CARIMINI, Luca
Nacque a Roma il 4 maggio 1830 da Pasquale e Lucia Bellucci, in una famiglia di artigiani.
Dopo la morte del padre, il C. nel 1844 entrò nella bottega di un marmista; nel 1846 lavorava da Pietro Romaggi, considerato il migliore marmista di Roma del momento. Qui eseguì stele e cappelle funerarie; verso il 1850 lo zio materno, Baldassarre Bellucci, capomastro imprenditore, gli aprì una bottega di scalpellino facendolo collaborare ai propri lavori; questa attività gli diede modo di approfondire la conoscenza dei materiali attraverso il loro uso artigianale.
Contemporaneamente il C. frequentava la scuola di ornato all'Accademia di S. Luca. In pochi anni la bottega da lui diretta arrivò ad avere circa sessanta allievi apprendisti; i lavori eseguiti sono principalmente monumenti e cappelle funerarie, monumenti all'interno di chiese e altari. Nonostante l'intenso lavoro, il C. continuava a studiare, frequentando anche la scuola di pittura e scultura dell'accademia. Nel 1868 l'Archiginnasio della Sapienza lo riconobbe architetto in seguito alla segnalazione della commissione di esami dell'accademia, nella quale erano membri, fra gli altri, L. Poletti, V. Vespignani e L. Sarti, questo ultimo riconosciuto dal C. come proprio maestro.
Con l'inizio dell'attività di architetto e i lavori su grande scala, come la decorazione generale dell'interno e la confessione della chiesa di S. Salvatore in Onda a Roma (1867-78), il C. consolidò la sua fama di accurato costruttore, lavorando non solo in Italia, ma anche all'estero, soprattutto in Sudamerica: in Brasile, chiesa della Beata Vergine della Peña a Recife, restauro della cattedrale di Belem, pulpito della cattedrale di San Paolo; in Cile, altare monumentale per la chiesa di S. Francesco a Santiago.
Già i primi lavori da architetto, come il restauro della chiesa di S. Maria di Loreto al Foro Traiano e la nuova sacrestia, in collaborazione con G. Sacconi (1871), mostrano chiaramente l'abilità del C., che utilizzava l'esperienza accumulata negli anni precedenti come base sulla quale sviluppare la ricerca architettonica.
La professione di scalpellino rappresenta infatti la matrice di tutta l'opera architettonica del C.: l'uso sincero dei materiali diviene la logica conseguenza di unasimile impostazione. Il repertorio tipologico quattrocentesco, indagato soprattutto nell'architettura minore e nel dettaglio, che gli era servito per i monumenti e le cappelle sepolcrali, gli fornì specifici strumenti formali da usare in più situazioni, consentendo larghi margini di libertà inventiva che il C. sfruttò abilmente nella struttura generale della composizione, Il Quattrocento è così letto, e assunto, in elementi tipizzati, che perdono qualsiasi riferimento reale e vengono composti in maniere diverse e con molteplici effetti; le forme, stilizzate in evidenti correzioni geometriche, acquistano una nuova prospettiva nell'originalità della composizione volumetrica.
I temi portati avanti dal C. nella sua ricerca divengono espliciti nella ricostruzione a Roma della chiesa di S. Ivo dei Brettoni, in via della Campana, e dell'annesso fabbricato in via della Scrofa, proprietà della chiesa di S. Luigi dei Francesi (1876-1878), e ancora di più nel convento delle suore di Cluny in via Leonardo da Vinci (1884-1890), dove i risultati vanno oltre un semplice eclettismo di maniera.
L'uso del cortile costruito solo su tre lati, che ritroviamo come costante in alcuni edifici religiosi (in particolare nel convento delle piccole suore dei poveri a S. Pietro in Vincoli, del 1882-1881 o nel Collegio canadese in via S. Vitale, entrambi a Roma), assume il valore di un impianto tipologico capace di evidenziare il montaggio degli elementi e il gioco dei volumi. La ricchezza plastica, unita alla grande cura dei problemi tecnologici e costruttivi, rivela il corretto professionalismo proprio dell'architettura eclettica romana della seconda metà dell'Ottocento. L'uso della pietra, generalmente il travertino, e del mattone, accostati inuna rigorosa composizione, rende questi edifici formalmente impeccabili ed esprime la precisione della pratica artigianale. Per la sua conoscenza dei materiali il C. viene designato, nel 1886, insieme con G. B. Favero, perito di fiducia da parte sia del municipio di Roma sia della ditta costruttrice per la vertenza sulla qualità del travertino impiegato per la costruzione del ponte Garibaldi.
