LUBRIFICAZIONE (fr. graissage; sp. lubrificación; ted. Schmierung; ingl. lubrication)
È l'operazione che mira a rendere più scorrevoli l'una sull'altra due superficie caricate da forze normali alla direzione dello scorrimento, mediante l'interposizione di sostanze adatte (v. lubrificanti).
Se il lubrificante è solido (per es., grafite), esso può solo riempire i vani tra le piccole asperità delle superficie. Se è liquido, grazie alla sua adesione, può formare un velo sottilissimo (forse monomolecolare), che ricopre tutta la superficie senza per altro impedire che le asperità opposte s'incontrino nel moto relativo. Tanto nell'un caso come nell'altro, l'attrito (semi-asciutto) continua a seguire la legge di Coulomb-Morin, e lo scopo della lubrificazione è raggiunto in grado assai scarso. Lo scopo si può invece ritenere completamente raggiunto quando il liquido lubrificante oltre che essere esteso su tutte le parti, lo è con uno spessore sufficiente per poter circolare nello spazio tra le due superficie, acquistando così una pressione bastevole per far "galleggiare" l'una sull'altra le parti caricate. Allora l'attrito non è più dovuto allo sfregamento di parti solide, ma solo alla resistenza interna del lubrificante eccitata dal suo sfaldamento negli strati intermedî.
Insieme con la velocità relativa concorrono a determinare la pratica possibilità di raggiungere la lubrificazione completa altre circostanze, tra le quali prevalgono in senso favorevole la levigatezza delle superficie e la viscosità del lubrificante, in senso contrario la pressione mutua. In caso di parziale difetto di alcune di tali circostanze si ha una forma di attrito combinato, parte mediato e parte semi-asciutto. Finché è possibile, si curano la scelta del lubrificante, la sua adduzione e ripartizione nelle superficie interessate, e le dimensioni delle superficie stesse in vista di ottenere la lubrificazione completa. Tuttavia non si trascura la scelta dei materiali per i cuscinetti (bronzo, leghe bianche, antifrizione; per perni immersi nell'acqua: legno santo e olivite); e ciò soprattutto perché ad ogni modo durante l'avviamento e il rallentamento della macchina l'attrito passa alle forme combinate.
In taluni casi poi in cui la natura stessa dell'accoppiamento da lubrificare esclude la possibilità della formazione di un velo d'olio continuo, è bene provvedere senz'altro a sistemi di lubrificazione atti a mantenere un semplice "ingrassamento" delle parti (v. sotto: Tecnica della lubrificazione).
Teoria della lubrificazione. - L'applicazione della legge del moto dei fluidi viscosi enunciata da J. Newton (v. Idrodinamica) alla teoria matematica della lubrificazione, è fatta generalmente risalire al generale N. Petrov (1883). Della stessa epoca sono le esperienze di B. Tower, e di pochi anni dopo (1886) gli studî di O. Reynolds, che può ritenersi il fondatore delle moderne teorie della lubrificazione dei perni: a lui è particolarmente dovuta la segnalazione dell'importanza del fenomeno dell'incuneamento del lubrificante fra le superficie affacciate. Numerosi studî teorici e sperimentali hanno fatto seguito a quelli del Reynolds (A. G. M. Michell, A. Sommerfeld, J. Freudenreich, T. E. Stanton, R. Stribeck, L. Gümbel, ecc.), perfezionandone la forma, mettendo in evidenza fenomeni non del tutto secondarî (influenza della diversità di temperatura da punto a punto dei cuscinetti, dispersione laterale del lubrificante), e precisandone i coefficienti.
I casi di accoppiamenti lubrificati più interessanti dal punto di vista tecnico sono quelli dei perni portanti cilindrici, dei perni reggispinta e pattini piani, delle dentature delle ruote. La trattazione più semplice si ha per il pattino piano, libero di alzarsi e inclinarsi più o meno sulla guida. L'estensione dei risultati agli altri casi presenta difficoltà crescenti al passaggio dalle superficie combacianti a quelle semplicemente tangenti.
Chiamiamo ε il coefficiente di viscosità, b la larghezza del pattino in direzione normale al moto, v e p la velocità e la pressione effettiva del lubrificante, x ed y le direzioni segnate nella fig. 1. La resistenza d'attrito vale allora:
mentre il carico normale è rappresentato da:
Sicché il coefficiente d'attrito vale:
Per determinare le funzioni v (x, y) e p (x) s'integra l'equazione differenziale dell'equilibrio nel moto viscoso:
dapprima rispetto a v, assumendo come condizioni ai limiti vh = V, v0 = 0 (cioè aderenza perfetta alle superficie estreme); poi rispetto a p, aggiungendo la condizione ipotetica che non avvengano dispersioni laterali di lubrificante e quindi la portata rimanga costante, e assumendo ai limiti p0 = pl = 0.
