DESCALZI, Luca Agostino
Nato a Chiavari (Genova) il 22 ott. 1765 da Quilico e Caterina Repetto, e trasferitosi bambino a Cornigliano dove il padre possedeva una fabbrica di biacca, frequentò sino al compimento del corso di studi le Scuole pie di Genova ove ebbe tra i propri maestri il teologo filogiansenista G. B. Molinelli.
Ordinato sacerdote, coltivò con passione gli studi linguistici, impadronendosi delle principali lingue vive europee dopo che già aveva appreso perfettamente il greco ed il latino. Fin dall'età giovanile si dedicò all'insegnamento gratuito nelle scuole di carità che Lorenzo Garaventa aveva avviato a Genova a partire dal 1757, e in particolare fu coadiutore del coetaneo don Giuseppe Lertora nella scuola per bambini poveri da questo organizzata nel sestiere di Pré.
Nel giugno 1797, allorché venne proclamata la democratica Repubblica Ligure, il D. si trovava nuovamente a Chiavari. Al pari di altri preti liguri in odore di "portorealismo", anch'egli vide nel mutamento di regime politico una grande opportunità di rigenerazione morale e religiosa: un'occasione per il trionfo di quella "buona causa - scriveva - al di cui vantaggio io credo che dalla divina Provvidenza siano rivolti i strepitosi accidenti che sono occorsi ultimamente" (Carteggi digiansenisti..., I, p. 599). Il 19 giugno 1797 il D. si rivolse ad Eustachio Degola, il più vivace e politicizzato tra i giansenisti liguri, complimentandosi per il prospetto degli Annali politico-ecclesiastici ed offrendosi di collaborare al nuovo periodico destinato ad essere portavoce del gruppo giansenista.
Nell'estate di quel medesimo anno egli fu uno dei "missionari nazionali" incaricati di predicare la perfetta armonia tra cristianesimo e democrazia, e gli venne assegnata la zona compresa tra Sestri Ponente ed Albisola. L'infelice esito dell'impresa, che quasi dovunque si scontrò con una dura ostilità popolare, cominciò probabilmente ad insinuargli nell'animo un certo fastidio per la politica, alimentato anche dalle velenose dispute che durante il triennio giacobino dilaniarono il clero ligure, dispute nelle quali il D. stesso si trovò coinvolto. Sul finire del 1797 l'arcivescovo di Genova, Giovanni Lercari, chiese di nominare proprio coadiutore il prevosto della chiesa di Nostra Signora delle Vigne G. B. Lambruschini, che era il più agguerrito esponente del clero tradizionalista. A questa intenzione il "piccolo gregge" dei giansenisti si ribellò violentemente e fece pressioni sul governo, dimostrando la pericolosità di tale nomina.
Toccò proprio al D., sugli Annali ecclesiastici del 20 genn. 1798, attaccare il Lambruschini ("un uomo che è il fantoccio degli ex-gesuiti, che in fatto di dottrina si è meritato mortificazione e disprezzo dal Papa istesso..., che nel tempo dell'oligarchia aveva protezione ed era a parte di un grosso partito, vale a dire del partito ex-gesuitico e in conseguenza del partito oligarchico") e documentare che nel 1788 lo stesso arcivescovo si era lagnato di lui per uno scritto edito "sotto l'aura degl'in allora in Genova prepotentissimi ex-gesuiti, per portare in trionfo l'erronea loro dottrina nel Seminario arcivescovile", scritto che aveva ricevuto la censura papale.
La campagna contro il Lambruschini - e contro lo stesso Lercari, accusato di lasciarsi manovrare dai reazionari - ebbe successo e condusse alla nomina di un vicario generale filogiansenista nella persona di G. B. Moscino, il che consentì ai degoliani una notevole influenza negli affari ecclesiastici genovesi, specie per quanto riguardava l'epurazione del clero antidemocratico e la sua sostituzione, nelle parrocchie, con preti fedeli al nuovo regime. Il D. nel giugno 1798 fu proposto, con altri due sacerdoti "assai ben veduti dal popolo", per la parrocchia di S. Marcellino, ma si scontrò ancora col rifiuto della Curia. Poco dopo, tuttavia, fu destinato in qualità di economo alla piccola parrocchia di Fontanegli in Val Bisagno, per sostituirvi un don Francesco Riva epurato. Fontanegli, situata in mezzo ad una delle principali zone di reclutamento dei "vivamaria", non era certo una sede comoda per un prete apertamente filorivoluzionario, specie dal momento in cui la morsa delle truppe austriache cominciò a stringersi intorno a Genova: per questo il D. non poté risiedervi che pochi mesi.
