BELLUDI, Luca
Il B. sarebbe nato intorno al 1200. La notizia della sua appartenenza alla nobile e ricca famiglia Belludi, che si trova nella cronaca di Zambono di Andrea dei Favafoschi, non può essere posta in dubbio, perché il Favafoschi scriveva nel 1335, quando, cioè, vivevano a Padova un Pietrobuono e un Giacomo Belludi (per non parlare dello zio di entrambi, Zambonetto, che era stato bandito dalla città). A chiaro che tutti e tre non potevano ignorare l'appartenenza o l'estraneità del B. alla loro famiglia; non è da escludere inoltre che il Favafoschi possa aver conosciuto personalmente il Belludi.
Capostipite dei Belludi sarebbe un pellicciaio, Belludus, che, essendosi arricchito notevolmente con l'usura, pentitosi, aveva eretto per penitenza la chiesa di Sancta Maria Mater Domini (più tardi incorporata nell'attuale basilica del Santo). Il B., al contrario, sin dalla fanciullezza "optimum specimen dedit de contemptu mundi eiusque cupiditatum, et de amore Dei eiusque sanctae legis" (Decreto per la beatificazione equipollente del Servo di Dio L. B.). Secondo una iscrizione della chiesa annessa al convento fondato da s. Francesco ad Aracoeli (Arcella, Padova), s. Francesco vi aveva ricevuto nell'Ordine, nel 1220, la beata Elena Enselmini e, il B., la prima di dodici anni, il secondo di venti. Il B. fu dunque uno dei pionieri del francescanesimo padovano.
Il B. si incontrò con s. Antonio per la prima volta, quando lo stesso Antonio, nominato provinciale di Lombardia nel capitolo generale tenutosi ad Assisi nella Pentecoste del 1227, decise di visitare Padova. Da allora in poi (si era alla fine del 1227) si creò tra i due un rapporto simile a quello che intercorse tra fra' Vincenzo e s. Bernardino da Siena: dovunque s. Antonio andasse, il B. lo accompagnava, assistendolo e collaborando con lui efficacemente. Fu perciò che, se i frati erano indicati come "a Sancto Antonio", egli finì addirittura con l'assumere questa espressione come un cognome. Nel suo caso, le denominazioni "a Sancto Antonio, Sancti Antonii, de Sancto Antonio, socio Sancti Antonii" permettono, nel loro insieme, di dedurre che tale appellativo gli era attribuito con un senso tutto particolare: il B. non solo era il simbolo dell'intero convento, in quanto il più anziano e il più nobile dei confratelli e per di più preposto alla costruzione della basilica, ma era per antonomasia il compagno di s. Antonio, il testimone di avvenimenti avvolti dal fascino dell'eccezionalità.
Con s. Antonio, il B. si recò a Roma nel marzo del 1228: furono entrambi ospiti del piccolo convento di S. Francesco a Ripa, in cui era stato lo stesso s. Francesco durante i suoi soggiorni romani. Se ne allontanarono quando i seguaci di Federico II irruppero in S. Pietro, il lunedì di Pasqua di quello stesso anno, per far prigioniero Gregorio IX, il quale invece riuscì a fuggire. Dopo la Pasqua del 1230 il B. era con s. Antonio ad Assisi ed assisteva alla traslazione del corpo di s. Francesco dalla chiesa di S. Giorgio alla basilica di frate Elia.
Con la morte di s. Antonio (13 giugno 1231) nel convento di Arcella, le notizie sull'attività del B. si rarefanno sino quasi a scomparire. Nominato ministro provinciale nel 1239, conservò questo incarico sino al 1245. La sua opera fu ampia e feconda: fondò nuovi conventi, arricchì di opere d'arte la basilica e il convento di S. Antonio, predicò infaticabilmente ("maximus predicator" lo definisce il Favafoschi ed "egregius" il du Monstier). Con grande coraggio affrontò un giorno, nel suo palazzo, Ansedisio de' Guidotti, podestà di Padova, tentando inutilmente di mitigarne la violenza. L'atteggiamento tracotante di Ansedisio e di Ezzelino, che temeva i frati minori per la loro intransigente opposizione già manifestatasi nel 1228, vivente lo stesso s. Antonio, trovò nel B., che godeva di popolarità e di prestigio, un punto di efficace resistenza: il che non impedì che quattro membri della sua famiglia fossero banditi da Padova per volontà di Ezzelino (1254). Benché manchi ogni dato per affermarlo con sicurezza, secondo il Rizieri non si dovrebbe essere lontani dal vero immaginando che essi fossero fratelli o cugini del Belludi. Nel 1267, secondo quanto permette di stabilire un documento di quell'anno, il B. è amministratore della basilica, allora in costruzione, ed è ancora in vita nei primi giorni del 1285, quando gode di un lascito in denaro per l'acquisto di una nuova tonaca. Il B. morì quasi nonagenario, il 17 febbr. 1285. Il suo corpo fu deposto e venerato con pubblico culto nell'arca marmorea che aveva racchiuso i resti di s. Antonio ed era rimasta vuota dopo la sua iscrizione nell'albo dei santi ad opera di Gregorio IX.
