MILLIET, Louis (Ludovico Millet)
– Nacque a Chambéry il 26 giugno 1527 dal consigliere ducale Claude e dalla sua seconda moglie, Jeanne Pelixenne de Lambert.
Venne alla luce nella casa di Louis de La Ravoyre, tesoriere di qua dai monti del duca di Savoia Carlo II. Il luogo della nascita e la presenza dell’élite urbana e il padrino, scelto nella persona del presidente della Savoia Louis de Derée, sono emblematici non solo dell’elevata considerazione sociale goduta dalla famiglia, ma anche della sua costante oscillazione tra l’attaccamento alla regione d’origine e il servizio del principe.
Primogenito di dodici figli, fu avviato, secondo la tradizione del casato che vantava giureconsulti e funzionari di spicco sin dal XIV secolo, agli studi forensi e si laureò in diritto civile e canonico all’Università di Padova con diploma del 26 marzo 1550. Il 6 ott. 1559 il duca Emanuele Filiberto di Savoia lo nominò avvocato generale di qua dai monti e un anno più tardi, con patenti emanate a Moncalieri il 3 nov. 1560, gli conferì una pensione di 100 scudi d’oro annui. Fu l’inizio di una brillante carriera ai vertici del potere statale. Lo stesso Emanuele Filiberto lo promosse alla carica di vicepresidente del Senato con patenti datate Rivoli 18 marzo 1562; nel febbraio del 1563, significativamente a Chambéry, lo volle tra i suoi consiglieri di Stato di qua e di là dai monti.
Durante il processo di riorganizzazione dello Stato dopo le nuove acquisizioni (il Contado d’Asti e il Marchesato di Ceva) e in vista di quelle progettate (il Marchesato di Saluzzo), che vide tra l’altro il trasferimento della capitale da Chambéry a Torino, la dinastia fece perno su figure capaci di mediare tra le esigenze di consolidamento statuale e le singole realtà amministrative, e il M. ne è espressione esemplare. Bilingue (ma scrivente in francese), perfettamente inserito a corte però sempre legato agli interessi della sua città e dei suoi dintorni, fu abile nel perseguire la politica ducale suggerendo tuttavia che non fossero trascurati i diritti e le prerogative della Savoia.
Tra l’ottobre del 1559 e il novembre del 1571 fu incaricato di otto missioni diplomatiche in Francia, in Svizzera e a Milano. Delle ambasciate si ha labile testimonianza grazie alle poche missive del M. rimaste.
Il 6 nov. 1566, da Parigi, dove si trovava per curare gli affari di Emanuele Filiberto e per negoziare sui passaggi di truppe e mercanzie tra Lione e il Piemonte, indirizzò al duca un lungo dispaccio in bâtarde informandolo della malattia della regina di Scozia Maria Stuarda, già regina consorte di Francia tra il 1559 e il 1560, e sull’andamento delle guerre di religione che premevano in più punti sulle frontiere dello Stato sabaudo. I rapporti tra la Francia e il Ducato erano condizionati dal governo dell’una sul Marchesato di Saluzzo e dalla vicinanza dell’altro, specie lungo il Nizzardo e la Savoia, con le zone delle operazioni militari e dei transiti commerciali. Un altro fronte vide assiduamente impegnato il M. nella sua duplice veste di consigliere e di profondo conoscitore delle dinamiche d’Oltralpe: quello svizzero o, meglio, quello ginevrino, reso incandescente prima dalle manovre di conquista tentate da Emanuele Filiberto tra il 1559 e il 1562, poi dalle trattative con Berna e con Ginevra avviate nel 1563. Il M. fece parte di quel gruppo di ufficiali ducali di origine savoiarda, dei quali il duca si servì, per ragioni di lingua e di cultura, nelle relazioni con i Cantoni elvetici. Con il primo presidente della Camera Andrea Odinet de Monfort, il M. fu plenipotenziario nel trattato di Losanna con il Cantone di Berna (30 ott. 1564). In quel frangente e negli anni successivi il M., membro «della nascente nobiltà degli uffici», elaborò alcuni «pareri a stampa in cui veniva sostenuta la superiorità sabauda su Ginevra» (Merlin). Tra questi si possono ricordare le Propositions pour le soustenement des droicts de son altesse sur la ville de Genève editi nel 1579 (s.n.t.) in occasione degli accordi di Nyon patrocinati dallo stesso Milliet. Si tratta di pubblicistica dai toni apparentemente convenzionali ma in realtà frutto delle riflessioni di un francofono sì fedelissimo al regime sabaudo, ma pure avvezzo, per secolare attitudine dei ceti dirigenti savoiardi, ad avere a che fare con l’aristocrazia ginevrina, cui peraltro sono indirizzate le Propositions. La famiglia del M. proveniva da Ginevra e i legami parentali con l’élite svizzera sono saldamente attestati a partire dal primo Quattrocento: suo padre Claude era figlio del giudice del Faucigny Pierre e della ginevrina Amblarde Gavit Laroche ed era stato anch’egli inviato presso gli Svizzeri nel 1530.
