostino a Padova, commissionatogli da Lionello e Iacopo Rinaldi Papafava. Il trasferimento dell'artista a Padova doveva essere avvenuto qualche tempo prima se qui, nel novembre del 1632, aveva sposato Isabetta Mercati, padovana (Ramponi, 1992-93, p. 8).
Il grande dipinto, firmato e datato, ritenuto a lungo perduto, rintracciato presso la famiglia committente dal Lindner (1959), dovette suscitare notevole impatto nell'ambiente veneto ove introduceva, come sottolineò Pallucchini (1962), i modi narrativi della pittura emiliana in una composizione organizzata in gruppi di figure, "cadenzati con un gusto naturalistico attento e preciso"; svuotando di ogni drammaticità il tema tragico della peste (Mason Rinaldi, 1979).
Allo stato attuale delle ricerche non si conoscono i rapporti che condussero l'artista nel Veneto e lo resero noto alla committenza padovana; nella stessa collezione Papafava si trovavano altri dipinti emiliani, e probabilmente dello stesso F., anche se quelli a lui attribuiti negli anni Trenta e noti attraverso riproduzioni fotografiche, come una Uccisione di Cesare, Prometeo liberato, Apollo e Marsia (Fantelli, 1978, p. 318), non possono essergli confermati.
Nei primi anni padovani il F. fu occupato anche da commissioni religiose: nel 1637 eseguì per la chiesa dei servi un dipinto con Ardingo vescovodi Firenze che si veste da servita (segnalato dal Brandolese, 1795), ora perduto; per la stessa chiesa dipinse anche la tela con Maria appare ai fondatoridell'Ordine incui il Brandolese leggeva la data del 1618, senza dubbio troppo precoce. A questo periodo dovrebbe appartenere anche la pala raffigurante S. Clemente papa per S. Clemente, accostabile, in base a considerazioni stilistiche, a quella con Le stigmate di s. Francesco per la chiesa omonima (Spiazzi-Fantelli, 1983, p. 15).
Nel 1639 il F. risultava iscritto alla fraglia pittorica padovana; l'anno successivo era impegnato a decorare la cupola della cappella funeraria dei Da Lazara a Palù con otto figure di santi; nel 1641 eseguì sette ritratti di figure femminili della stessa famiglia (Moschini 1826, pp. 101 s.; Belucco, 1967, pp. 21, 34; Pavanello, 1976, p. 181); nel 1642 completò la decorazione della navata della stessa cappella con tre ottagoni con la Visitazione, il Battesimo di Cristo, Giovanni Battista neldeserto, insfondati prospettici, completata dalle quadrature del pittore reggiano Bedogni, oggi perduta.
La pala d'altare della cappella, oggi conservata nella canonica della parrocchiale di Conselve, piuttosto debole forse per la partecipazione della bottega, venne eseguita soltanto nel 1650 (Moschini, 1826, p. 101 s.). Nella collezione della famiglia Da Lazara si trovavano, secondo il Moschini, altri dipinti dell'artista, "una bella figura di S. Francesco, ed un quadro che rappresenta la Poesia dipinto nella sua forte maniera".
Una resa pittorica alleggerita da un colore lievitante, in cui si avverte l'osservazione delle opere di B. Strozzi, si ritrova in alcune pale come quella, di recente recuperata, con il Padre Eterno, angeli e i ss. Bartolomeo Bernardi e Giovanni, della chiesa di S. Giorgio di Chirignago vicino Venezia, che oltre alla firma ha rivelato, durante il restauro, la data del 1641 (La pala..., 1990). Ugualmente l'Annunciazione della chiesa parrocchiale di Carceri appare felicemente risolta in una composizione mossa da un pittoricismo spumeggiante; mentre nella tela per la chiesa di S. Tommaso Cantauriense a Padova con la Madonna con il Bambino, s. Giovannino e i ss. Giuseppe e Antonio da Padova, datata 1642, presenta in modo più evidente una certa disposizione accademica, che è tipica componente del suo stile, così come la Madonnadel Rosario con i ss. Giovanni Battista, Pietro e Antonio della parrocchiale di Villa Estense, eseguita in questo stesso periodo.