La fama di santità e il culto dei B. sono riccamente attestati da numerosi scrittori. Già nella leggenda Benignitas del sec. XIV, pubblicata a Parigi nel 1904, si raccontava che s. Antonio di Padova. "per le suppliche del suo compagno frate Luca, uomo insigne per bontà", aveva guarito un bambino malato benedicendolo nel nome di Cristo. Altre testimonianze sono offerte da Bartolomeo da Pisa nel suo libro De conformitate vitae beati Francisci ad vitam domini Iesu (1385), Michele Savonarola (1440), Marco da Lisbona (1556), Valerio Polidoro da Padova (1610), Arthur du Monstier nel suo Martirologio (1613) e Fortunato Hueber nel suo Menologio (1698).
I primi passi per ottenere la conferma del culto furono compiuti nel 1784, quando il padre guardiano del convento del Santo, fra' Giuseppe Trento, pregò il vescovo di Padova, Niccolò Antonio Giustiniani, di riconoscere nelle forme canoniche il corpo del B. "a ornamento della Chiesa del Santo e a illustrazione sempre maggiore del culto immemorabile del beato" ]. Il 4 marzo 1785 avvenne la richiesta ricognizione e fu aperta l'arca. Il processo verbale, che fu steso in quell'occasione, venne più tardi incluso negli atti del processo ordinario per la beatificazione equipollente. Attraverso tutta una serie di lenti e minuziosi accertamenti, si giunse così all'approvazione, da parte di Pio XI, dei rescritto della Sacra Congregazione dei Riti (18 maggio 1927).
Il B. non ha lasciato alcuno scritto. Infatti, come hanno dimostrato il Rizieri e il Guidaldi (e nonostante l'opinione contraria dei p. Granich), non gli appartengono né i sermoni Narraverunt, che sono di fra' Luca da Bitonto, né quelli Ecce veniet.
Fonti e Bibl.: Acta Sanctorum, Febr., III, Antverpiae 1658, p. 3; Analecta franciscana, III, Ad Claras Aquas 1897, p. 504; IV, ibid. 1906 pp. 274, 340, 525; L. Wadding, Annales Minorum, Ad Claras Aquas 1931, II, p. 95; III, p. 243; IV. p. 238, 241, 312, 335; Mariani a Florentia Comp. chronic. fratrum minorum, in Archivumfranciscanum historicum, II (1909), p. 309; rec. a B. Marinangeli, Cenni sulla vita del beato L. B., discepolo e compagno di S. Antonio, in Miscell. Francescana, XXIX (1929), p. 94; Manoscritti dell'Oliveriana di Pesaro, ibid., XXXIII (1933), p. 364; G. Ferretto, Memorie del beato L. B., Padova 1816; P. Sevesi, Martyrologium Fratrum Minorum Prov. Mediolan., Seroni 1929, p. 19; P. Valugani, Beato L. B., in Frate Francesco, VII (1934), pp. 34-39.
Tra il 1929 e il 1930 fu dedicata al B. una nutrita serie di articoli nella rivista Il Santo: I (1929), pp. 253-363; II (1929), pp. 46-59 e 117-130; III (1930), pp. 59-76. Alcuni di questi articoli riguardavano particolarmente il problema della paternità dei Sermoni: G. Granich, Stato della questione sopra gli scritti del b. L. B., I (1929), pp. 315-336; Z. Rizieri, I Sermoni "Narraverunt" sono del b. L. B. ?, ibid., pp. 337-343; L. Guidaldi, Il vero autore dei Sermoni "Narraverunt" (Fr. Luca da Bitonto), III (1930), pp. 59-76 (del Guidaldi cfr. anche Due codici sconosciuti dei Sermoni di Frate Luca, I [1929], pp. 344-347).
Per quanto riguarda i sermoni Ecce veniet cfr. Z. Rizieri, Per la storia della nostra Diocesi, in Bollett. diocesano di Padova, XII (1927), n. 8, pp. 494-500 (il Rizieri aveva già pubblicato altre ricerche sul B. nello stesso Bollett. diocesano di Padova, X [1925], pp. 288-297, e XI [1926], pp. 346-354). Segnaliamo infine che la Bibl. Sanctorum (II, coll. 1085-1086) crede, invece, alla paternità del B. per i Sermoni.