Per i servizi resi, nel luglio 1568 fu creato primo presidente del Senato di Savoia e, nel novembre 1571, guardasigilli della Petite Chancelerie de là des monts, carica resasi vacante per la morte del titolare.
Negli anni delle missioni diplomatiche il patrimonio del M. crebbe notevolmente. Oltre ai lasciti dei congiunti François e Jaquemine de Benevix e dello zio Charles Amblard (tutti cittadini di Ginevra), il 10 ott. 1569 il M. fu investito della signoria di Faverges, a ricompensa dei servigi resi e di un prestito di 4000 scudi d’oro del sole elargito al duca per spese militari. Il feudo fu poi eretto in baronia insieme con la signoria di Challes. Il suo nome è rimasto associato a questi due titoli, trasmessi all’erede diretto e ai discendenti, ma in seguito egli continuò ad acquistare o acquisire per via testamentaria beni feudali e immobili nei dintorni di Chambéry e nel Genevese, come una «maison et maisonnette» a Vernai circondata da campi e vigneti lasciatagli dallo zio Hector de Lambert nel 1592.
La fortuna privata aumentò di pari passo con quella pubblica e trovò suggello nella conferma dei suoi incarichi accordatagli dal nuovo duca Carlo Emanuele I e dalla proclamazione a cavaliere dell’Ordine dell’Annunziata (5 febbr. 1581), di poco preceduta dall’innalzamento al grado di gran cancelliere con patenti del 15 dic. 1580. Del resto il M., tra i pochi savoiardi rimasti nella cerchia del nuovo sovrano, vantava un prestigio che trascendeva la mera attività politico-burocratica; in buona misura suo era stato il merito della riuscita traslazione della reliquia della Sindone da Chambéry a Torino, portata a termine nel settembre del 1576 con il pretesto di scongiurare la peste che aveva colpito la capitale. Dietro il gesto di chiara riappropriazione di un simbolo funzionale alla promozione del culto dinastico, si celavano in realtà i colloqui tra il M., già primo presidente del Senato, e il canonico Pierre Lambert le jeune che fino ad allora aveva custodito il lino in Savoia. Allo stesso modo, nel 1591 fu il M., con il nunzio apostolico Giulio Ottonelli e l’arcivescovo di Torino Melchiorre Paleotti, a guidare la ricognizione delle spoglie di s. Maurizio fatte giungere in città da Bourg-Saint-Maurice, nel Vallese, «terra pericolosamente minacciata dall’eresia dilagante nella vicina Ginevra» (Cozzo, p. 71).
