LOVERE (A. T., 20-21)
Cittadina della Lombardia in provincia di Bergamo, situata all'estremità N. della sponda occidentale del Lago d'Iseo, a 200 m. sul mare. Graziosa nell'aspetto generale delle sue costruzioni, si presenta soprattutto bella e moderna nella passeggiata che, dalla Piazza Umberto I, si svolge lungo il lago. La bella posizione e l'organizzata industria alberghiera la rendono noto centro di villeggiatura e stazione climatica. La popolazione del comune nel 1931 raggiungeva 4869 ab. in gran parte raccolti nella cittadina (nel 1901, 3306 ab.; nel 1921, 4683). Il territorio comunale (kmq. 7,36) non offre condizioni favorevoli all'agricoltura; attivo è invece il commercio, trovandosi Lovere allo sbocco dell'importante valle dell'Oglio (Val Camonica). Nelle vicinanze di Lovere sono cave di gesso e di barite. Scalo di battelli; tramvia per Bergamo; la stazione ferroviaria è a Pisogne (km. 2,5), sull'altra sponda del Lago d'Iseo.
Monumenti. - Nella chiesa di S. Maria in Valvendra, fondata nel 1474, la sobria architettura quattrocentesca rispecchia, tenuto conto dell'ambiente provinciale, il periodo di transizione tra forme gotiche alla veneziana (archetti centinati dei finestroni) e forme classicheggianti del Rinascimento: non senza persistenti reminiscenze romaniche lombarde nelle cornici di gronda ad archetti tondi. Sulla facciata, rivolta verso il monte, costituiscono un notevole motivo le nicchie inserite nelle lesene di scomparto e il porticato che copre la rampa di discesa dall'alto sagrato alla Porta Maggiore. Nella chiesa, di grande interesse per la storia della pittura bresciana, si conservano affreschi di Floriano Ferramola; i notissimi sportelli dell'organo che taluno afferma provenienti dalla chiesa dei Ss. Faustino e Giovita di Brescia e già del Duomo vecchio della stessa città, internamente dipinti da Alessandro Bonvicino detto Il Moretto, ed esternamente dal Ferramola; di Andrea da Manerbio alcune storie della Vergine (1535-1540); del Cavagna, bergamasco, San Diego (secolo XVII). Gli affreschi dell'abside sono detti di Ottavio Viviani. Magnifica opera d'intaglio è il coro, di un bresciano fra Raffaele. La chiesa possiede inoltre un grande ostensorio reliquiario (1488) e una statua cinquecentesca, in legno, di S. Sebastiano. Un battente di bronzo - testa leonina afferrante coi denti un anello - di lavoro romanico, già della porta maggiore, si conserva ora nel palazzo comunale.
Nella Pinacoteca dell'Accademia Tadini, istituita nel proprio palazzo dal conte Faustino Tadini, sono importanti opere di Iacopo Bellini, del Civerchio, di Paris Bordone, di Callisto Piazza, del Parmigianino, del Nuvolone, di fra Galgario, di Bernardo Strozzi, tre arazzi fiamminghi, un ritratto di Francesco Hayez, il modello della statua canoviana della Religione per il monumento di papa Rezzonico; c'è inoltre una pregevole raccolta di porcellane (Cina, Giappone, Francia, Napoli, ecc.). In una cappella del palazzo stesso si conserva il cenotafio del Tadini, scolpito dal Canova.
Storia. - È, forse, l'antico Leuceris, probabilmente già luogo fortificato contro i Camuni: fece parte della pieve di Zogno, cioè della bassa Val Camonica, e fu anche nel Medioevo luogo munitissimo, formando un vero sistema difensivo con Ceretello, Qualino e Volpino. Feudo dei Celeri, probabilmente ramo dei Brusati, nel 1222 si riscattò a libertà, imponendo a Bertoldo Celeri la rinuncia di tutti i suoi diritti sul castello in favore della comunità. Passata alla dipendenza di Milano, fu nel 1405 saccheggiata da Pandolfo Malatesta, che ne divise il territorio tra i Foresti di Castro e i guelfi di Val Seriana. Nel 1413 passò a Filippo Maria Visconti, che ricostituì l'antica giurisdizione, indi (1428) ai Veneziani, formando una delle quadre del territorio bergamasco. Nel 1482 ottenne da Venezia l'approvazione degli statuti.
Bibl.: L. Marinoni, Documenti loveresi, Lovere 1896; Catalogo della Pinateca Tadini, Lovere 1903; A. Sina, La parrocchia di Lovere, in Brixia sacra, XIII (1922), pp. 133-51; id., Le chiese e le cappelle di Lovere, ibid., XV (1924), pp. 97-116, 114-60, 161-76; XVI (1925), pp. 1-11, 17-27.