Negli anni del suo primo soggiorno padovano il F. iniziò a dipingere quadri da stanza con una sola figura o con raffigurazioni di episodi classici o biblici, coniugando una tradizione emiliana, appresa forse dal Reni, con l'emblematica naturalezza, sottilmente malinconica, delle figure femminili del Vouet romano, conosciuto attraverso la versione amplificata in senso patetico che N. Regnier andava attuando a Venezia. Si spiega così quel tanto di influenze naturalistiche che permettono di confondere i suoi modi con quelli della cerchia di artisti come Valentin.
In questo genere di dipinti, spesso replicati anche dalla bottega che, con una vasta produzione, occupò tutto l'arco della sua attività con una progressiva trasformazione dei soggetti in rappresentazioni sontuose, piacevoli e allusive, l'artista impiegò nella parte migliore della sua produzione i suoi mezzi espressivi più felici e più sciolti. Alla sua prima maturità stilistica, quando mostra di saper coniugare gli ideali classicisti con il naturalismo alla fiamminga praticato dal Regnier, potrebbero datarsi dipinti come il Battista Campori dell'Estense di Modena (Arcangeli, 1959) e il David con la testa di Golia (Pirondini, 1986), simili nell'impostazione della figura, nell'uso della luce e in quel tono "poetico e arioso" di cui parlava l'Arcangeli; e come Berenice che si taglia lechiome, in collezione privata (Pirondini, 1989, p. 105), una S. Caterina (Sotheby's, OldMasters paintigs, 4 nov. 1990) e un'altra tela dello stesso soggetto (Pirondini, 1989, p. 106). Capolavori di questo filone sono le tele con Giuditta e Oloferne e con Giaele e Sisara, già collezione Miari de Cumani a Sant'Elena (Fantelli, 1978, p. 314), oggi in collezione privata a Reggio Emilia, di una grande felicità nella sintesi di pienezza formale e sontuosa fastosità dei costumi, resi con colori brillanti, di gusto veneto.
Nel 1642 gli venne commissionata la tela con il Martirio di s. Pietro per la chiesa di S. Domenico a Reggio, oggi alla Galleria Estense (Ramponi, 1992-93).
Il 13 giugno 1643 il F. era ancora a Padova, ma nell'ottobre dell'anno successivo risulta essere a Reggio, chiamato dalla Fabbriceria per continuare la decorazione interna della chiesa della Madonna della Ghiara, ormai sospesa da parecchi anni. L'artista, "Pittor celebre habitante però in Padova", venne incaricato, con un contratto del 12 ott. 1644, di decorare la volta del braccio sopra la porta maggioie, iniziando "passato il prossimo verno"; intanto doveva eseguire cartoni e disegni preparatori (Artioli-Monducci, 1970). Il F. iniziò i lavori nel marzo dell'anno successivo e terminò nel 1646, come si legge nella data sotto la figura di Adamo, nel riquadro a sinistra con Adamo e Eva.
Seguendo lo schema già stabilito nelle decorazioni precedenti, a completare un serrato sistema iconografico sul tema della glorificazione della Vergine, raffigurò due grandi allegorie della Mansuetudine e della Fede negli spazi inferiori tra gli stucchi, Angeli reggisimboli negli sfondatelli centrali; nei riquadri Adamo e Eva appunto e Rebecca con il servo di Abramo, di cui si conserva un bozzetto monocromo nel tesoro della basilica. Nell'ottagono centrale nell'episodio con Sara, l'angelo e Abramo l'artista porta a perfezione il sapere scenografico e prospettico di tradizione emiliana, messo in opera nella stessa chiesa da Spada e Tiarini, arricchendolo di evidenti suggestioni assorbite nel Veneto soprattutto dal Veronese, con uno spettacolare sott'insù dell'architettura e dell'angelo, contro il cielo luminoso.
In questo periodo, che coincide con gli anni più fervidi e felici della sua attività, si situa la S. Caterina della collezione Landi a Reggio; al 1646 si data inoltre la pala con Cristo consegna le chiavi a s. Pietro per il duomo di Carpi, percorsa da una analoga vitalità e da un arioso movimento compositivo. Terminato il Primo ciclo di affreschi alla Ghiara "con straordinaria soddisfattione di tutta la città" (ibid., p. 123, doc. p. 196), gli venne assegnato l'incarico di dipingere il braccio di levante della basilica, l'unico rimasto privo di decorazione. Tra il 1647 e il 1648 eseguì la Purità e la Verginità e nei riquadri maggiori Rachele e Giacobbe, Maria di Mosè e il passaggio del Mar Rosso, e Giaele, Sisara e Barak, nell'ottagono centrale.