Sul finire del 1800, battuti ormai da tempo gli Austriaci e gli insorgenti, il nuovo vicario Decamilli fu sollecitato dal gruppo giansenista, in particolare dall'arciprete di S. Giorgio in Bavari, P. P. Boggiano, a restituire la parrocchia di Fontanegli al D., il quale, tornato a Chiavari ed oppresso da problemi familiari e personali, protestò la propria indisponibilità.
Il Boggiano, preoccupato, ne scriveva al Degola in questi termini: "Il Vicario ha deliberato di mandare Descalzi alla parrocchia; il solo ostacolo a vincersi è di farlo venire, giacché si nasconde, si finge ammalato e fa altre simili cose... La chiesa di Fontanegli ha veramente bisogno di quel degno soggetto, e non potete idearvi in quale desolazione sia quella parrocchia, il bene della Chiesa esige d'impegnarsi a maggior posse per farlo venire; scriveteli e fateli scrivere per determinarlo" (Carteggi di giansenisti, III, p. 674).
Il Degola fece pressioni ed interessò alla cosa anche Benedetto Solari vescovo di Noli, un'autorità nel gruppo dei giansenisti liguri; ma non riuscì a persuadere il D., il quale rispondeva all'amico che sarebbe rimasto "fermo nella prima sua risoluzione" e lo pregava di non accrescergli "timori e afflizioni". Pressioni e rifiuti furono replicati per tutto il 1801, e causarono nel D. una profonda crisi di coscienza che trapela dalle lettere scritte agli amici giansenisti o scambiate tra costoro. Egli si sentiva colpevole, accusato "di ostinazione, di accecamento"; riteneva di aver perduto "e onestà e buona fede e sincerità" anche presso i compagni più cari, come Francesco Carrega; sosteneva di voler "vivere sconosciuto" e pregava gli amici "a non volersi impegnar per lui".
Ritornò per alcuni anni ad una vita rititrata, fatta di studio e di caritatevole insegnamento, fino a quando non avvenne l'incontro tra lui ed il giovane Giuseppe Mazzini. Incontro nient'affatto casuale, perché il D. ne conosceva il padre, il dottor Giacomo Mazzini, fin dall'infanzia: entrambi chiavaresi, quasi coetanei, insieme chierichetti nella parrocchia di S. Giovanni, poi ancora insieme nella Genova giacobina, nella guardia nazionale del 1797e nei circoli democratici. Per il giovane Giuseppe i genitori cercavano un precettore, e furono ben felici di trovarlo in "un prete venerato a quei tempi da tutti i buoni per l'elevatezza del suo ingegno, per l'immensa erudizione, per la carità verso il prossimo, per l'esemplare modestia e religione" (G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, XIX, p. XXV).
Il D. non si limitò a guidare il giovane Mazzini nei quattro anni del corso di grammatica, tra il 1812 ed il 1816; lasciò anche nell'allievo una traccia indelebile della propria personalità. Nel contempo incominciò a concepire per quel giovinetto un'ammirazione che sarebbe andata crescendo col passare degli anni, fino a fargli individuare in lui una sorta di riformatore religioso.
Esule a Londra, più di vent'anni dopo, Mazzini avrebbe ricordato il D. in diverse occasioni: "Il mio vecchio institutore - scriveva alla madre il 14 marzo 1837 - ch'io non ho dimenticato mai, dal quale mi separano alcune idee, ma ch'io venero come uomo di credenze certe, profondamente sentite, e trasfuse nella vita pratica e nelle azioni. Quest'accordo tra la dottrina e la virtù è sì raro, ed è per me tanto essenziale, che basterebbe a farmelo venerato, s'io non gli serbassi riconoscenza d'antico" (Ed. naz., XII, p. 350). Lo elevava persino a protagonista dei suoi sogni ("L'antico mio institutore che ho sognato più volte, e che rivedrei con tanto piacere", ibid., XV, p. 316) e non mancava mai di rivolgergli i pensieri più affettuosi.
Dal canto suo il D., a partire da quella esperienza di insegnamento privato, aveva stretto i legarni con la famiglia Mazzini e li avrebbe mantenuti sino alla morte. Nel 1829 fu lui ad unire in matrimonio Antonietta Mazzini, sorella di Giuseppe, con Francesco Massuccone, nipote d'un sacerdote giansenista. E ancora nel 1841, quando già il vecchio prete era sceso nella tomba, il Mazzini scriveva di lui: "noi dobbiamo essergli grati sempre" (ibid., XX, p. 121).