Entrambe le funzioni v e p così determinate contengono ancora come incognita l'assetto del pattino, cioè il suo distacco minimo h0 dalla guida e la sua inclinazione i. Alla determinazione di h0 e di i servono le due equazioni di equilibrio del pattino sotto il carico N e sotto la pressione ripartita p. La risoluzione analitica di quest'ultima parte del problema non è agevole nemmeno per il pattino piano: priva di difficoltà è invece la risoluzione grafica caso per caso, o la risoluzione analitica approssimata.
Il risultato finale del calcolo è per il coefficiente di attrito l'espressione:
dove il coefficiente K tiene conto dell'allungamento del pattino, e può essere mediamente assunto uguale a 2√1+4l/b.
Dalla teoria matematica emergono:
a) La necessità dell'"incuneamento", cioè di un giuoco variabile tra le due superficie caricate. Essa è una conseguenza dell'ipotesi circa la costanza della portata del lubrificante in tutte le sezioni del canale che quest'ultimo percorre: essendo questa ipotesi discutibile, il dubbio può estendersi anche alla necessità dell'incuneamento. Le esperienze però, e in particolare la brillante soluzione data nel 1905 contemporaneamente da Michell in Inghilterra e da Kingsbury in America al problema dei reggispinta, sembrano confermare tale necessità.
b) L'importanza del parametro
Dalla (1) si vede che il coefficiente d'attrito fra superficie geometricamente simili non cambia al variare delle dimensioni e delle condizioni d'esercizio a condizione che il parametro suddetto rimanga costante. Esso è dunque caratteristico della lubrificazione e permette di definire per essa una specie di similitudine meccanica.
Notiamo che l'attrito segue le leggi ora enunciate solo finché il distacco minimo fra le superficie è maggiore della somma delle asperità delle superficie medesime, e minore del valore oltre il quale, superato il "numero di Reynolds" (v. idrodinamica) corrispondente a quelle condizioni di viscosità e velocità, cessa di verificarsi il moto laminare del lubrificante.
Di particolare importanza è la prima limitazione; e siccome il distacco delle superficie è esso pure funzione del parametro λ, così per ogni grado di finitura delle superficie (levigatezza e spianatura) e loro proporzionamento, si possono stabilire le condizioni di esercizio che assicurano la lubrificazione completa.
In tutta questa trattazione la viscosità deve essere considerata per la temperatura di esercizio, che è sempre notevolmente superiore (di 40° in media) alla temperatura esterna. La resistenza di attrito, che, col suo lavoro, è la causa di tale riscaldamento, è diversamente distribuita sulla superficie del pattino: così anche il regime delle temperature interne presenta diseguaglianze, il cui effetto è quello di centrare la spinta.
L'estensione di queste nozioni ai perni cilindrici, se si prescinde dalla curvatura dello spazio dove circola l'olio tra perno e cuscinetto, non presenta altra difficoltà che quella derivante dalla più complessa legge di variazione dell'altezza dello spazio medesimo. L'incuneamento dell'olio è di fatto reso possibile dalla posizione eccentrica che il perno può assumere approfittando del giuoco lasciato nella costruzione.
Anche qui, come nel caso del pattino, esiste un parametro caratteristico della lubrificazione:
Alla radice quadrata di esso è proporzionale il coefficiente di attrito (inteso come rapporto del momento d'attrito al prodotto del carico N per il raggio d/2 del perno):
Il fattore di proporzionalità K dipende oltre che dall'allungamento del perno, dallo stesso parametro λ e dal giuoco relativo (d′ − d)/d lasciato tra perno e cuscinetto; vale mediamente:
La libertà d'assetto del perno nel cuscinetto è limitata dall'ampiezza del giuoco: man mano il parametro λ cresce, l'eccentricità devia sempre più dalla direzione del carico e si riduce in ampiezza, tendendo come posizione limite a quella deviata di 90° e di ampiezza nulla. La traiettoria del centro del perno, secondo le calcolazioni teoriche del Gümbel, confermate dalle esperienze di W. Nücker, sarebbe press'a poco semicircolare (fig. 2).
Il massimo distacco sarebbe così fissato nella metà della differenza tra i diametri (λ = ∞); il minimo sarebbe eguale a zero (λ = 0). In realtà anche qui bisogna tener conto delle asperità, della cui somma il distacco minimo deve essere superiore, e del non perfetto parallelismo delle generatrici del perno a quelle del cuscinetto in seguito a imperfezioni di tornitura e a deformazioni elastiche sotto carico, che possono causare un eccessivo avvicinamento delle superficie in qualche punto delle generatrici e quindi l'interruzione della circolazione d'olio.