Con la consueta capacità di creare sfondati illusivi l'artista alleggerisce, con naturale scioltezza e tinte luminose, il tono narrativo obbligato delle composizioni, ambientate, libere da architetture, su sfondi di paesi o di cieli aperti.
Durante questi anni eseguì anche la tela con l'Assunta della Galleria Estense, ove sembra conciliare con un certo impaccio la tradizione classicista con qualche brano di fattura pittorica più libera. Nelle pale d'altare, ove le sue capacità narrative non possono esplicarsi, sembra meno efficace che nella produzione di quadri "da stanza", anche se ricorrono gli stessi tipi fisionomici ed elementi stilistici simili.
In questo periodo possono essere stati eseguiti la Giuditta con la testa di Oloferne (Pirondini, 1989), la Scena bacchica della Galleria Fontanesi e Arria e Peto, conservato alla Biblioteca Maldotti di Guastalla: un'altra versione dello stesso soggetto (Fantelli, 1978, p. 313, fig. 2), di ignota ubicazione e di dimensioni ridotte, potrebbe essere stata eseguita negli ultimi 4 o 5 anni dell'attività del F. (Ferretti, 1989-1990). Il tono melodrammatico di questi dipinti si ritrova anche in una Porzia che si ferisce alla gamba, segnalata sul mercato (Christie's, 4 marzo 1966), e soprattutto, con un notevole equilibrio espressivo, nella tela con La morte di Cleopatra, della Galleria Estense, ove l'artista sembra ricordarsi di opere dello Strozzi, e nel suo pendant con Tomiri con la testa di Ciro della stessa Galleria (Fantelli, 1978, p. 317).
Nella grande pala per S. Pietro di Reggio con Le nozze di Cana, eseguita nel 1649, l'impostazione grandiosa permette una composizione scenografica armonicamente orchestrata, con l'esempio prossimo della scena con Ester e Assuero che L. Spada aveva inventato per la Ghiara; invece nella tela della parete di fronte, con il Battesimo di Gesù, l'apertura sul paesaggio "richiama la lezione di Strozzi (Pallucchini, 1981, p. 219).
L'anno seguente il F. si trovava a Padova, ove riceveva l'importante incarico di dipingere quattro episodi della vita di Antenore, fondatore della città, commissionatigli da B. Selvatico, nel salone centrale della villa Emo Capodilista di Battaglia. Firmate e datate 1650, le scene con La fuga da Troia, La consacrazione del pugnale a Delfi, La vittoria di Antenore su Valesio, La fondazione di Padova (la loro fonte iconografica si riconosce nel trattato Le origini di Padova dell'erudito padovano V. Pignorio, edito nel 1625) sono commentate con cartigli in cui si leggono iscrizioni tratte dall'Eneide.
La sperimentata capacità narrativa dell'artista trova qui una abile impostazione scenografica grazie a figure in azione spinte in primo piano e ad una costruzione della profondità per piani paralleli. L'effetto ottenuto dalla vivacità dei colori delle vesti dei personaggi, in costumi contemporanei, si. compone con una visione classicista che gli permette di riproporre i tipi fisionomici di piacevole pienezza formale che gli sono consueti. Rispetto al ciclo affrescato della Ghiara, si notano a Battaglia una maggiore complessità compositiva con un respiro più ampio nelle visioni in profondità, sottolineata dallo sfumare di tinte nello sfondo, ma anche una più accentuata disposizione retorica. Le quattro figure allegoriche, con Eloquenza e Benignità sulla parete minore a sud e Prudenza e Nobiltà su quella opposta, grandeggiano nelle nicchie con la stessa vitalità, la stessa impostazione, con panneggi gonfi e visi di forme classicheggianti, che si notano nei personaggi di Marte e Minerva della decorazione della villa Rezzonico Barbarigo a Noventa Vicentina (D'Arcais, 1968, pp. 190 s.), dipinta dal F. in contiguità con il ciclo Emo Capodilista, come dimostra la scena con Apolloe le ninfe, costruita con la stessa disposizione delle figure in primo piano davanti a quinte di fronde e allo sfondo reso a tinte sfumate.