A fronte dell’esiguità delle testimonianze dirette del lavoro decennale svolto dal M. in seno alle più alte magistrature del Ducato, restano il profilo lusinghiero, tracciato mentre era in vita, di A. Borrino, il motto del suo stemma (Vigili prudentia servor) e il solido destino dei figli e dei nipoti. Per Borrino, il M. incarnava appieno il modello del perfetto servitore dello Stato «ob eximias et singulares ingenii et animi sui dotes» (p. 155). Circondatosi di una piccola cerchia di segretari savoiardi, tra i quali Jean Dellale, e quindi capace di costruire una sua rete clientelare, gestì bene anche l’eredità professionale ed economica dei discendenti. Con Françoise Bay, di famiglia piemontese trapiantata a Ginevra e sposata il 15 febbr. 1556, ebbe tre figli: Philibert François, Hector e François Amédée. Hector, barone di Challes, seguì le orme paterne divenendo a sua volta primo presidente del Senato di Savoia e governatore della regione; a François Amédée toccò il titolo di conte di Faverges. A quest’ultimo, secondo le disposizioni testamentarie dettate l’8 nov. 1598, il M. fece dono dei «ses grands vases, bassins, et vaiselle d’argent doré dont le roy de France Charles IX lui fit present lors de son ambassade auprés de ce monarque» (Histoire généalogique, c. 124).
Il M. morì a Moncalieri, dove si era ritirato a causa dell’epidemia di peste che imperversava a Torino, il 12 febbr. 1599, dopo aver dato disposizione che il suo corpo fosse portato a Chambéry nella cappella di famiglia nella chiesa di S. Maria d’Egitto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Lettere di particolari, M, m. 50; Patenti controllo finanze, regg. 1560 in 1561, c. 65; 1566, c. 26; 1567 in 1568, c. 372; 1568, c. 64; 1569, c. 107; 1571, c. 9; 1576, c. 2; 1579 in 1580, vol. I, c. 25; 1580 in 1581, vol. II, c. 7; 1581 in 1582, c. 62; 1581 in 1584, vol. II, c. 41; Torino, Biblioteca reale, Miscellanea di storia patria, 30/43: Histoire généalogique de l’illustre maison Millet de Chambéry (1400-1740), cc. 122r-124v; A. Borrino, Cavalcata sive De servitiis vassallorum. Tractatus, pacis ac belli tempore utilis, et necessarius …, Augustae Taurinorum 1595, pp. 154 s.; G. Ponza, La science de l’homme de qualité ou L’idée generale de la cosmographie, de la cronologie, de la geographie, de la fable, et de l’histoire sacrée et profane …, Turin 1684, p. 264; G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e paesi uniti colla serie cronologica delle persone che le hanno occupate ed altre notizie di nuda istoria dal fine del secolo X sino al dicembre 1798, Torino 1798, I, pp. 52, 186 s., 210; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, Firenze 1861, II, p. 262; A. De Foras, Armorial et nobiliaire de l’ancien Duché de Savoie, III, Grenoble 1863, p. 225; IV, ibid. 1900, pp. 15, 18; V, ibid. 1910, p. 97; D. Carutti, Storia della diplomazia della corte di Savoia, I, 1494-1601, Torino 1875, p. 363; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, II, pp. 198 s., 493; C. Rosso, Una burocrazia di Antico Regime: i segretari di Stato dei duchi di Savoia, I (1559-1637), Torino 1992, pp. 90, 377; Il libro quarto degli «Ordini nuovi» di Emanuele Filiberto, a cura di G. Pecorella, Torino 1994, p. 102; P. Merlin, Emanuele Filiberto. Un principe tra il Piemonte e l’Europa, Torino 1995, pp. 212 s.; P. Cozzo, La geografia celeste dei duchi di Savoia. Religione, devozioni e sacralità in uno Stato di Età moderna (secoli XVI-XVII), Bologna 2006, pp. 71 s.; C. Moriondo, Testa di ferro. Vita di Emanuele Filiberto di Savoia, Torino 2007, p. 215; M.A. Vester, Jacques de Savoie-Nemours. L’apanage du Genevois au coeur de la puissance dynastique savoyarde au XVIe siècle, Genève 2008, pp. 184, 260, 272, 320.
B.A. Raviola