Ciò conduce a precisare le condizioni di esercizio necessarie per la lubrificazione, attraverso la limitazione del parametro λ:
e mediamente:
Conduce quindi anche a limitare le possibilità di riduzione del coefficiente d'attrito, che di λ, come abbiamo visto, è funzione diretta, e insieme a indicare i mezzi di tale riduzione: tenere il giuoco più piccolo compatibile, levigare e irrigidire i perni, usare aggiustaggi oscillanti per i cuscinetti.
Vediamo pure che i perni grandi hanno possibilità di funzionare con coefficienti d'attrito minori che i perni piccoli: infatti la parte del giuoco d′ − d, che va lasciata per tener conto delle asperità, non si può ritenere proporzionale al diametro in quanto nulla vieta di raggiungere nella lavorazione dei perni grandi lo stesso grado di finitura (1/50, 1/100 di mm.) che nei piccoli. Per questo le regole empiriche suggerite per la scelta di d′ − d stabiliscono una legge meno rapida della semplice proporzionalità a d. Ad es. per finitura media:
Agli effetti pratici della calcolazione dei perni portanti, si può utilizzare la (2) per la scelta della pressione media da attribuirsi a un perno di velocità angolare nota, lubrificato con olio pure noto, in base a una presunzione approssimativa del diametro e del giuoco.
Prove sulla lubrificazione. - Le ricerche sperimentali in materia di lubrificazione possono essere distinte in due categorie secondo si prefiggono lo studio del comportamento meccanico di singoli lubrificanti, o materiali da cuscinetti, ovvero la prova complessiva di un sopporto o di un sistema pattino-guida, sia nei riguardi della costituzione delle varie parti, sia in quelli dell'apparato di lubrificazione e del lubrificante medesimo impiegato.
In entrambi i casi le grandezze che più interessa determinare sono il coefficiente d'attrito, il riscaldamento e il logoramento. Le esigenze e quindi le modalità delle prove sono però diverse. La prima categoria di prove ha un carattere scientifico, analitico, perché deve determinare l'influenza di singole variabili come la natura del lubrificante, del perno, del cuscinetto, la pressione specifica, la velocità, la temperatura, l'ambiente; esige quindi che in ciascuna serie di prove tutte le grandezze meno una rimangano costanti, e che quest'ultima sia misurabile con precisione.
La seconda categoria invece ha carattere tecnico, sintetico. Deve tener conto solo dell'influenza di fattori globali come una velocità caratteristica (numero di giri del perno, velocità media del pattino), un carico totale, una o più dimensioni dell'accoppiamento. Ciò che più interessa in questo secondo caso è che le prove si svolgano in condizioni analoghe a quelle dell'esercizio delle macchine.
La teoria della lubrificazione permette d'inquadrare le une e le altre prove in base al parametro λ. Si potrebbe anzi pensare che la semplice misura della viscosità potesse bastare per rispondere ai quesiti almeno della prima categoria. Ma oltre che si tratta di teorie basate su ipotesi semplificative, sta il fatto che in generale l'attrito è combinato con quello semi-asciutto, per cui non sono stabilite leggi matematiche.
Le macchine di prova sono del genere dei dinamometri. Si tratta infatti di misurare coppie o forze resistenti. Per le prove scientifiche sono da preferirsi le superficie che assicurano la maggiore uniformità di pressione, velocità e temperatura: e cioè per i perni portanti, cuscinetti di piccola estensione periferica, per i perni di spinta o strette corone circolari piane, o, ancor meglio, piccoli pattini tipo Michell.
Per ridurre le cause di errore nelle misure si procura che i cuscinetti siano almeno due, serrati in senso opposto contro il perno da forze interne ottenute per mezzo di molle o di liquidi in pressione. Nelle macchine di prova più perfezionate, esiste la possibilità di riscaldare il perno, o addirittura di mantenere tutti i corpi di prova in ambienti a temperatura, pressione e composizione chimica diversa dall'atmosfera ordinaria. Le figure 3, 4, 5, mostrano tre tipi di macchine: Martens, a pendolo (derivata dalla macchina Thurston), con perno cilindrico e tre cuscinetti radiali; Brown-Boveri, con perno di spinta e due cuscinetti assiali orientabili; O. S. S. A. G. con perno di spinta verticale e unico cuscinetto. Nella macchina di Martens il perno è riscaldabile da una corrente d'acqua che circola nel suo interno; nella O. S. S. A. G. tutto il perno è racchiuso in un involcro dove possono circolare gas o vapori.