Da anni, intanto, il centro dei suoi interessi s'era fissato in un nuovo, entusiasmante filone dell'insegnamento caritativo: la scuola per sordomuti del padre Ottavio Assarotti (un altro giansenista), aperta nel 1801 ed eretta formalmente nel 1811, dove il D. fu uno dei principali istitutori a partire dal 1818. All'istituto dei sordomuti il D. rimase sino al 1829, anno della morte dell'Assarotti, il quale nel suo testamento, redatto il 4 ott. 1828, parlava del D. come del suo "antico amico, ch'esser dovrebbe il mio successore, ma che so non aver la salute ed il coraggio per esserlo, ed il quale m'ha mostrato sempre un amore sincerissimo, quale ha dimostrato col cedermi a vantaggio dell'Istituto l'onorario assegnatogli come a primo institutore e col confessare caritatevolmente le ragazze del convitto, e molti allievi ed alunne che son fuori, uffizio nel quale io spero che vorrà continuare sempre".
In effetti già con dispaccio del ministero dell'Interno in data 20 dic. 1820 il D. era stato designato a far le veci dell'Assarotti infermo; ma il 20 giugno 1828 anch'egli fu sostituito, soprattutto per motivi di salute. Alla morte dell'Assarotti il re Carlo Felice nominò poi con regio biglietto a succedergli il D., ma questi ricusò l'incarico, ancora una volta sentendosi indegno d'una carica "per umile sentire di sé".
Gli ultimi anni della sua vita li trascorse appartato, dedito agli studi di archeologia e numismatica, intento ad arricchire una raccolta di monete e medaglie poi donata all'università, e con continui problemi di salute; ma sempre attento alle vicende della Chiesa e del mondo che lo circordava, e sempre anticonformista. Nel 1837, a tre anni dalla pubblicazione delle Paroles d'un croyant ed a cinque dalla condanna fulminata da Gregorio XVI, non cessava di interessarsi al Lamennais (il "santo prete Luca - annotava Mazzini - ha una speciale voglia di sapere di tal uomo"; Luzio, p. 119). Nel giugno del 1838 si trovò ancora coinvolto in una delle tante lotte intestine del clero genovese: l'arcivescovo aveva in mano una lista di preti denunciati come giansenisti ed accusati di tenere "i loro conciliaboli nel locale dei sordomuti", e nella lista figurava anche il D., il quale si discolpava parlando di cospirazione gesuitica. Mazzini, cui la madre raccontava ogni dettaglio della vita genovese, scrisse indignato da Londra accusando quanti andavano "a cercarsi nemici in uomini che hanno certamente opinioni proprie e non gesuitiche, ma che per indole, per età e per ispirito di rassegnazione sono pacifici e inoffensivi. Avrei creduto che i gesuiti - sentenziava - avessero anch'oggi altre occupazioni che non quella di turbare gli ultimi anni di santi uomini come il mio buon institutore (Ed. naz., XV, pp. 49 s.).
Dopo lunga malattia il D. morì il 16nov. 1840 e fu sepolto nella chiesa della Concezione di Genova. Non lasciò scritti significativi, ove si eccettuino le molte iscrizioni sepolcrali che via via aveva dettate nel corso della sua vita.
Fonti e Bibl.: Annali ecclesiastici 20 genn. 1798; Il Censore, 28giugno 1798; A. Mazzini, Scritti editi e ined., XIX, Firenze 1902, pp. XXV s., XXXII; Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini, XII, pp. 350, 379; XIV, pp. 113, 243, 310;XV, pp. 49 s., 316; XX, pp. 89, 121; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, Firenze 1941-1942, I, pp. CXLIX s., CLVII, CLXIX, CLXXXII, CCXLI, 328; III, pp. 599-602, 674-677, 847 e ad Indicem; G. Banchero, Genova e le due Riviere, Genova 1846, p. 159; F. Alizeri, Elogio di L. Garaventa fondatore delle scuole di carità, Genova 1868, pp. 11, 16 ss.; Giornale degli studiosi di lettere, scienze, arti e mestieri (Genova), 14 ag. 1869, pp. 85 s.; A. M. Remondini, Parrocchie dell'archidiocesi di Genova, regione X, Genova 1890, p. 231; G. B. Brignardello, L. A. D., Firenze 1894; S. Monaci, Storia del R. Istituto naz. pei sordomuti in Genova, Genova 1901, pp. 71 s., 90, CXLIII, CXCVIII; G. Salvemini, Ricerche e documenti sulla giovinezza di G. Mazzini e dei fratelli Ruffini, in Studi storici, XX (1911), pp. 29-34; A. Luzio, La madre di G. Mazzini, Torino 1919, pp. 32, 44, 109, 119, 199; A. Ferretto, Un sacerdote chiavarese precettore di Mazzini, in La Sveglia. Settimanale cattolico del circondario di Chiavari, 6 dic. 1925; P. Savio, Devozione di monsignor Adeodato Turchi alla S. Sede, Roma 1938, pp. 837, 856, 919, 941; A. Colletti, La Chiesa durante la Repubblica Ligure, Genova 1950, p. 151; R. Carmignani, Storia del giornalismo mazziniano, I, Pisa 1959, p. 13.