La correttezza professionale del C. è riconoscibile non solo nella esecuzione degli edifici, ma anche, più in generale, nel modo di affrontare i problemi architettonici, fino ad arrivare alla rinuncia del proprio linguaggio figurativo di fronte alle necessità di ambientamento nella Roma cinquecentesca, come nel Collegio francese in piazza di S. Chiara e nella facciata della vicina chiesa di S. Chiara (realizzata nel 1885-1890) in cui all'uso del mattone è sostituito quello dell'intonaco.
La vicenda del C. si chiude con il progetto del palazzo di Giustizia a Roma (1882), incarico commissionatogli direttamente ma poi revocato; la costruzione ideata, un pesante edificio quadrato con una alta torre al centro, è molto complessa e non raggiunge certo la compiutezza di altre opere. Sia questo progetto che il palazzo Brancaccio a Roma, iniziato dono la morte del C., nel 1892 e completato nel 1896, risentono delle difficoltà di applicare a grandi temi un metodo che si fonda ancora su di un rigore artigianale e che trova una naturale espressione in edifici piccoli o di medie dimensioni.
Il C. morì nella città natale il 14 dic. 1890.
Altre opere del C. sono: in Roma, al Verano, i monumenti Tommasi, Bracci, Palagi, D'Amico, De Belardini, Venier, Marignoli, Masatti, Paris, Sorgi, Garofoli, Lasagni, Palomba, De Bernardi, Freyd, Rezzi, Lobin, Santini (tutti databili fra il 1858e il 1873); i monumenti Cassetta a S. Nicola ai Prefetti (1868), Amerani a S. Carlo ai Catinari, Poggioli a S. Francesco a Ripa, del Duca di Harcourt (1865)e di Monsignor Level (1871) a S. Luigi dei Francesi, Figueiredo a S. Antonio dei Portoghesi. Fuori Roma, l'artista compose il monumento Nardello a Montecompatri, i due monumenti Petrucci a Sutri (1862 e 1865), e quelli Petrucci a Tivoli (1864), Ciocca ad Albano, e Mochi a Cagli (Pesaro).
Sono ancora del C., al Verano, le cappelle Chiesi, Avenoli, Decetto, Cavaceppi, Cassetta, Vannutelli, Lais, Carimini, D'Arcangeli, Blumensthil, della comunità dei francesi del Sangue sparso, dei padri scolopi; il tempietto ottagonale al cimitero inglese, le cappelle della Retraite a Trinità dei Monti, dei Cassetta a S. Salvatore in Onda (tutte a Roma). Inoltre: il tempietto a Maria Vergine nello Spoletino; la tomba Sobieski a Varsavia; la cappella in Riosas a Granada.
Al C. si devono ancora i seguenti interventi: a Roma, chiesa di S. Maria in Aquiro (1856, decorazione generale dell'interno, abside, presbiterio e cantoria, edicola della Madonna e cappella Berardi); cappella del Crocefisso (1858) e confessione (1873-1874) della chiesa dei SS. Apostoli; ricostruzione dell'interno e della parte superiore della facciata della chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli (ora Nostra Signora del Sacro Cuore) e annesso collegio (1882-1888); chiesa di S. Antonio da Padova in via Merulana e annessa casa generalizia dei frati minori di S. Francesco (1884-1888). Ad essi si aggiungono, fuori Roma: il transetto, la cupola e l'abside della chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta a Montecompatri (1876), la chiesa primaziale di S. Emiliano a Trevi, in Umbria (1893); la chiesa del cimitero di Bracciano; il pulpito e la balaustra della chiesa di S. Pio ad Anzio; i tre altari nella chiesa di S. Chiara a Roma. Il C. progettò infine i palazzi Blumensthil a lungotevere Mellini, Carimini e D'Amico a via Nazionale, nn. 67-69; il palazzo dell'amministrazione di S. Luigi dei Francesi a piazza Madama; l'istituto della Divina Provvidenza a piazza Fiammetta, il palazzo dell'Accademia ecclesiatica a piazza della Minerva; l'albergo Marini al Tritone; la casa Emiliani a via del Babuino; l'ospedale dei padri trinitari presso la chiesa di S. Crisogono (tutti a Roma). Del C. rimangono un progetto per la sistemazione di piazza Colonna (1880) e per il monumento a Vittorio Emanuele, oltre che per innumerevoli edicole, cappelle e monumenti funerari.
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