Nell'ultimo periodo del F. la produzione di dipinti a destinazione privata, connotati da un arricchimento delle composizioni organizzate in varie figure, con ornamenti sontuosi, sembra divenire più frequente. Nelle due tele con Crise domanda la restituzione di Criseide, firmata, e l'Incontro di Ettore e Andromaca (oggi in palazzo Pisani Moretta a Venezia), provenienti dal palazzo Pisani di Este (Pavanello, 1976, p. 180), con una straordinaria padronanza dei propri mezzi espressivi, l'artista sembra aumentare l'intonazione patetica per un più puntuale riferimento alle opere del Regnier, sostenuta dal virtuosismo dei costumi sontuosi, delle stoffe preziose e dell'icastica luminosità dei colori. Il successo di questi soggetti è dimostrato dalla frequenza delle repliche (Pallucchini, 1981; Christie's, Roma 1989). Tipica opera della sua attività tarda la Semiramide apprende della rivolta di Babilonia, datata al 1652, conservata, con una tela con Sofonisba, al Museo Puškin di Mosca, cui si può accostare il quadro con Giove e Semele del Museo di Castelvecchio a Verona.
Lo stesso B. Selvatico, per la cui famiglia il F. aveva lavorato due anni prima, gli affidò, in qualità di fabbriciere della basilica di S. Antonio, la prestigiosa commissione pubblica della pala con la Deposizione per l'altare da poco rinnovato; la pala, ordinata con un contratto del 22 luglio 1652, gli venne saldata il 15 ottobre.
Questo dipinto appare calibratissimo nella ricerca di misura formale, ove il senso doloroso dei dramma suggerito dall'iconografia viene affidato all'espressione del volto della Vergine e della Maddalena. Una piccola tela con lo stesso soggetto a monocromo, acquisita dalla Galleria Fontanesi di Reggio nel 1979, che mostra la stessa composizione, un poco variata in alto, potrebbe essere lo studio preparatorio del dipinto padovano (Pirondini, 1982, pp. 14 s.).
In una tela con la figura di S. Antonio da Padova, oggi al Museo del Santo, proveniente dall'Istituto teologico, riappaiono la pienezza e la compattezza della forma, tipiche dello stile del F.; pure la pala del duomo di Este, mostra una composizione simile a molte opere precedenti, con una struttura compositiva risolta in altezza, e quella mai dimenticata disposizione accademica che caratterizza anche la S. Apollonia, ritrovata nella parrocchiale di Murlis in Friuli (Casadio, 1990), firmata, eseguita probabilmente in origine per una chiesa padovana.
L'impresa più importante dell'ultimo periodo del F. fu la decorazione del soffitto della chiesa di S. Tommaso Cantauriense a Padova, ove esegui sette dei quindici dipinti su tela con i Misteridel Rosario.
Il linguaggio dell'artista sembra mutare in questa serie di dipinti verso una maggiore ricerca di espressività, rinunziando agli effetti di più squillante eleganza e avvalendosi del retaggio della scienza quadraturistica emiliana per aumentare la valenza drammatica dei soggetti con figure viste di sottinsù, luci e ombre fortemente contrastati e scorci rapidi, e per costruire uno sfondo di architetture vertiginosamente proiettate verso l'alto. A questo periodo appartiene la Crocifissione con i ss. Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Francesco e Antonio, eseguita per la chiesa di S. Francesco a Padova, che, portata a Brera con le confische napoleoniche, si trova ora nella parrocchiale di Brusuglio.
Un notevole Autoritratto, datato al 1652, agli Uffizi, potrebbe lasciar supporre una attività di ritrattista del F. per ora non conosciuta. In una delle sue ultime opere, invece, il S. Giovanni Battista (Reggio, Cassa di risparmio), che porta sul retro la firma e la data del 9 apr. 1653, si nota un patetismo un po' manierato, come un infiacchimento della forza espressiva (Pirondini, 1982, p. 15).
Il 5 febbr. 1654 il F., malato, dettò le sue ultime volontà alla presenza dell'allievo Francesco Minorello e morì pochi giorni dopo, il 12 febbraio, a Padova.
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