In tutte queste macchine la misura della resistenza d'attrito è fatta per via statica, in base allo spostamento di un pendolo a cui sono sospesi i cuscinetti, o alla deformazione di una bilancia a molla. In altre macchine invece la misura è effettuata per via dinamica indiretta: precisamente si rileva graficamente o con osservazioni che si succedono a intervalli noti di tempo, la legge con cui la massa rotante, a cui è applicata la coppia resistente da misurare, rallenta il suo movimento, quando è lasciata libera dalle forze motrici. Dividendo pertanto per il momento d'inerzia noto della massa la derivata della velocità angolare rispetto al tempo, si viene a conoscere il momento resistente. Il metodo qui accennato non si presta evidentemente per misure di riscaldamento e di logoramento che esigono assolutamente la conservazione di un regime costante di velocità.
Tecnica della lubrificazione. - Una condizione necessaria se pur non sufficiente per avere la lubrificazione è che l'olio non difetti. Essendo d'altra parte impossibile prevederne esattamente la quantità occorrente e impedire le fughe laterali, si dovrà mandarne in abbondanza e disporre il ricupero della parte che sfugge. In questo modo si aumenta anche l'efficienza della refrigerazione naturale e si rende possibile un'attiva refrigerazione forzata, inserendo un refrigerante nel ciclo chiuso percorso dall'olio, tra il ricupero e la mandata.
Il mezzo più semplice per realizzare questo ciclo è l'anello lubrificante, che pesca in una vaschetta piena d'olio e ruota solidalmente col perno, o, meglio, è semplicemente appoggiato a esso e viene trascinato per aderenza (fig. 6).
Un mezzo complesso che permette una refrigerazione anche più intensa e può d'altra parte essere imposto dalla natura della macchina, se non si ha completo affidamento sulla libertà di rotazione dell'anello, o se si tratta di perni mobili (come bottoni di manovella, ecc.), è invece costituito da pompe che aspirano l'olio dal carter del sopporto o della macchina e lo spingono con la pressione necessaria per vincere le resistenze passive, nei condotti che conducono ai cuscinetti.
A questi due sistemi di lubrificazione completa si contrappongono gli oliatori, che mandano l'olio al perno in quantita insufficiente affinché non sia necessario il ricupero. Il trasporto graduale del lubrificante dalla vaschetta al perno può avvenire in varî modi: si può disporre l'olio in alto e farlo cadere da un tubo centrale, il cui ciglio, più alto del livello dell'olio, sia raggiunto per capillarità attraverso uno stoppino (fig. 7), ovvero la cui luce inferiore sia parzialmente otturata da una punta che il moto stesso del perno fa oscillare; si può anche disporre l'oliatore in basso e far risalire l'olio fin contro la superficie del perno lungo un tampone immerso nella vaschetta.
Accenniamo in fine agl'ingrassatori. L'uso del grasso è preferibile a quello dell'olio solo quando le condizioni di esercizio non consentano la lubrificazione completa; quindi essenzialmente tra parti molto caricate e lente. È pure consigliato l'impiego del grasso quando le superficie siano esposte alla polvere, che deteriorerebbe l'olio più di quanto non nuoccia al grasso.
Gl'ingrassatori vanno dai tipi più semplici (Stauffer con o senza molla, fig. 8) fino ai tipi più perfezionati, in cui il grasso è distribuito da una pompa.
Si noti che in tutti i casi, tranne in alcune lubrificazioni a tampone, il lubrificante arriva solo in una zona più o meno ristretta del cuscinetto, mentre occorre averlo dappertutto. Si sarà naturalmente avuto cura di addurre il lubrificante in punti dove la pressione effettiva sia nulla, o almeno piccola, e quindi nel mezzo cuscinetto non premuto se il carico ha senso costante. Allora alla distribuzione circonferenziale provvede il trascinamento da parte del perno. Alla distribuzione longitudinale si deve invece provvedere mediante solchi di ripartizione (zampe di ragno), preferibilmente diretti secondo una generatrice del perno e limitati alla zona non premuta per non interrompere l'aumento della pressione, ciò che diminuirebbe la capacità di carico del perno, e potrebbe far cessare la lubrificazione completa.
I solchi vanno invece distribuiti su tutta la superficie nel caso di lubrificazione necessariamente incompleta (fig. 9).
Bibl.: M. Panetti, Meccanica applicata alle macchine, Torino 1923; E. Falz, Grundüge der Schmiertechnik, 2ª ed., Berlino 1931.