RENALDIS, Luca de
RENALDIS (Rinaldi), Luca de. – Nacque nel 1451 nell’isola di Veglia, in Dalmazia, da Andrea de Renaldis e da Aurora Schinelli, di un ramo dei Frangipane di Veglia. Ebbe due fratelli, Francesco e Niccolò.
La famiglia, di origini tedesche, si trasferì nel 1470 a Pordenone, terra appartenente alla casa d’Asburgo. Qui Luca abbracciò il servizio imperiale e la carriera ecclesiastica: vicecapitano di Pordenone negli anni 1480-90, era già sacerdote quando, nel 1488, l’imperatore Federico III lo premiò, donandogli casa e terreni, per essersi distinto nella difesa di Pordenone contro il re d’Ungheria.
Lungo l’elenco delle sue missioni diplomatiche per conto di Massimiliano I: nel 1497 si recò presso il legato per la crociata in Germania Raimondo Peraudi, cardinale di Gurk; fu nominato ambasciatore in Spagna nel 1498, poi commissario imperiale in Valtellina nella guerra di Massimiliano con gli Svizzeri, quindi fu inviato a Venezia nel 1499 e di nuovo nel 1500. Alla fine di marzo del 1501 lasciò Augusta per un’ambasciata presso Alessandro VI, a Roma. Qui tentò di procurarsi, cercando l’appoggio del pontefice, la nomina a vescovo di Trieste. In effetti, dopo la morte del vescovo Achaz Sebriacher, Alessandro VI inviò il 17 novembre 1501 un breve all’imperatore Massimiliano, con la designazione di de Renaldis. L’imperatore aveva però deciso di destinare il vescovato al triestino Pietro Bonomo, suo segretario: ne seguì un’oscura e tortuosa manovra tesa a screditare Bonomo e i suoi parenti, ordita dall’ex capitano di Trieste Ettore Brasca con la probabile complicità di de Renaldis, che aveva temporaneamente lasciato Roma per incontrare a Pordenone lo stesso Brasca. Dopo che la trama fu smascherata, de Renaldis dovette rassegnarsi a rinunciare alla designazione papale, ottenendo in cambio la prepositura carinziana di Strassburg, in Carinzia.
II 10 agosto 1502 l’imperatore creò de Renaldis e i suoi due fratelli conti palatini, con facoltà di creare notai.
Nel 1502 ‘pre’ Luca’ (‘prete Luca’ come viene detto nelle fonti) fu nuovamente inviato da Massimiliano presso il cardinale Raimondo Peraudi in Germania. Ritornò a Roma nel 1503, passando per Venezia, dove chiese alcune grazie alla Signoria. Nella corte papale partecipò ai delicati maneggi diplomatici, che seguirono la morte di Alessandro VI, ed esercitò funzioni di custodia nei due conclavi che portarono all’elezione di Pio III e Giulio II. Nel 1504, mentre era ancora ambasciatore imperiale a Roma, prese di propria iniziativa contatti segreti con la diplomazia veneziana per cercare di distogliere Massimiliano I dall’alleanza con il re di Francia; e a tale fine fu anche a Venezia, nel dicembre del 1504. Vi ritornò nuovamente nel novembre dell’anno seguente, però in missione ufficiale per conto dell’imperatore, assieme a Pietro Bonomo.
Nel 1507 passò a Napoli, come ambasciatore di Massimiliano I al re Cattolico, Ferdinando, la cui autorità era stata di molto accresciuta dall’improvvisa morte del genero Filippo il Bello, arciduca d’Austria. Secondo lo storico austriaco Hermann Wiesflecker, gli accordi allora conclusi rappresentarono il capolavoro diplomatico di de Renaldis e spianarono la strada alla successiva unione dei domini austriaci e spagnoli sotto Carlo d’Asburgo (Wiesflecker, 1971-1986, III, 1977, p. 306).
Nel novembre del 1507 e nei primi mesi del 1508 de Renaldis fu ripetutamente a Venezia per chiedere la concessione del libero passaggio dell’imperatore attraverso il Dominio veneto, in vista della sua incoronazione a Roma. Ma né i suoi sforzi, né i passi compiuti presso Massimiliano dall’ambasciatore veneto Vincenzo Querini valsero a evitare uno scontro tra Venezia e l’Impero. Dopo la breve guerra condotta da Massimiliano in Cadore (con esito sfortunato), de Renaldis trattò la tregua con Venezia, che fu conclusa nel giugno del 1508. Rientrando da un’ambasceria straordinaria a Roma (gennaio 1509), egli compì un’ultima missione a Venezia, nel febbraio del 1509, per cercare di distaccare l’imperatore dalla lega di Cambrai: l’ardita iniziativa culminò nell’offerta da parte della Signoria di benefici ecclesiastici nel dominio veneto del valore di duemila ducati annui, se de Renaldis fosse riuscito a propiziare un accordo separato con l’imperatore. Ma quando l’ambasciatore rientrò in Germania, i sospetti di tradimento a favore della Repubblica di Venezia portarono alla sua brusca incarcerazione.
De Renaldis pagò così il fallimento della sua politica di intesa con Venezia e di ostilità alla Francia: certamente egli rappresentava nella corte imperiale il «venezianische Partei» (Wiesflecker, 1971-1986, III, 1977, p. 107). Quanto alla sua corruzione da parte di Venezia, è certo possibile che egli sia stato condizionato dal desiderio di salvare, con la mediazione di Venezia, i propri beni pordenonesi, dopo la conquista della città da parte del condottiere della Repubblica, Bartolomeo d’Alviano. Ma su tutti i rapporti tra de Renaldis e Massimiliano I gravava da un decennio una ipoteca più grave: quella cronica incapacità dell’imperatore di finanziare con regolarità i propri diplomatici, che poteva spingere i meno scrupolosi fra i suoi rappresentanti a chiedere altre fonti di finanziamento proprio ai principi presso cui venivano inviati. Già nel 1501 de Renaldis si era lamentato dell’imperatore con un diplomatico veneziano, «per haverla servita zà tanti anni in cavalezata et servitii laboriosissimi ad fine de havere ad qualche tempo qualche remuneration de sua maestà, la qual mancandoli, al presente non sapeva quel potesse più sperare da ley» (dispaccio di Zaccaria Contarini, Steinach, 12 dicembre 1501, citato in Di Brazzano, 2006, pp. 160 s.).
La sua disgrazia fu però solo temporanea. Liberato nel 1510, egli passò a Roma al servizio del pontefice, che a sua volta lo inviò in missione a Massimiliano nel 1511. Riottenuta la stima dell’imperatore, verso la fine del 1512 fu designato come suo ambasciatore in Spagna, ma durante il viaggio si ammalò gravemente e morì nella città imperiale di Lindau, sul lago di Costanza, il 13 marzo 1513.
Il testamento, redatto il giorno prima, costituiva a favore del fratello Francesco e dei suoi eredi un fedecommesso comprendente i beni posseduti a Veglia e a Pordenone; e ricordava altresì, condonandogli un debito, l’umanista pordenonese Girolamo Rorario, la cui sorella Diamante aveva sposato il fratello Niccolò, morto combattendo contro i veneziani nel 1511.
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